Dubuffet, Parra, video arte. Aspetti vari della vicenda umana al Lu.C.C.A.

Articolo di: 
Alberto Balducci
Jean Dubuffet - Site à l'oiseau

Una serie di esposizioni, tra loro eterogenee, sono attualmente in essere presso il Lucca Center of Contemporary Arts: la prima e più importante riguarda il teorico dell’art brut Jean Dubuffet, e ne ripercorre una parte del percorso artistico esponendone circa 60 lavori. La seconda è una serie del toscano Gioni David Parra, Ulisse e la luce dell’ombra, in cui l’artista si misura con l’Ulysses di Joyce. Completa il panorama un’interessante rassegna di video arte, Fragile: handle with care, curata da Carolina Lio.

Le esposizioni sono formalmente eterogenee perché presentano lavori di personalità distanti tra loro, immerse in scene culturali differenti. Però è possibile trovare un qualcosa che le unisce tutte, come una sottolineatura a matita: è l’indagine dell’arte e del suo significato, in relazione all’espressività umana.

Per cominciare con Jean Dubuffet (1901-1985), abbiamo qui in mostra una serie di opere collegate in un modo o nell’altro con il nostro paese, e non a caso l’esposizione (che rimarrà aperta fino al 15 Maggio 2011 e realizzata in collaborazione con la Foundation Dubuffet) s’intitola Jean Dubuffet e l’Italia, a sottolineare il legame e l’influenza (bilaterale) dell’artista con l’Italia.

Questa relazione è ripercorsa a più stazioni: a partire dalle esposizioni prime e più importanti (come quella al Naviglio di Milano nel 1958) per passare poi attraverso la messa in scena a Torino nel 1978 dello spettacolo Coucou Bazar, fino all’omaggio alla Biennale del 1984 con la serie Mires.

Sempre evidente è l’interesse del francese per le produzioni “spontanee” di soggetti estranei alla cultura artistica, come bambini, malati di mente, popoli primitivi, che lo avrebbe portato a fondare nel 1947 (con André Breton, Jean Paulhan e Michel Tapié) la Compagnie de l'Art Brut: essa si rivela nella sua produzione in una serie di influenze di carattere ideologico, più che formale.

Tra i numerosi esempi esposti, un estratto della serie di litografie Les Phénomènes (1958-1962), che testimoniano lo studio e l’amore dell’autore per questo tipo di tecnica artistica, e che si presentano come una mappa topografica dalle mille sfaccettature, tutte giocate sulla sperimentazione con le infinite varianti della tecnica espressiva.

In alcune opere (oltre alle già citate litografie, la serie Matériologies, 1959-1960), questa ricerca su materiali e metodi crea superfici tridimensionali dovute all’impasto dei più disparati materiali, che di volta in volta divengono elementi vegetali, frammenti di quotidiani, addirittura altre opere, che rinascono così a nuova forma e nuova vita, creando textures quasi vive e pulsanti come microorganismi.

Nella serie dell’Hourloupe (parola senza significato costruita su assonanze e suggestioni lessicali) l’artista traccia grafiche sinuose lasciando che l’impulso creativo scorra libero, senza che la mano sia influenzata dal timone della mente cosciente. In queste opere composte solo da linee nere su bianco, e dal rosso e blu quasi puri, i soggetti ritratti si sfaldano in un’infinità di sotto-figure che, come un flusso di coscienza, sorgono al ritmo del pensiero dello spettatore.

Non viene tralasciata nemmeno l’esperienza musicale, condotta con l’amico Asger Jorn (il situazionista che fonderà il gruppo avantgarde COBRA, ispirato anch’esso in parte all’arte primitiva, lo stesso a cui il compositore americano John Zorn dedicherà un progetto omonimo di improvvisazione musicale radicale), di cui sono esposti e suonati i rarissimi vinili di Musique Phénoménale (edizione limitata a 50 esemplari del 1961).

Nelle opere di Gioni David Parra (classe 1962) siamo invece in un reame affatto diverso, a meno di non andare a considerare l’aspetto interiore dell’uomo come materia artistica. Le opere di Gioni prendono vita dall’Ulisse di James Joyce nella forma di attraenti creazioni in tecnica mista, dal carbone su carta bianca, a olio su carta da pacchi, a sculture di materiali misti, volte ad esplorare la funzione dell’artista come poeta e vate.

Come nell’Ulisse, in cui si tratteggia un’Irlanda spiritualmente paralizzata, nelle opere della serie Ulisse e la luce dell’ombra (esposta fino al 27 Marzo), Parra ci pone di fronte ad un mondo odierno de-umanizzato, e lo analizza attraverso gli strumenti del tempo e della memoria.

I vari materiali di cui la sua opera è costituita divengono veri e propri “reperti”, gusci di valori che l’artista/poeta ha il dovere di salvare dall’oblio delle sabbie dei tempi. Questo si ripercuote a tutti i livelli, da quelli più filosofici a quelli più pratici e sociali, nel tentativo di riportare a galla gli strumenti per rimettere in moto la rotazione di un mondo che si sta sgretolando in un atomismo che non ha niente di autenticamente umano.

