La casa di Jack. Von Trier firma la tassonomia del serial killer

Articolo di: 
Teo Orlando
La casa che Jack costruì

Dopo tre film intrisi di significati simbolici e metafisici come Antichrist (2009), Melancholia (2011) e Nymphomaniac (2013), con La casa di Jack (The House That Jack Built: il titolo è un'allusione alla popolare canzone per bambini "This is the House that Jack Built", composta di versi singoli che si costruiscono l'uno sull'altro per raccontare una storia, suddivisa poi in 12 blocchi di versi di varia lunghezza), Lars von Trier sembra riavvicinarsi a una scrittura più cruda e "realistica", come quella di Dogville (2003), anche se è un realismo carico di significati impliciti come raramente accade in film destinati al grande pubblico.

Il regista danese per i personaggi principali ha attinto a un cast di grande prestigio internazionale: il protagonista, un serial killer psicopatico, è Matt Dillon, noto soprattutto per I ragazzi della 56° strada, Tutti pazzi per Mary e Crash-Contatto fisico; perfetto nella parte, e con un controllo delle emozioni che gli è costato grandi difficoltà, come ha dichiarato nella conferenza stampa. La "voce" che lo accompagna costantemente, sfidando ed esplorando il flusso di coscienza di Jack attraverso un dialogo ricorrente, Verge, è interpretata da Bruno Ganz, grande attore tedesco, morto dieci giorni fa, noto per le sue collaborazioni con Werner Herzog, Wim Wenders, Ridley Scott e Francis Ford Coppola, e per film come Il cielo sopra Berlino (1987), Pane e tulipani (2000) e La caduta. Gli ultimi giorni di Hitler (2004). È a lui che dedichiamo, come omaggio, questa recensione.

Uma Thurman, Siobhan Fallon Hogan, Sofie Gråbøl e Riley Keough sono invece le quattro sfortunate donne che si imbattono in Jack in circostanze tanto casuali quanto sventurate: hanno quasi tutte (tranne Riley Keough) lavorato con il regista danese: ricordiamo in particolare Uma Thurman nei panni della signora H in Nymphomaniac, dove interpreta una donna che il marito vuole ostinatamente lasciare.

Le vicende del film sono ambientate in una non meglio precisata America degli anni '70 (come testimoniano i modelli obsoleti di automobili e l'assenza di telefoni cellulari), benché sia stato girato tra Svezia e Danimarca (a causa della nota fobia di von Trier nei confronti dell'uso dell'aeroplano).

Il regista segue il freddo e impassibile Jack attraverso quelli che chiama "five incidents", e cioè gli omicidi che definiscono la sua "carriera" come serial killer, intrisa di ossessioni artistiche e architettoniche. Per dodici anni Jack si convince di dover costruire ogni omicidio come se fosse un'opera d'arte, discutendone con la presenza misteriosa e invisibile chiamata Verge, che non esita a coinvolgere Jack in sottili riflessioni etiche, quasi un miscuglio grottesco di sofismi e di quella self-indulgence che sconfina nella nietzscheana volontà di potenza.

Senza anticipare più di tanto gli eventi del film, ci limiteremo qui a soffermarci sui particolari più inquietanti e densi che lo caratterizzano. Nel "primo incidente", Jack si serve della "tecnologia" per perpetrare i suoi crimini, dal cric per sostituire una gomma d'automobile a un congelatore industriale per conservare grandi quantità di carne. 

Nel "secondo incidente" Jack si finge un agente assicurativo per portare a termine l'ennesimo delitto, ma non esita a infierire più del dovuto sul corpo della vittima e a trascinarla fino al congelatore in un modo che potrebbe farlo individuare dalla polizia. Orgoglioso delle sue performance, Jack si attribuisce il nickname di "Mr. Sophistication" (dove è evidente sia il richiamo alle contraffazioni alimentari su scala industriale, sia a una presunta raffinatezza artistica del suo operato, sia ai ragionamenti contorti tipici degli antichi Sofisti, che usa quando discute con Verge).

Nel "terzo incidente" Jack si improvvisa "maestro di caccia", impartendo lezioni a una donna e ai suoi due figli: l'esito della battuta di caccia sarà tanto prevedibile quanto macabro, con un epilogo in cui Jack usa in modo macabro la sua conoscenza della tassidermia (la tecnica di preparazione e conservazione dei corpi degli animali, soprattutto vertebrati, per la visualizzazione, come per la messa a punto dei cosiddetti "trofei di caccia" o per l'esposizione nei musei).

