Caserta. Nabucco, il Titano di Verdi nella reggia vanvitelliana

Articolo di: 
Pietro Puca
Nabucco

La rassegna “Un’estate da re”, in programma alla Reggia di Caserta dal 4 all’11 luglio, ha dato spazio ad una speciale produzione di Nabucco di Giuseppe Verdi, nelle due serate di venerdì 8 e lunedì 11 luglio. La regia è stata affidata a Stefano Trespidi mentre sul podio dirigeva l'Orchestra ed il Coro del San Carlo e del Verdi di Salerno Daniel Oren: il cast vocale annoverava, tra gli altri, Leo Nucci, Sonia Ganassi, Vincenzo Costanzo, In Sung Sim e Susanna Branchini.

La prima volta che mi capitò di sentire Nabucco in disco – avevo più o meno sedici anni – ebbi l’idea che l’energia allo stato puro potesse trasformarsi in musica e che quest’ultima allo stesso tempo generare energia. Tanta fu la carica che quella autentica forza della natura riuscì a trasmettermi, a partire dall’incredibile ouverture, strutturata nella più classica “forma sonata” cui Verdi ha affidato una qualità musicale tanto cristallina da restare dentro l’ascoltatore, anche inesperto di opera, elettrizzandolo e trascinandolo nel vortice sonoro che, con i suoi 160 colpi di piatti e grancassa, non scade mai nella volgarità o nella banalità, facendo propria la passata lezione del crescendo rossiniano, ancorché rivisto in un’ottica affatto nuova, romantica, coinvolgente che dalla melodia affidata al flauto e clarinetto (che l’ascoltatore scoprirà poi appartenere al celeberrimo coro “Và pensiero…”) si risolve nell’allegro finale: i cavalli assiri che galoppano all’impazzata alla volta del saccheggio d’Israele.

Quando poi indagai la genesi dell’opera mi fu più chiaro il perché di tanta energia che percorreva l’intero capolavoro, financo nei momenti di più intimistico lirismo: era Verdi che con forza titanica usciva dallo stato di prostrazione in cui il destino (ah la fatidica parola che tanta parte avrà nella produzione del Maestro!) l’aveva gettato facendogli perdere d’un colpo ed a distanza di pochi mesi l’amata moglie Margherita ed i suoi due figli piccoli proprio, crudele scherzo del fato, nel momento in cui il Nostro adempiva al contratto con la Scala e scriveva la prima (ed unica) opera buffa osservando le bare uscire dalla propria abitazione.
Poi il miracolo, l’insistenza dell’impresario scaligero, la complicità di un libretto folgorante e ribelle di Temistocle Solera, le esortazioni del padre-suocero Barezzi e la tempra del Maestro furono un misto stupefacente che impressero al Compositore quella spinta che presto si realizzò in Nabucco, il più eschileo dei melodrammi, in cui presenza e preponderanza in scena del coro fa di questo un vero e proprio personaggio che si contrappone ai protagonisti veri e propri tramutandosi nell’anima profonda del popolo levitico oppresso dagli assiri e testimone della conversione che dall’oscurantismo pagano votato al culto di Belo ritrova il verace Dio degli ebrei nel mirabile coro a cappella del IV atto “Immenso Jheova” che di pochi istanti precede la scena conclusiva della morte di Abigaille.

Ciò fa di Nabucco un’opera dalle proporzioni gigantesche, paragonabile forse a quella dei grand-opéra dei decenni seguenti dell’800 con presenza costante di masse sulla scena la cui persistenza non disperde ma delimita, racchiude l’intimismo che promana dal fiume di musica che Verdi regala dei duetti, terzetti, nel sestetto del secondo atto “s’appressan gl’istanti…” e nelle arie, in verità non numerose, affidate a Abigaille, Nabucco e Fenena ove chiaro è il tentativo di scavare la psicologia dei personaggi offrendo all’ascoltatore una personalità a tutto tondo.
Si scopre che così Abigaille non è la tigre assetata di sangue, ma semplicemente una donna innamorata che forse non sa gestire “la furia di quell’amore”, come Nabucco non è il tiranno ma il padre premuroso disposto a rinunciare al trono ed a convertirsi per amor della figlia Fenena la quale ultima è la prima a ritrovare la verace fede pel tramite dell’amore con lo straniero Ismaele.

Un intreccio politico religioso in cui il sentimento dell’amore è destinato a restare sullo sfondo operando come il sasso sul fondo dello stagno nel muovere le singole personalità al dramma sino al suo naturale, e quasi scontato, epilogo di conversione generale e pentimento in punto di morte della “cattiva” Abigaille.
In questo dualismo formato da intimismo e grandiosità di sicuro la produzione di Caserta ha posto l’accento sul secondo aspetto: la necessità di riempire un palcoscenico smisurato con grandi masse corali, la musica all’aperto e la conseguente scelta (di sicuro obbligata) dell’amplificazione ha imposto il sacrificio del cuore più intimo e forse interessante dell’opera, tutto a beneficio di grandiosi effetti speciali frutto di una regia incredibilmente tradizionale che ha regalato la parte visiva di un Nabucco proprio come ciascuno di noi vorrebbe vederlo: le due scale discendenti verso il centro del palcoscenico con disposizione chiastica del coro, coloratissimo nei costumi davvero ben curati nei particolari impegnato in un continuo movimento scenico, di sicuro non facile, date le proporzioni del proscenio.
Dei cantanti il Nabucco di Leo Nucci con i suoi 74 anni di età si è rivelato il miracolo della serata: timbro fresco, sicuro, fermo, non una nota sporca od incerta, sicurezza nel centro della voce fanno di questo artista un unicum nel mondo del canto: uno dei rari esempi in cui al dono divino della voce si accoppia l’intelligenza dell’uomo di saper gestire lo strumento fino al punto di poterlo impegnare in una parte tanto pesante anche in età così avanzata.

