Donne lontane. Dopoguerra al femminile con Elisabetta De Palo

Articolo di: 
Livia Bidoli
Elisabetta De Palo

Il monologo Scendono le parole, suonano le campane con Elisabetta De Palo al Teatro Lo Spazio di Roma su testo di Gianni Guardigli dal 14 al 26 dicembre 2010, racconta un altro Natale, uno qualsiasi del Dopoguerra, una quotidianità immersa nella tragedia appena trascorsa, eppure viva nelle carni e nei pensieri di tre donne di ceti sociali e mestieri diversi. Le musiche sono di Riccardo Ballerini, i costumi di Stefano Cioncolini, le scene minimaliste di Maurizio Perissinotto e il disegno luci di Roberto Tamburoni.

Che cosa congiunge il racconto di una donna “bene”, sposata ad un gerarca fascista, senza figli, alla sua serva Tilde, ed alla cantante-attrice (ma non solo di notte) Doriana Doris, in questa piéce che dà il titolo anche alla melanconica canzone che Elisabetta De Palo canta nostalgica su musica nuova di Riccardo Ballerini?

La sofferenza sommessa, la tragedia insita in queste donne è tutta protesa verso le due gemelline Furlan, piccole ed innocenti vittime di questa guerra, terminata all’ombra di Salò, che raffigura il tormento di un’Italia alla deriva, senza un’identità politica forte, intrisa di quel campanilismo che s’ode nello stesso dialetto veneto quasi del tutto incomprensibile, un’altra lingua, patrimonio che lega ed allo stesso tempo allontana (l’unità linguistica prima di tutto si dovette fare in Italia!).

Le tre donne venete che straordinariamente interpreta l’attrice Elisabetta De Palo, convergono sulla sostanza del dolore, sull’ineluttabilità del caso, sul come – anche arbitrariamente rispetto al destino – si siano salvate: una di loro ebrea (la cantante); l’altra ha fatto un matrimonio di comodo con un gerarca senza nemmeno rendersene conto – così racconta a questo anonimo “comandante” che si scopre essere un segretario comunale investito di poteri “piccoli piccoli” (lo ricordava Monicelli nel suo capolavoro Un borghese piccolo piccolo su testo di Cerami); la terza, Tilde, la più ignara forse, popolana repressa e chiara epitome di una generazione intrisa di “buon costume” di stampo cattolico manicheista solo con le donne. Che dice la Tilde: “mi, mi vergogno anche davanti alla signora di spogliarmi, mica mi scopro io, nemmeno davanti a una donna!

La tragedia di un’Italia non cresciuta, “covata” con Maria la O di Carlo Buti:

Bella più di te
una donna c'è,
tu ne sei gelosa
tu lo sai chi è.

che riassume una situazione ancora convergente sul gerarchismo fascista con l’insana divisione tra “donne bene” (quelle che si sposano) e “cantanti allegre” (le odierne escort), ben annoverata dalla canzone stessa. Lo spettacolo sarà di nuovo presentato a febbraio al Teatro Due di Roma.

Pubblicato in: 
GN33 Anno III 29 dicembre 2010
Scheda
Titolo completo: 

Scendono le parole, suonano le campane

Testo di Gianni Guardigli
in scena Elisabetta De Palo

Musica di Riccardo Ballerini
costumi di Stefano Cioncolini
scene di Maurizio Perissinotto
disegno luci di Roberto Tamburoni

14 - 26 dicembre 2010

Studio 12 diretto da Isabella Peroni

Teatro Lo Spazio - Roma