Nel "quarto incidente" assistiamo all'incontro di Jack con Jacqueline, una donna che lui chiama "Simple", perché la ritiene poco intelligente. È qui che Jack confessa di aver ucciso sessanta persone e di essere il famigerato serial killer "Mr. Sophistication": ma né lei, inizialmente, né un poliziotto di passaggio gli credono: con conseguenze immaginabili...

Nel "quinto incidente", Jack ha imprigionato cinque persone e le ha legate a un palo di fortuna, allineando le loro teste in fila con l'intenzione di ucciderle tutte con un solo proiettile "incamiciato" (come nella versione italiana viene tradotto l'inglese full metal jacket, che ha dato il titolo a un celebre film di Stanley Kubrick sulla guerra in Vietnam), ad elevata penetrazione. Jack riuscirà a trovare il proiettile di cui ha bisogno con una serie di colpi di scena e di altri omicidi a sangue freddo, ma alla fine, incalzato dalla polizia, si troverà in una situazione a dir poco problematica.

Il film non si conclude come si potrebbe prevedere, perché von Trier realizza appositamente un epilogo con un titolo grecizzante (Katabasis, dal greco κατάβασις, che indicava la discesa dell’anima del defunto nel mondo degli Inferi). Al di là di qualche particolare grottesco o un po' "sforzato" (ad esempio Jack che veste un accappatoio rosso che lo fa somigliare al Dante Alighieri di certa iconografia; o Verge che assume proprio le vesti del poeta Virgilio come guida nell'inferno), sembra di assistere al capovolgimento delle scene finali di 2001. Odissea nello spazio, del citato Kubrick: come là avevamo il protagonista che rinasceva in forma di enorme feto cosmico, lo Star-Child, che si evolverà in una forma di vita superiore e raggiungerà forse il paradiso, così qui si aprono due porte, divise da un ponte spezzato: una che porta verso i gironi dell'inferno, l'altra, raggiungibile solo a caro prezzo, al paradiso. In mezzo si staglia un abisso che rappresenta i gironi più profondi dell'inferno stesso. Von Trier sembra quasi negare che l'uomo possa realmente scegliere la salvezza e denota un forte pessimismo antropologico sulle possibilità di redenzione.

E come suggello finale potremmo citare il grande Thomas De Quincey: «For the final purpose of murder, considered as a fine art, is precisely the same as that of tragedy, in Aristotle's account of it, viz., "to cleanse the heart by means of pity and terror." Now, terror there may be, but how can there be any pity for one tiger destroyed by another tiger?» (Trad. ita: "Il fine ultimo dell'omicidio, considerato come una forma d'arte, è esattamente lo stesso di quello della tragedia, nella descrizione di Aristotele, cioè "purificare il cuore per mezzo della pietà e del terrore". Ora, il terrore può esserci, ma come può esserci pietà per una tigre distrutta da un'altra tigre?). Estratto da On Murder Considered as one of the Fine Arts, (L'omicidio considerato come una delle arti, 1827).

Pubblicato in: 
GN16 Anno IX 25 febbraio - 4 marzo 2019
Scheda
Titolo completo: 

La casa di Jack
Titolo originale: The House That Jack Built
Lingua originale:    inglese
Paese di produzione:   Danimarca, Svezia, Francia, Germania
Anno:    2018
Durata:    155 min
Genere    orrore, drammatico, poliziesco
Regia:    Lars von Trier
Soggetto:    Jenle Hallund, Lars von Trier
Sceneggiatura:    Lars von Trier
Produttore:    Louise Vesth
Produttore esecutivo:    Tomas Eskilsson, Thomas Gammeltoft, Leonid Ogarev, Peter Aalbæk Jensen, Charlotte Pedersen
Casa di produzione:    Zentropa
Distribuzione in italiano:   Videa
Fotografia:    Manuel Alberto Claro
Musiche:    Víctor Reyes

Interpreti e personaggi
Matt Dillon: Jack
Uma Thurman: prima vittima
Riley Keough: Jacqueline "Simple"
Bruno Ganz: Virgilio
Siobhan Fallon Hogan: Claire Miller
Sofie Gråbøl: madre
Jeremy Davies: Al
Ed Speleers: poliziotto
David Bailie

Uscita al cinema 28 febbraio 2019

Voto: 
8.5
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