Ricordo che solo Piero Cappuccilli negli anni ’90 in un Nabucco al San Carlo era riuscito a tanto.
Il confronto con Leo Nucci indubbiamente fa impallidire le prove di Susanna Branchini (Abigaille) e Vincenzo Costanzo (Ismaele), in particolare quest’ultimo con una presenza scenica ed una performance appena sufficiente non in grado di elevare il livello del personaggio, pur nella ristretta parte che Verdi gli affida.
Molto più convincente l’Abigaille della Branchini, anche se in palese difficoltà nella terribile cabaletta “salgo già del trono aurato..” e nel fraseggio generale: nel complesso il cesello del personaggio appare studiato con approssimazione probabilmente in ragione delle scelte di grandeur che l’organizzazione ha voluto piuttosto conferire all’intero spettacolo.
Di maniera anche Zaccaria interpretato da In Sung Sim, che di recente al Teatro Verdi di Salerno ha impersonato la parte del “padre guardiano” nella Forza del destino. Bel timbro di basso, apprezzabile rotondità della voce, ma povertà di accenti son la costante di cantanti stranieri, per la gran parte orientali, che non padroneggiano a dovere la “parola scenica” che proprio in Nabucco si delinea quale precisa scelta artistica di Verdi e che diverrà la protagonista nei lavori successivi.
Bella la voce della Ganassi (Fenena) con l’unico cruccio che la parte affidatale è davvero piccola (“ah dischiuso è il firmamento”) ed il ruolo di secondo piano.

Il coro (formato dagli artisti dei teatri di Napoli e Salerno) è stato spettacolare: movimenti precisi in scena, perfezione vocale, spettacolarizzazione nelle scene di massa (i cori “è Assiria una regina” e “Va pensiero”) con tanto di bis cantato tra gli ascoltatori hanno costituito il reale punto di forza dello spettacolo e la potenza trascinante del pubblico, restato al posto pur a dispetto delle lunghissime pause dei cambi scena a causa delle quali l’opera è terminata oltre l’una di notte.

Della direzione d’orchestra non c’è bisogno di presentazione alcuna: di sicuro Nabucco è l’opera preferita di Oren che la ripresenta spessissimo ponendo in risalto l’elemento ritmico dell’orchestra e talvolta eccedendo negli effetti speciali ed in qualche birichina smargiassata (non ultimo certe sottolineature timbriche degli ottoni ed il costante taglio delle cabalette) che tuttavia nulla tolgono all’artista che nei decenni ha fatto propria una partitura della quale dimostra di saper cogliere ogni sfumatura (notevole l’intreccio dei violini primi e secondi nell’aria di Abigalille “anch’io dischiuso un giorno”) che nelle serate trascorse a Caserta non era facile cogliere proprio a causa del taglio grandioso e possente conferito all’intero lavoro (di certo l’amplificazione ci ha messo lo zampino, ma si è consapevoli che non si sarebbe potuto fare altrimenti).
Gran bella serata, quindi, nella cornice della troppo poco valorizzata reggia vanvitelliana, forse la reale, unica e verace protagonista di un progetto di rilancio che, si spera, non resti confinato nel limbo dell’una tantum condito con la spettacolarizzazione di un kolossal che, pur nella gradevolezza generale e nella riuscita dello spettacolo, resta pur sempre lontano dall’ottica e dall’estetica di Verdi.

Pubblicato in: 
GN35 Anno VIII 21 luglio 2016
Scheda
Titolo completo: 

Un'estate da Re
La grande musica alla Reggia di Caserta

Venerdì 8 luglio – Lunedì 11 luglio ore 21.00
Nabucco
Musica di Giuseppe Verdi

Dramma lirico in quattro parti.
Libretto di Temistocle Solera, dal dramma Nabuchodonosor di Auguste Anicet-Bourgeois e Francis Cornu e dal ballo Nabuccodonosor di Antonio Cortesi.
Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala, 9 marzo 1842

DIRETTORE D'ORCHESTRA Daniel Oren
REGIA Stefano Trespidi
SCENE Alessandro Camera

NABUCODONOSOR Leo Nucci
ISMAELE Vincenzo Costanzo
ZACCARIA In Sung Sim
ABIGAILLE Susanna Branchini
FENENA Sonia Ganassi
IL GRAN SACERDOTE DI BELO Carlo Striuli
ABDALLO Francesco Pittari

Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo di Napoli e Teatro Municipale “Giuseppe Verdi” di Salerno

Nuovo allestimento