Il Dante di Pupi Avati. L'alta fantasia come guida alla vita del sommo poeta

Articolo di: 
Dario Pisano
Dante

Uscito nelle sale cinematografiche il 29 settembre scorso, il film Dante di Pupi Avati (prodotto da RAI CINEMA in collaborazione con Duea Film) sta riscontrando un consenso di pubblico sempre più generoso, a testimonianza dell’interesse perenne per l’opera dantesca, che – come scrive il poeta argentino Jorge Luis Borges –  «durerà ben oltre le nostre notti e le nostre veglie».

Il regista bolognese (classe 1938) era da anni che coltivava il sogno di realizzare un film sulla figura di Dante Alighieri. La prima stesura del soggetto la scrisse infatti nel 2003. In seguito, ha diretto altri lungometraggi tra cui Il cuore altrove (2003), fino ad arrivare a Lei mi parla ancora (2021).

Il film, anticipato lo scorso anno dalla pubblicazione di un romanzo, L’alta fantasia. Il viaggio di Boccaccio alla scoperta di Dante (Solferino), dal quale il lungometraggio è tratto, ha una chiave narrativa azzeccatissima. Essa consiste nella storia di un viaggio, ossia quello compiuto – ventinove anni dopo la morte del sommo poeta (1350) – da Giovanni Boccaccio (eccezionalmente interpretato da Sergio Castelitto), il quale, partito dalla sua Firenze – ammorbata dai postumi della terribile epidemia di peste nera – si incammina in direzione di Ravenna (quella città dove – come scrive Eugenio Montale in Dora Markus"un’antica vita si screzia in una dolce ansietà d’oriente").

Lo scopo del viaggio (è appena il caso di ricordare che quella del viaggio è la metafora precipua del poema dantesco) è consegnare alla figlia del poeta (Suor Beatrice, interpretata da Valeria d’Obici), monaca nel monastero di Santo Stefano degli Ulivi, una somma di dieci fiorini d’oro che la città di Firenze le offre come tardivo risarcimento per l’ingiusto esilio imposto al padre.

Nel suo itinerario dell’anima, attraverso i luoghi dove l’exul immeritus aveva soggiornato durante gli anni dell’esilio, quando – come scrive proprio Boccaccio – «con fatica disusata egli dovea il sostentamento di sé medesimo procacciare», il suo coraggiosissimo ammiratore incontra, oltre alla figlia, le persone che erano state con lui durante gli ultimi tempi dell’esilio ravennate; esplora inoltre quei luoghi così cari alla sua vita e alla sua poesia fino a ricostruire – attraverso una serie di flashback – la vicenda umana del poeta.

Non è dunque un film su Dante, quanto sul mito di Dante, diffuso in Italia e in Europa da Giovanni Boccaccio. Possiamo considerare l’autore del Decameron il primo Professore di Dantologia della storia, il primo tempestivo pontefice del culto dantesco. L’autore della Commedia – da lui definita divina – è stato l’astro più luminoso e brillante del suo firmamento letterario e poetico.

Lo scrittore di Certaldo ha sempre coltivato interessi danteschi, sin da quando era ragazzo e – a Napoli – scriveva poemetti in terza rima, come la Caccia di Diana (il suo esordio poetico pubblicato nel 1334). Ovviamente, l’adozione della terza rima implica il riconoscimento del patronato letterario dantesco.
Boccaccio è stato anche il primo biografo dell’Alighieri. A lui dobbiamo Il Trattatello in laude di Dante, che è la fonte principale di Pupi Avati. Questa biografia apriva una collezione di opere dantesche allestite di suo pugno (L’autore del Decameron per tre volte copiò i 14.233 versi del poema nei codici Toledano, Riccardiano e Chigiano).

Anche il ritratto fisico di Dante ha il suo archetipo in una pagina boccacciana:

« Fu […] questo nostro poeta di mediocre statura, e, poi che alla matura età fu pervenuto, andò alquanto curvetto, e era il suo andare grave e mansueto, d’onestissimi panni sempre vestito in quell’abito che era alla sua maturità convenevole. Il suo volto fu lungo, e il naso aquilino, e gli occhi anzi grossi che piccioli, le mascelle grandi, e dal labbro di sotto era quel di sopra avanzato; e il colore era bruno, e i capelli e la barba spessi, neri e crespi, e sempre nella faccia malinconico e pensoso. ».

Ha ragione Pupi Avati quando, in un’intervista, ha dichiarato che Boccaccio è la password per accedere all’universo poetico dantesco. Il suo film – al quale alcuni critici hanno rimproverato una regia anacronistica, legata forse a un budget meno consistente del necessario – ha il suo merito precipuo nella demonumentalizzazione di Dante. L’obiettivo consisteva appunto nell’umanizzazione di un mostro sacro: e qui il regista si è appoggiato, evidentemente, all’operazione compiuta da Martone su Leopardi nel suo “Giovane favoloso”.

