Un altro tempo, un’altra storia. Leggere Auden come un Antico Maestro

Articolo di: 
Teo Orlando
Wystan Hugh Auden

L’8 giugno scorso si è concluso il ciclo di letture Le lingue della poesia, svoltosi nel Teatro Studio dell’Auditorium Parco della Musica. La serata conclusiva ha visto come protagoniste le liriche di Wystan Hugh Auden, la cui lettura è stata affidata all’attrice Anna Bonaiuto, sapientemente introdotta dal poeta e critico Franco Buffoni.

La lettura di Auden richiede una particolare tensione emotiva sia nel lettore, sia nel pubblico: il critico ha esordito richiamandosi a un giudizio di Virginia Woolf, per la quale per leggere un certo tipo di poesiasi dovrebbero avere migliaia di occhi (myriad eyes), essere una di quelle lampade che si accendono a mezzanotte in mezzo all'Atlantico su lastre di acqua che corre, quando magari un ciuffo appena di alghe punge la superficie oppure d'improvviso le onde si spalancano e con una spallata viene a galla un mostro”. 

Ed ha ricordato che Josif Brodskij, in modo forse un po’ iperbolico, definì Audenla più grande mente del XX secolo”, paragonandolo a una sorta di Orazio transatlantico”. 

Quanto agiscano i modelli della classicità lo si nota dallo stridente lirismo di cui sono intrise le poesie di Auden e che quasi confligge con l’aura di desolazione che alcune di esse comunicano al lettore, come traspare da una delle più celebri, Oh, dite che cos’è davvero amore (Oh Tell me the Truth about Love), con cui la Bonaiuti ha esordito, scandendola incisivamente prima in inglese e poi in italiano: Some say that Love's a little boy,/And some say it's a bird,/Some say it makes the world go round,/And some say that's absurd (Per alcuni Amore è un fanciullo,/è per altri un uccello,/per alcuni governa il mondo,/il che per altri è assurdo).

La lettura delle poesie viene inframmezzata da ampi excursus biografici, ma in alcuni casi brani poetici si inseriscono all’interno della narrazione come brevi flash per meglio puntualizzare le fasi della sua vita. Così l’infanzia del poeta viene accostata a quanto Auden dice del bambino in The Age of Anxiety: solo in apparenza si tratta di una creatura inerme nella sua culla, ma in realtà i suoi terrori lo porteranno a vendicarsi di pene e castighi su deboli insetti (avenges pains and punishments on puny insects): si nota qui la trasposizione poetica di teorie psicoanalitiche a cui Auden si era ardentemente abbeverato nella sua giovinezza.

Ugualmente, il tormentato rapporto con i suoi amanti (Auden era bisessuale, sposò Erika, figlia di Thomas Mann, e arrivò a chiedere la mano di Hannah Arendt, ma molti furono anche i suoi partner maschili), viene rievocato attraverso la lettura di Funeral Blues (Blues in memoria), con accenti quanto mai lugubri: Silence the pianos and with muffled drum/Bring out the coffin,/let the mourners come (zittite i pianoforti e al cupo segnale/del tamburo portate fuori il feretro, parta il funerale).

E le letture proseguono soffermandosi sulla situazione dell’Europa negli anni ’30 del secolo scorso (Refugee Blues, Blues del profugo) o sugli aspetti prosaici della realtà, come la descrizione, straziante e feroce, di una malata di cancro dilaniata all’interno da un implacabile sarcoma (Miss Gee). Ed eloquente è anche la sua pessimistica valutazione del macchinismo industriale, espressa in A Curse (Maledizione) e che può ricordare la critica dell’alienazione indotta dalla tecnica ad opera di alcuni grandi filosofi del Novecento di diverso orientamento, da Martin Heidegger a Herbert Marcuse fino a Ernst Bloch e Günther Anders: Dark was that day when Diesel/conceived his grim engine that/begot you, vile invention (Buio fu il giorno in cui Diesel/concepì la sua torva macchina che/generò te, vile invenzione). E non a caso decise di abbandonare Ischia, locus amoenus delle sue vacanze estive, quando il dilagare delle Vespe e delle Lambrette arrivò a turbare la quiete dell’isola.