Molte le opere emblematiche al proposito: la splendida Torre nera che ricorda la Babele biblica con la conseguente perdita dell’idioma collettivo (simbolo e origine d’incomunicabilità a più livelli); oppure le quattro tavole di In principio come ora che vanno a formare un sole suddiviso nelle quattro stagioni in ordine inverso, ruota del tempo che gira al contrario, riesumando via via i valori sepolti nel fluire delle ere. Il ciclo del sole (che gli antichi indù vedevano come il “grande divoratore”, in quanto ogni giorno divorava il tempo dell’umana esistenza) diviene la chiave di accesso al ciclo dell’uomo e della propria interiorità.

A livello invece più prettamente “materiale”, un’interessante scultura/installazione dalle sembianze di un pallottoliere, dove alle biglie colorate sono mischiati altri di quei “reperti” senza tempo, ci ricorda come la produzione artistica non debba sottomettersi ciecamente alle leggi economiche di mercato, se vuole conservare una funzione creativa ed espressiva degna di tal nome, superiore alla mera transazione pecuniaria.

Infine, la rassegna di video arte, ricollega tutte queste tematiche con la cruda realtà di fondo: la fragilità, sconcertante, dell’animo umano. “Handle with care”, recita il sottotitolo, e sicuramente la selezione dei filmati è stata fatta con cura a tale riguardo.

Abbiamo 18 video proiettati a rotazione fino al 15 Maggio, dalle caratteristiche più disparate: dai classici filmati basati sull’esplorazione di una singola idea, nei quali è la semplicità di mezzi e d’intento che vince, a produzioni dalla tecnica quasi cinematografica.

Ad esempio, nella prima categoria: When I fall in love di Kensuke Koike, dove l’innamorarsi è paragonato al rischio di soffocamento, e il regista semplicemente immerge la testa in acqua per un’apnea di 3 minuti; Starting with S di Giancarlo Norese, efficacissima rappresentazione della fragilità umana con un superman che si ferma in un quieto pianto prima di ricominciare a correre come tutti vogliono; Portrait of a woman 1947-2007 di Margot Quan Knight, dove sessant’anni di vita di una donna sono ripercorsi in un rapidissimo susseguirsi di fotografie di ogni età della signora, dalla culla al sessantesimo compleanno, in un monumento al tempo che passa e alla vita che fluisce nostro malgrado.

Il duo Masbedo ci regala un video dalla qualità tecnico-estetica eccelsa (11.45.03), con riferimenti esoterici alla sezione aurea e personaggi che sembrano tratti da un sogno a tinte scure.

Altre proposte interessanti sono il senza titolo del 1999 di Sonia Balassanian, un montaggio incrociato di donne newyorkesi tra voci rotte dal pianto, dichiarazioni di resistenza, rabbia e isterismi (un ottimo sunto della forza e della fragilità dell’universo femminile) e Maybe not di Oliver Pietsch, un vertiginoso collage (nello stile della Tracey Moffatt di Doomed), di scene di film in cui vediamo persone suicidarsi gettandosi nel vuoto e dove, con una toccante colonna sonora e qualche spassoso inserto splatter, l’artista ottiene una tragica ricostruzione di un’umanità che vive la vita a velocità suicida.

Quindi, volendo tirar due somme, il Lu.C.C.A. stavolta ci propone un’analisi variopinta e di larghe vedute: partiamo da un profondo studio del significato dell’arte a livello estetico e concettuale con Dubuffet, esplicitato poi in un creativo uso di materiali e forme, per passare ad un approfondimento filosofico ed etico del ruolo dell’artista nelle opere di Parra, che si lega alla letteratura occidentale contestualizzando l’esperienza artistica nello strato sociale odierno.

E infine, come un nastro che impacchetti la scatola del regalo, la rassegna di video arte ci ricorda che in tutto questo, tra artisti inconsapevoli, outsider, poeti e vati, ricerche e riflessioni più o meno profonde, il nostro essere sempre e comunque profondamente umani definisce, con il pesante carico che questo vocabolo reca da sempre con sé, tutta la nostra esperienza in questa vita.

Pubblicato in: 
GN43 Anno III 14 marzo 2011
Scheda
Titolo completo: 

Jean Dubuffet e l'Italia
12 Febbraio - 22 Maggio 2011
A cura di Stefano Cecchetto e Maurizio Vanni, in collaborazione con la Foundation Dubuffet (Parigi)

Gioni David Parra - Ulisse e la luce dell'ombra
12 Febbraio - 27 Marzo 2011

Fragile: handle with care
26 Febbraio - 15 Maggio 2011
A cura di Carolina Lio
Artisti rappresentati:
Emmanuelle Antille, Sonia Balassanian, Jasmine Bertusi, Eelco Brand, Silvia Camporesi, Fiammetta de Michele, Zackary Drucker, Gagik Ghazareh, Robert Gligorov, Agnes Janich, Kensuke Koike, Luca Christian Mender, Masbedo, Christian Niccoli, Giancarlo Norese, Oliver Pietsch, Margot Quan Knight, Giordano Rizzardi.

Anno: 
2011