Quindi ecco Dante nudo o seminudo, defecante, un po’ straccione, tormentato da problemi comuni (povertà, un amore impossibile, un matrimonio sbagliato, troppi figli…). In conclusione: abbiamo di fronte ai nostri occhi un Dante umano, troppo umano, nel suo sovraumano estro poetico.

Entro questa scelta di fondo, Avati si muove in modo perfetto. Il genio – ci insegna – «condivide con tutti gli uomini le angustie della vita». Ecco così che Dante ci viene incontro in tutta la sua vulnerabilità. Egli è veramente – come scriveva Ezra Pound – l’everyman, l’ogniuomo nel quale tutti possiamo riconoscerci.

Questo è l’aspetto ammirevole del film, appunto il copione d’invenzione, che poteva invece scadere nel convenzionale, nel trito, nel retorico. Il colpo di genio però è l’invenzione di Boccaccio e della sua mediazione, e la trasformazione del viaggio a Ravenna in una vera e propria quest alla ricerca dell’uomo Dante.

In questa prospettiva possiamo anche perdonare al film la sovrana indifferenza per Dante intellettuale, studioso infaticabile, e in fondo, perfino, poeta (nessun titolo dantesco viene mai nominato…). Si dà infatti per scontato che Boccaccio tutto sappia, tutto abbia letto, tutto conosca: la sua ricerca, la sua inchiesta, la sua quest è di tipo più intimo, più personale. Boccaccio è infine tutti noi, noi pubblico italiano che siamo andati a scuola e che conosciamo bene o male la Commedia, ma, appunto, con il rischio di avere di Dante un’immagine monumentalizzata, inavvicinabile.

Vorrei anche esprimere un entusiastico apprezzamento per il rigore filologico della narrazione, un merito che va accreditato alla prestigiosa équipe di dantisti che hanno offerto la loro consulenza al regista in fase ideativa e realizzativa. Dante che scrive gli ultimi canti del Paradiso con gli occhi rivolti ai mosaici ravennati è una finezza culturale che gratifica i palati più esigenti.

L’auspicio è che quest’opera cinematografica contribuisca a riavvicinare l’Italia al suo poeta più grande, che – come dice lo stesso nome Dante – è colui che dà, che dona all’infinito, in quanto participio presente del verbo dare (sempre a Boccaccio dobbiamo accreditare questa finissima interpretatio nominis).

Diceva Osip Mandel’štam che i canti della Divina Commedia sono frecce lanciate verso il futuro. Il classico – nella prospettiva del poeta russo – « è chi ancora ha da essere ». In questo senso, il nostro Dante è il futuro che abbiamo alle spalle.

Pubblicato in: 
GN47 Anno XIV 19 ottobre 2022
Scheda
Titolo completo: 

Dante

Lingua originale:    italiano
Paese di produzione:    Italia
Anno:    2022
Durata:    94 minuti
Genere:    biografico, storico
Regia:    Pupi Avati
Soggetto:    Giovanni Boccaccio
Sceneggiatura:    Pupi Avati
Produttore:    Antonio Avati
Casa di produzione:    Duea Film, Rai Cinema, MG Production
Distribuzione in italiano:    01 Distribution
Fotografia:    Cesare Bastelli
Montaggio:    Ivan Zuccon
Effetti speciali:    Fabio Tomassetti, Daniele Tomassetti, Sergio Stivaletti
Musiche:    Lucio Gregoretti, Rocco De Rosa
Scenografia:    Laura Perini, Mattia Federici
Costumi:    Andrea Sorrentino

Interpreti e personaggi
Sergio Castellitto: Giovanni Boccaccio
Alessandro Sperduti: Dante da giovane
Carlotta Gamba: Beatrice Portinari
Enrico Lo Verso: Donato degli Albanzani
Nico Toffoli: Ser Manetto Donati
Ludovica Pedetta: Gemma Donati da giovane
Erika Blanc: Gemma Donati da anziana
Alessandro Haber: Abate di Vallombrosa
Mariano Rigillo: Meneghino Mezzani
Paolo Graziosi: Alighiero di Bellincione
Leopoldo Mastelloni: Bonifacio VIII
Antonella Ferrari: Madre di Violante
Patrizio Pelizzi: Fazio da Micciole
Rino Rodio: Simone de' Bardi (marito di Beatrice Portinari)
Valeria D'Obici: Suor Beatrice
Romano Reggiani: Guido Cavalcanti
Patrizia Salis: Cilia di Gherardo Caponsacchi, madre di Beatrice
Giulio Pizzirani: Dante da anziano
Gianni Cavina: Piero Giardino
Milena Vukotic: Rigattiera
Morena Gentile: Donna Gozzuta
Cesare Cremonini: Lottieri
Sofia Vittoria Renzi: sorella Beatrice
Valentina P. Lombardi: prostituta di Dante

Voto: 
9