Arte, prezzo e valore. Il NASDAQ in camera da letto

Articolo di: 
Alberto Balducci
Claude Closky - untitled, NASDAQ

Il sistema economico mondiale è un organismo che tentacolarmente avvolge ogni aspetto dell’esistenza quotidiana, non solo politico e sociale ma anche e nello stesso grado, culturale emotivo ed estetico. Il fatto che anche dinamiche interne particolarmente intime, come le emozioni e la percezione generica della realtà siano controllate da fattori economici, è un fatto che non dovrebbe stupire: tutt’altro, dovrebbe essere ad oggi ben familiare, in modo da poterlo vedere e valutare correttamente.

Per quel che riguarda la sfera dell’estetica e della produzione artistica, la storia dell’arte, dal Rinascimento in poi, non ha mai potuto separarsi del tutto dall'infrastruttura socio-economica denominata “mercato”. Prima di allora, testimonianze di tentativi liberi di dialogo con l’Assoluto si sono sperdute nel buio dei secoli, in ogni parte del mondo. Oggi, l’artista è conscio della sua posizione e del potere demiurgico della creatività, e con il culto della propria personalità si è inserito nel meccanismo economico mondiale al pari di un qualsiasi altro elemento quotabile in borsa.

Specialmente negli ultimi decenni, l’arte ha instaurato una simbiosi col mercato particolarmente profonda, sviluppandosi come un suo settore di ragguardevole peso: gli elevati margini di rendita monetaria riscontrati hanno espanso la rete di contatti coinvolti, tendendo a conglobare il tutto nel processo generale di globalizzazione. Questa espansione comporta la codifica di un set di regole a disciplinare la competitività e la ripetibilità dei risultati raggiunti: le famose “regole del gioco”, che non sono mai esposte chiaramente né ufficializzate, e che tendono ad allungarsi in ogni direzione per impregnare del proprio umore ogni aspetto dell’individuo coinvolto.

Queste ed altre dinamiche sono esposte piuttosto bene nella mostra Arte, Prezzo e Valore organizzata dal Centro di Cultura Contemporanea Strozzina di Firenze, avente sede nel famoso Palazzo Strozzi. Il principale merito dell’esposizione è appunto quello di rendere visibili e tangibili (letteralmente) queste regole astratte di cui si parlava poco sopra. L’evento in sé è una collezione di opere di svariati artisti contemporanei, datate dal 1996 al 2008, con grande maggioranza di opere prodotte negli ultimi quattro anni.

Il linguaggio utilizzato è per una volta molto semplice ed immediato. La prima opera che ci si para davanti, ad esempio (del rumeno Dan Perjovschi) illustra con semplici vignette a carboncino su muro tutta una serie di concetti legati al rapporto mercato-artista: dall’ampiezza di un progetto che è definita dal budget disponibile, alla gerarchia che vede in cima gli sponsor ed in fondo, quasi invisibile, l’artista, al ruolo pantagruelico delle banche nella speculazione artistica, alla ribellione senza basi culturali o spirituali che non porta che al conformismo più becero. Questi temi così semplicemente introdotti verranno poi approfonditi dalle altre opere in mostra.

Abbiamo così tutta una serie di paradossi. Dalle banconote da 1 o 5 dollari sfigurate con l’acido che perdono così il loro valore nominale, per acquisire quello di “opera d’arte originale in esemplare unico” (salvo rimuovere anche questo valore “accidentale” tramite uno stratagemma sofistico, e regalando le banconote ai visitatori della mostra; l’opera è di Cesare Pietroiusti), al giapponese Takashi Murakami (anzi, © MURAKAMI) che, forte delle sue collaborazioni con Louis Vuitton, ha registrato il proprio nome come marchio (di fatto trasformando la sua attività artistica in una società economica), alla semplicissima rappresentazione video di un centro commerciale a opera di un italiano (Marco Brambilla) che, tramite effetti di luce e sovrapposizioni geometriche e cromatiche, fa assomigliare il luogo all’interno di una cattedrale dai mosaici multicolore, come a voler asserire che i centri di consumo di massa sono divenuti i veri luoghi di culto per la società contemporanea.

La mostra riesce a oltrepassare molti stati emotivi differenti, che vanno dal terrificante all’ironia più satirica. Ad esempio, il “manuale di consigli di stile per l’arte contemporanea” di Pablo Helguera, che tratta il mercato dell’arte come un gioco di scacchi, dove i re sono i direttori dei musei (conquistando i quali si vince la partita), i critici sono gli alfieri “da evitare a tutti i costi” e i poveri artisti sono, ovviamente, i pedoni. Oppure il gioco di carte Hype!, di Eva Grubinger, una sorta di Monopoli del mondo dell’arte, ove lo scopo è generare “capitale culturale”, solo modo che ha l’artista per arrivare a generare il desiderato capitale monetario.