Questa attenzione per la grandezza e la miseria della vita quotidiana gli guadagnò la stima e l’apprezzamento di Eugenio Montale, che lo preferiva a Eliot, in quanto avrebbe portato la tradizione a un punto di rottura, comportandosi come un poeta camaleontico (Camaleauden venne ribattezzato dal poeta italiano).

La voce della Bonaiuti si è poi soffermata con estrema delicatezza sulla rievocazione del panorama urbano di Bruxelles, dove solo “con cinquanta franchi lo straniero potrà scaldare tra le braccia la città senza cuore” (And fifty francs will earn the stranger right/To warm the heartless city in his arms – Brussels in Winter).  E ha poi sottolineato quanto sia effimera e soggetta alle febbri o al tempo “la bellezza individuale dei bambini pensosi” (Time and fevers burn away/Individual beauty from/Thoughtful children), recitando uno dei più mesti e commoventi inni alla bellezza audeniani (il cui incipit suona Lay your sleeping head, my love, Appoggia, amore, il tuo capo assonnato). Ha poi tratteggiato un panorama urbano insieme triste e consolatorio, intonando i versi di The Capital: Quarter of pleasures where the rich are always waiting,/Waiting expensively for miracles to happen (Luogo di piaceri dove i ricchi sempre aspettano, aspettano dispendiosamente che miracoli si compiano).

Auden era capace di passare disinvoltamente dalla descrizione fredda, ma partecipata, della desolazione della contemporaneità al mito trasfigurato della Grecia arcaica, come si può notare nei versi di Orpheus o di Atlantis: Being set on the idea/Of getting to Atlantis,/You have discovered of course/Only the Ship of Fools is/Making the voyage this year (Ti sei messo in testa/di andare ad Atlantide/e hai scoperto ovviamente/che solo la Nave dei Folli /fa la traversata quest’anno).

Notevole il tema della Nave dei Folli, reso famoso dal poema di Sebastian Brant (Das Narrenschiff, del 1494, tradotto e adattato in inglese da Alexander Barclay nel 1509), che è stato adattato come performance musicale e teatrale da Alexander Hacke, il bassista della band sperimentale tedesca Einstürzende Neubauten; peraltro, nel panorama della musica rock furono i Tuxedomoon a intitolare un loro disco The Ship of Fools, intrecciando solennemente loro musiche con i versi iniziali di Atlantis di Auden. Ma già prima i Doors e soprattutto i Van Der Graaf Generator avevano fatto librare le loro musiche sulla Ship of Fools: Looking for logic and adventure down the dark end of the street (cercando la logica e l’avventura nella parte più scura della strada), canta la voce profonda di Peter Hammill nel brano omonimo, riecheggiando il dark cold day (giorno scuro e freddo) nel quale Auden sublima l’abbandono che il suo amico e collega Yeats fece al mondo terreno. Il tema venne poi altresì ripreso dall’omonimo quadro di Hieronymus Bosch ed è stato recentemente trasfigurato anche dallo scrittore di fantascienza Richard Paul Russo, vincitore del premio Philip K. Dick nel 2001, con un romanzo intitolato The Ship of Fools, tradotto in italiano con il titolo L’astronave dei dannati.

Non a caso, peraltro, Auden indulgeva talora a visioni catastrofiste della realtà presente, che ben si intrecciavano con le apocalissi degli scrittori di fantascienza: così l’oscuro personaggio de La gare du midi, che “esce svelto a infettare una città” (He walks out briskly to infect a city”), ricorda il racconto di Herbert George Wells The Stolen Bacillus, oltre che La peste di Albert Camus. Peraltro, egli appare quasi dal nulla, da una folla anonima, evocando “The apparition of these faces in the crowd” (l’apparire di questi volti nella folla) di un celebre verso di Ezra Pound.

