Caravaggio La bottega del genio. La doppia camera oscura

Articolo di: 
Livia Bidoli
Modello del San Girolamo Scrivente

Innumerevoli sono le ricerche e le tesi sul modo di dipingere di Michelangelo Merisi detto Caravaggio (1571-1610), di cui è ricorso il quadricentenario della morte nell’appena concluso 2010. Una delle indagini più approfondite – da parte di vari studiosi – ruota intorno alla cosiddetta “Bottega del genio” da cui è tratto il titolo della mostra che dal 21 dicembre 2010 e fino al 29 maggio 2011, ci accompagna a Palazzo Venezia a Roma.

Lo studio di Caravaggio a Roma in Campo Marzio (tra via dei Prefetti e via e piazza della Torretta) era aperto solo a tre persone: lui stesso, la prostituta Lena e Cecco, il suo unico allievo e modello. Dentro l’antro del genio si poteva accedere altrimenti solo con qualche mandato, come quello esposto nella mostra, di un ufficiale giudiziario che elenca tutte le sostanze possedute da Caravaggio (stilato nel 1605 e dietro denuncia della padrona di casa perché moroso dell’affitto da quattro mesi) tra cui due specchi: uno grande, verticale ed uno a scudo, convesso. Potrebbe proprio partire da qui la nostra analisi, coadiuvata dalle esplicite spiegazioni di una garbata addetta della mostra che accompagna tutti i visitatori – indispensabile in questo caso – nel percorso espositivo, rintracciando l’evoluzione della tela da bianca, alla vivificazione attraverso quattro dipinti resi vivi dalla loro riproduzione in vetroresina della Plastikart Studio.

Il primo dipinto che prende vita e dimensioni naturali è il Bacchino malato (1593-1594) conservato alla Galleria Borghese di Roma, che campeggia sul quasi propedeutico (ad un approfondimento) catalogo della Munus a cura di Rossella Vodret e Claudio Falcucci, rispettivamente ideatrice e curatore della mostra, insieme al commissario Giorgio Leoni. Per capire la natura degli specchi cui accennavamo prima e la loro sottolineatura, bisogna prima di tutto notare che il Bacchino, una delle prime opere che Caravaggio dipinse a Roma, ritrae sé stesso. Probabilmente assillato da problemi economici che non gli permettevano di pagare un modello, prese questa decisione che però comportava un problema da risolvere data la natura del dipinto: se il Bacchino con la mano destra tiene la frutta, Caravaggio avrebbe dovuto dipingere con la sinistra oppure continuamente lasciare e riprendere frutta e pennello, il che risulta estremamente complicato. La soluzione poteva essere uno specchio che naturalmente avrebbe ribaltato l’immagine. Questo avrebbe permesso di ritrarsi e dipingere con la mano destra mentre teneva la frutta con la sinistra (cfr. Giovanni Baglione, Le vite dé Pittori, Scultori et Architetti, 1642).

Questa prima ipotesi sull’uso degli specchi viene avvalorata (ma non confermata come nessun’altra  delle tesi esposte nella mostra che ergo presenta uno studio) dalle ricerche che ipotizzano che Caravaggio avesse effettivamente ricreato una camera oscura dentro la sua casa. Tutte le pareti erano, secondo molti studiosi come Giulio Mancini (cfr. Considerazioni sulla pittura, 1619-1621 ed anche von Sandrart e Bellori che approfondiamo in seguito) dipinte di “negro” (nero) e che fosse stato creato un buco nel soffitto da cui penetrasse la luce. Una sorta di foro che potrebbe essere stato usato come un foro stenopeico (un semplice foro posizionato al centro di una parete), che permette la proiezione dell’immagine capovolta proveniente dall’esterno ed irradiata dalla luce all’interno della camera oscura. Il foro aumenta la nitidezza dell’oggetto proiettato – in questo caso la riproduzione in vetroresina della Canestra di frutta (1595-1596, conservata nella Pinacoteca Ambrosiana di Milano) – perdendo però in luminosità. A questo si può ovviare con una lente, (secondo il principio che Fermat ha scoperto nel 1650), che forma un’immagine, sempre capovolta, ma maggiormente nitida e luminosa per via della convergenza dei raggi di luce causata dalla lente. A questo punto abbiamo un’immagine nitida e luminosa ma ancora ribaltata: uno specchio convesso sferico può raddrizzarla, indipendentemente dalla lontananza alla quale è posto dall’oggetto. L’ipotesi è che Caravaggio si servisse dello scudo a specchio (convesso, appunto) per ricalcare le immagini – i cui contorni sono rilevati dallo studio a luce radente che ne ritrova i segni – e che poi, con una luce maggiore, li dipingesse seguendo il percorso già tracciato.