Alcuni suggerimenti sono invece ben poco esilaranti, come il terribile campo di concentramento “politically correct” ideato dagli olandesi dell’Atelier van Lieshout chiamato SlaveCity, consistente nel progetto (completo di calcoli energetici, budget, tempistiche e bilancio dettagliati) di un agglomerato urbano per 200.000 partecipanti ad impatto ambientale pari a zero e perfettamente autosufficiente, dove il componente umano è davvero una “risorsa”, da far lavorare 7 ore/giorno in un call center, altre 7 nei campi mentre “il resto del tempo può essere dedicato al riposo, al nutrimento e alla cura personale”. Il piano topografico prevede anche l’installazione di tre bordelli, due università (“centri d’apprendimento”) una maschile e l’altra femminile e svariati “checkpoint”.

Queste rappresentazioni mettono bene in luce la totale dipendenza del singolo dai fattori economici, e pertanto dai grandi movimenti di capitali mondiali, conseguenti alle scelte di poche personalità ed istituzioni in grado di alterare il flusso di questo tipo di dati (vedi l’opera TheyRule.net di Josh On). Le contraddizioni sono molte. Che sia Antoni Muntadas che ci pone la semplice domanda “quanto tempo è necessario perché mille dollari si volatilizzino nel corso di una serie di cambi di valuta?”, oppure Christian Jankowski che rende indistinguibili in ogni ambito (sociale, emotivo, creativo, economico) le professioni di gallerista e di commerciante di articoli elettronici, rimane sempre il problema di come si pone l’individuo, nel suo intimo, quando per un attimo si sveglia e riesce a scorgere questi meccanismi perversi che minacciano di frantumarlo.

In questo ambito sociale la personalità è sottoposta ad attacchi feroci. Ad esempio, un’affermazione come “tu sei ciò che possiedi” può essere portata a conseguenze estreme come ha fatto Michael Landy, inglese, che nel 2001 ha distrutto in una performance pubblica ogni suo possedimento, dall’auto ai ricordi d’infanzia alle sue altre opere ecc. (nell'esposizione un DVD documenta l’evento) e vedere lui che mostra alla telecamera il proprio passaporto prima di ridurlo in pezzi rende abbastanza bene conto del legame che si è instaurato tra l’individuo e la sua codifica sociale; un po’ come nella vecchia serie televisiva “The Prisoner” dove gli uomini erano chiamati col loro “numero”, solo che qui si è perso di vista il concetto dietro al numero e rimane solo la sua materializzazione in forma di oggetto, che da sola basta ad incatenarci. Ci siamo talmente abituati a quest’ordine di idee che Claude Closky può tappezzare un’intera stanza di quotazioni NASDAQ e farcele sembrare una carta da parati.

Evidentemente questi contrasti non si sono fatti ancora così forti da costringere ad un punto di rottura; oppure l’opera di insensibilizzazione sterilizzante è stata condotta molto bene e in modo molto asettico, che non ne avvertiamo davvero la necessità. Abbiamo trasformato gli intellettuali in artisti (anche perché, guardiamoci negli occhi, cosa c’è rimasto da fare dopo l’urinoir di Duchamp?), e forse questo è stato l’unico modo per avere sempre qualcuno che di tanto in tanto ci indicasse alcune contraddizioni che quotidianamente danno forma alle nostre vite. L’unico modo, perché soltanto incasellando il pensiero in queste categorie commercializzabili, facendolo cioè parte esso stesso di quei meccanismi, lo abbiamo reso immune da persecuzioni cruente. Ma così facendo, lo abbiamo addomesticato e ci siamo resi complici del crimine, gettando gli artisti/intellettuali in pasto ai disvalori postmoderni: infatti cosa sono gli individui qua esposti, se non vittime come e più di noi del gioco che stanno rappresentando?

Pubblicato in: 
GN5/ 7-21 gennaio 2009
Scheda
Autore: 
Centro di Cultura Contemporanea Strozzina
Titolo completo: 

Arte, Prezzo e Valore
Arte contemporanea e mercato

Palazzo Strozzi, Firenze, 14/11/2008 - 11/01/2009

Artisti rappresentati:
Luchezar Boyadjiev (BUL)
Marco Brambilla (I/USA)
Marc Bijl (NL)
Fabio Cifariello Ciardi (I)
Claude Closky (F)
Denis Darzacq (F)
Eva Grubinger (A)
Pablo Helguera (MX)
Damien Hirst (UK)
Bethan Huws (GB)
Christian Jankowski (D)
Atelier van Lieshout (NL)
Michael Landy (UK)
Thomas Locher (D)
Aernout Mik (NL)
Antoni Muntadas (E)
Takashi Murakami (J)
Josh On (CAN)
Dan Perjovschi (RUM)
Cesare Pietroiusti (I)
Wilfredo Prieto (CUB)

Anno: 
2008