Biennale di Venezia 2015. ALL THE WORLDS' FUTURES (?). Da Sabanci all'Armenia

Articolo di: 
Sandra Palombelli
Kutlug˘ Ataman

La Biennale Arte 2015 All The World’s Futures sarà aperta ai Giardini e Arsenale fino al 22 novembre 2015, dove sono collocate due installazioni nei due principali spazi, rispettivamente Wrong Way Time di Fiona Hall nel nuovo padiglione australiano e Every life is a fire di Ricardo Bray, artista cubano trapiantato in  Belgio, ospitato alle Corderie.

La prima si presenta come una wunderkammer in penombra dalla portata enciclopedica, piena di sculture, dipinti e oggetti d'ogni genere; ma, come per le teche più intime di Ricardo Bray, tutti gli elementi sono organizzati ed accostati con cura. Il sentimento del tempo è chiaro: la memoria personale e collettiva affastella esperienze diversissime, a cui gli artisti cercano di dare un senso in termini affettivi, poetici, ma anche riflessivi, per sottrarle all'oblio e all'inutile ingombro.

La necessità di costruire ogni mondo possibile e dare un senso alla nostra piccola, grande storia si contendono il primato del nostro tempo. Ed è in questa contesa il nostro zeitgeist. Ce lo dice la stessa Venezia: seducente, sorprendente e sempre in punto di morte.

È lusinghiera e forse è vera la dichiarazione d'amore di Peter Greenaway nel padiglione italiano, All'inizio era l'immagine, una video installazione monumentale ed estetizzante, come il suo cinema: “Tutto quello che  può essere realizzato ha la sua immagine nella pittura italiana”.
Senonché c'è solo l'arte italiana del passato nel suo video; intorno, nel resto del padiglione, artisti di grande notorietà, italiani e non, rendono omaggio a questo Paese evidenziando un rapporto problematico con un vissuto bellissimo e ingombrante.

L’Arsenale è uno spazio generoso dove si comincia da zero, sono libero di fare come voglio, non sono nel contesto di un padiglione con la storia di un Paese”. Lo disse Alfredo Jaar nel 2013, quando propose, nel Padiglione del Cile, un'opera che nulla aveva a che fare con il Cile e che al contrario invitava a ripensare la Biennale oltre la struttura fatta di partecipazioni nazionali, una struttura che ha fatto il suo tempo.

Il Presidente Paola Baratta ed il Direttore Artistico Okwui Enwezor, nell'introduzione alla guida, esprimono diplomaticamente due pareri diversi sulla questione: l'uno più legato alla struttura tradizionale, l'altro maggiormente attratto dalla universalità del linguaggio artistico.
Quest'ultima tendenza, quella di ricercare nuove modalità di fare e di proporre arte, emerge comunque alla Biennale, soprattutto negli spazi meno identificabili geograficamente, quelli dell'Arsenale, che di due anni in due anni, a partire dalle Corderie, si sono espansi sempre di più, fino all'Arsenale Nord, inducendo i visitatori a conquistare l'altra riva via acqua, la via di Venezia, elemento sfuggente e mobile per eccellenza.

All'Arsenale troviamo le esperienze più sorprendenti. Ad esempio The portrait of Sakip Sabanci, 2014, di Kutluğ Ataman, artista turco residente a Londra. I suoi film e video, dice il catalogo, sono “splendidamente minimalisti”. L'omaggio al filantropo Sabanci ha come la forma di un tappeto volante, composto da migliaia di piccoli pannelli video formato tessera, ritratti di persone che lo hanno conosciuto e apprezzato; le foto non hanno una posizione stabile ma si alternano creando un effetto luminoso policromo cangiante. L'installazione è sospesa al soffitto in modo da creare delle onde, come se aleggiasse per aria.

Proprio alla metà del lungo corridoio delle Corderie troviamo l'opera che probabilmente giustifica il Leone d'Oro all'artista vincitore di questa edizione, Adrian Piper con The Probable Trust Registry: quattro desk con relativi assistenti che fungono da mediatori fra me, visitatore più o meno consapevole, e la promessa che campeggia su ogni postazione, una promessa tra diverse che posso sottoscrivere; ogni promessa viene registrata e archiviata presso l'APRA (Adrian Piper Research Archive): a me rimane una stampa quale promemoria per l'impegno morale che ho preso. Niente paura, l'atmosfera è giocosa e tuttavia mi ricordo cosa ho promesso.

L'intento del Direttore Okwui Enwezor è abbastanza chiaro: riportare sulla scena dell'arte progetti dal respiro umano, storico, sociale: "occupando gli spazi e pre-occupando il tempo e il pensiero del pubblico". Si coglie anche il tentativo di una maggiore selezione sul piano della quantità, che consente una visita meno affrettata ed una esposizione più ariosa delle opere, e della qualità, tentando di affrancarsi da un concetto di arte usa e getta, totalmente asservito ad un mercato autoreferenziale.

A questa inclinazione engagé, più che a un merito eminentemente artistico, si deve l'attribuzione del Leone d'Oro per la migliore partecipazione nazionale all'Armenia, di cui si ricorda quest'anno il centenario del genocidio; Armenity, che ha la sua naturale ubicazione sulla silenziosa isola di S. Lazzaro degli Armeni (mal collegata, per la verità, con pochi vaporetti al giorno), presenta qualche piccolo gioiello dal sapore contemplativo, capace di toccarci lievemente ma in profondità, pur nel suo linguaggio semplice. Così i disegni/collage di Rosana Palazyan, fogli A4 verticali disposti nel verde del giardino ad ogni lato del chiostro, su piccoli leggii, presentano piccole piante incollate, le cui radici sono sono costituite da parole scritte a mano dall'artista e riportano i luoghi comuni dell'esclusione e del razzismo, sempre gli stessi per ogni diversità, minoranza, marginalità.

Pubblicato in: 
GN41 Anno VII 24 settembre 2015
Scheda
Titolo completo: 

Biennale Arte 2015: All The World’s Futures
la mostra è curata da Okwui Enwezor
26 | 06 | 2015
Venezia, 9 maggio > 22 novembre 2015