Ai tempi di Caravaggio gli studi sulla camera oscura erano già avanzati e se ne conosceva il principio, chi però lo ricondusse nell’ambito della pittura fu Giovan Battista della Porta con il suo Magiae naturalis sive de miracoli rerum naturalium (1558), mentre il pittore Hans Hauer (1586-1660) a Norimberga ne fece utilizzare una “portatile” ai suoi allievi. Joachim von Sandrart nel suo L’Academia tedesca de la Architectura, Scultura e Pittura (1675), postula proprio l’uso, da parte di Caravaggio, della camera oscura sopra descritta, riconfermato da Giovan Pietro Bellori nel suo Le vite dé Pittori, Scultori et Architetti Moderni (1672). Gli studi di Cardano (1564) e di Barbaro (1568) – i cui frontespizi sono riprodotti ed approfonditi da pannelli esplicativi nella seconda sala – vanno nella stessa direzione.

Il dipinto della Vocazione di San Matteo (1599-1560, Chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma) ritrae una scena con una finestra aperta - oscurata potremmo dire per quanto riguarda i vetri perché non fanno convergere nessuna luce, oppure si tratta di scena notturna – che viene costantemente riflessa sugli oggetti in molti dei quadri di Caravaggio: dall’anforetta della Cena in Emmaus (1602, Londra, National Gallery) alla brocchetta dell’omonima Cena (1606), conservata alla Pinacoteca di Brera; nelle due versioni ancora del Ragazzo morso da un ramarro (1595-1596) della Fondazione Longhi di Firenze ed alla National Gallery di Londra (1595-1600, incerta l’attribuzione a Caravaggio); ancora nelle anforette del Bacco (1596 - 1597, Galleria degli Uffizi, Firenze) e del Suonatore di Liuto (1595 - 1596, Museo dell'Ermitage, San Pietroburgo; e nella Marta e Maddalena (1598, Detroit Insitute of Arts, Detroit), dove compare riflessa nello scudo a specchio convesso di cui abbiamo parlato prima. Presente anche in altri dipinti che citeremo a braccio, l’Incoronazione di spine, Giuditta e Oloferne, la Conversione di Saulo, e la Presa di Cristo nell’orto, la finestra è il leit motiv della mostra insieme alla camera oscura che, riprodotta in tutte le sale, ha il senso di dirimere un poco l’enigma della pittura del Sommo ala luce di un pertugio, al contempo rinsaldandone l’impossibile soluzione.

Le ultime tre stanze mostrano prima l’ipotesi dell’uso di un grande specchio piano citato nell’Inventario delle Robbe per il San Girolamo Scrivente (1605-1606, Galleria Borghese di Roma), con il modello riprodotto dal vivo in una stanza illuminata da un punto luce a parete sulla sinistra e la riproduzione dei segni trovati sul dipinto sotto la luce radente; la Medusa (1598, Galleria degli Uffizi di Firenze) rivelata nella sua terza dimensione, ovvero nel modello anch’essa, dipinta da Caravaggio su uno scudo convesso di legno, a ricalcare lo scudo a specchio dell’Inventario, riprodotto sul suo lato destro e su cui viene riflessa l’immagine sottolineandone le sue dimensioni più “vive”; per ultima la stanza di Caravaggio, come descritta nell’Inventario, a completare la visita nella bottega del massimo pittore dell’oscurità messa in luce.

Pubblicato in: 
GN35 Anno III 17 gennaio 2011
Scheda
Titolo completo: 

Caravaggio. la bottega del genio
Roma, Palazzo Venezia – Sale del '400 (piano terra)
Via del Plebiscito 118
22 dicembre 2010 - 29 maggio 2011

INGRESSO: dalle 10.00 alle 19.00 dal martedì alla domenica / chiuso lunedì, Natale e Capodanno
BIGLIETTO: intero €6,00 ridotto € 4,00 ridotto scuole € 3,00
INFORMAZIONI: 0688522480; www.munus.com
PROMOSSA E ORGANIZZATA DA: Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Roma
IDEAZIONE DELLA MOSTRA: Rossella Vodret
CURA DELLA MOSTRA: Claudio Falcucci
COMMISSARIO DELLA MOSTRA: Giorgio Leone
COMITATO DI STUDIO: Riccardo Bellè, Filippo Camerota, Marco Cardinali, Keith Christiansen, Maria Beatrice De Ruggeri, Sven Dupré, Claudio Falcucci, Mina Gregori, Roberta Lapucci, Giorgio Leone, Giuseppe Molesini, Pietro Roccasecca, Sybille Ebert-Schifferer, Andreas Thielemann, Rossella Vodret, Robert Wald
ORGANIZZAZIONE: Munus
MAIN SPONSOR: Banca Etruria
RICERCHE BIBLIOGRAFICHE E ICONOGRAFICHE: Belinda Granata, Elena Scarfo
con la collaborazione di Francesca Pasculli
ALLESTIMENTO: Eugenia Cuore
STRUTTURA ALLESTITIVA: Corridi sas
REALIZZAZIONE MODELLI in vetroresina: Plastikart Studio di Istvan Zimmermann
CATALOGO edito da MUNUS e L'Erma di Bretschneider