Ancora più oscuramente nella poesia A Lullaby (non una semplice ninna nanna, come anche nelle omonime songs dei Cure e dei Current 93, dove le voci di Robert Smith e di David Tibet suonano insieme lugubri e appassionate) si viene ricoperti da un manto di tenebra, dove neppure Narciso può librarsi a suo piacimento: The old Greeks got it all wrong/Narcissus is an oldie,/tamed by time (Gli antichi Greci hanno sbagliato tutto:/ Narciso è un caro vecchio,/domato dal tempo). Toni cupi sarcasticamente evidenti nel Recitativo della morte: “Io, la Morte, ancora sono e sarò sempre cosmocrate”, padrona assoluta del mondo (I, Death, still am and will always be Cosmocrat). In questo contesto non si può neppure trascurare il contributo decisivo che Auden apportò per una piena valutazione della grandezza letteraria di Edgar Allan Poe, quando nel 1950 scrisse una memorabile introduzione ad un'antologia delle opere del grande scrittore americano, sostenendo che le sue descrizioni di stati anomali ed autodistruttivi lo avvicinavano a Dostoevskij, il suo raziocinio a Conan Doyle e le sue visioni del futuro mescolate con incubi soprannaturali a Wells e Verne.

Nulla si sottrae quindi a un certo sarcasmo pessimistico del Poeta: né l’antichità mitologica, né la contemporaneità. Così in Economics osserva che se “negli affamati anni Trenta i ragazzi vendevano il loro corpo per un pasto”, nondimeno nei ricchi anni Sessanta continuavano a farlo per “fare fronte ai pagamenti a rate” (to meet Hire-Purchase Payments). Mentre in Archaeology i miti sono quasi degradati al compito “di fornire delle scuse per le azioni rituali” (that their real earnest/has been to grant excuses/for ritual actions). Dietro questi versi si nasconde una filosofia della storia che sottende una sorta di antropologia negativa: “quella che chiamiamo Storia/non è una cosa di cui menar vanto”, perché è opera del criminale che è in noi (What they call History/is nothing to vaunt of,/being made, as it is,/by the criminal in us). Né i filosofi possono soccorrere molto, soprattutto se si tratta di “brillanti sciocchi come Hegel” o di “intelligenti malvagi come Hobbes” (“with brilliant sillies like Hegel/or clever nasties like Hobbes” - Address to the Beasts).

La lettura si è conclusa con la recitazione di Musée des Beaux Arts, dove la rassegna dei quadri nel museo di Bruxelles diventa il pretesto per il tema della sofferenza contrapposta all’indifferenza, su cui mai sbagliarono gli Antichi Maestri, “cari” anche al drammaturgo austriaco Thomas Bernhard (ed Auden morì proprio a Vienna): “About suffering they were never wrong,/The Old Masters how well, they understood/Its human position” (sul dolore la sapevano lunga,/gli Antichi Maestri: quanto ne capivano bene/la posizione umana).

Avremmo auspicato anche la lettura di altri indimenticabili componimenti poetici di Auden, come le “elegie” in memoria di Sigmund Freud e di William B. Yeats, nelle quali il critico George Steiner ha osservato che si fa ricorso alla pathetic fallacy, ossia alla personificazione sapiente degli oggetti inanimati. Ma la sua vasta produzione richiedeva un’inevitabile scelta, con dolorose esclusioni: si è probabilmente privilegiata una dimensione in cui la scansione ritmica mettesse in risalto i componimenti più brevi. Per l’Auden più teatralmente complesso sarà forse il caso di aspettare la rappresentazione di opere liriche di cui egli è stato il supremo librettista, come nel caso di The Rake's Progress di Igor Stravinskij o di Elegy for Young Lovers di Hans Werner Henze.

Gran parte dei versi letti sono stati mirabilmente tradotti da Nicola Gardini, che qui vorremmo menzionare anche per la sua vicenda accademica di professore italiano costretto a fuggire all’estero, a Oxford, a causa del clima intimidatorio che regna spesso sovrano nella nostra comunità universitaria (cfr. I baroni, Milano, Feltrinelli, 2009).

Pubblicato in: 
GN16/ 21 giugno 5 luglio 2009
Scheda
Autore: 
Wystan Hugh Auden
Titolo completo: 

Anna Bonaiuto legge Auden

Introduzione di Franco Buffoni
8 giugno 2009
Roma - Auditorium Parco della Musica
Teatro Studio
Un evento di Le lingue della poesia

Anno: 
2009
Voto: 
9
Vedi anche: