Emerging Talents 2011. La spazialità della ricerca artistica

Articolo di: 
Alberto Balducci
Luigi Presicce - La benedizione dei pavoni

Talenti Emergenti, organizzato dal Centro di Cultura Contemporanea Strozzina e dalla Fondazione Palazzo Strozzi di Firenze, è una selezione di artisti italiani tra i 25 e i 35 anni cui viene data l’occasione di rappresentare lo status artistico italiano contemporaneo. Tra i 16 artisti selezionati, Luigi Presicce ha vinto il premio in palio, e tutti collettivamente sono rappresentati nella mostra che si svolge nelle stanze del CCCS fino al 1° Maggio 2011.

Come per la scorsa edizione (2009), la scelta dei candidati è stata condotta indipendentemente da 4 direttori di musei o gallerie di rilevanza nazionale nel panorama dell’arte contemporanea, ciascuno dei quali ha selezionato 4 artisti. Questa squadra di 16 artisti è stata valutata da una giuria internazionale d’eccezione, composta da Achim Borchardt-Hume della Whitechapel Gallery di Londra, da Barbara Gordon del Hirshhorn Museum di Washington e da Adam Szymczyk della Kunsthalle Basel.

Il risultato di tutto questo è un affresco variegato e stimolante, capace di rendere conto dello stato dell’arte contemporanea italiana attraverso una molteplicità di ricerche creative, modelli espressivi e interpretazioni del micro e macrocosmo.

Rispetto alla prima edizione, si evince una maggiore consapevolezza degli artisti relativamente allo spazio: la spazialità della realtà e le strategie per rapportarsi ad essa divengono un tema ricorrente quasi in tutte le opere esposte, sia essa intesa come spazio fisico o sociale, o ancor più come spazio psichico. In tal senso, anche la dimensione del tempo (la quarta dimensione relativistica) assume un’importanza non secondaria.

La mostra si apre con Riccardo Benassi, che con I can’t wait tomorrow invade immediatamente lo spazio della prima stanza del CCCS. Sono due tappeti di feltro che si dipartono da mura opposte fino a perdersi in una spirale a mezz’aria dimentichi del loro peso, mentre lo spettatore li calpesta ascoltando i suoni immessi nella stanza e leggendo le frasi appese. La realtà è totalmente sottomessa a una ridefinizione personale dell’esperienza: sia in termini spaziali che acustici e visivi; e pertanto anche temporali.

Nella seconda stanza abbiamo Monumento ai caduti di Giorgio Andreotta Calò: il video della performance sul Nuovo Comune di Bologna è una documentazione di un altro intervento di ridefinizione della realtà, con suggestive immagini dell’edificio che viene lentamente alla luce da un buio assoluto, quasi una creazione cosmica, in un diluvio di luce rossa e fumo.

Emergendo dal buio della stanza della proiezione, nel bianco corridoio principale dello spazio espositivo troviamo ad accoglierci un ambiente pieno di suggerimenti sensoriali atipici: suoni fragorosi si mischiano a rumori di oggetti che si rompono e a sibili in lontananza; installazioni e opere grafiche dalle tinte scure si stagliano con contrasti netti sulle pareti che delimitano la zona espositiva.

I “suoni fragorosi” sono dovuti all’installazione di Alberto Tadiello, E13 000625, uno spassoso doppio cannone-clacson appeso alla parete, che reagisce all’avvicinamento di uno spettatore emettendo il proprio suono senza alcun ritegno. L’opera è davvero invadente nella sua bizzarria estetica, sia acusticamente che fisicamente, con due tubi di plastica (amplificatori del suono del clacson) che protendono violentemente nello spazio espositivo.

Di fianco troviamo Luca Francesconi con la sua ricerca semantica su materiali e oggetti estratti dalla vita rurale. Il senza titolo d’ottone e legno che ci propone proietta questi oggetti in una dimensione metafisica e spirituale, a-temporale e a-spaziale.

Sulla parete opposta troviamo Alice di Alessandro Ceresoli, una serie di 16 tavole composte da stampe su alluminio di collage in bianco e nero popolati da animali, piante, volti e personaggi grotteschi, che narrano come un fumetto la storia dell’ugandese Alice Auma, fondatrice dello Holy Spirit Movement, movimento millenarista dalle tendenze mistiche e messianiche che tra l’86 e l’87 si oppose con insperati risultati al governo dell’allora presidente del paese.

In seguito, un presunto cugino di Alice, Joseph Kony, fondò il Lord’s Resistance Army, che si è macchiato dei più turpi crimini contro il popolo ugandese nel nome della Trinità cristiana. Ecco come il passo può essere breve, anche nei pesanti tempi della storia, tra vicende di fede e resistenza, e storie d’orrore inumano.

Le due stanze che si aprono in fondo a destra e a sinistra del corridoio principale invece ospitano opere molto diverse tra loro. Nella stanza di sinistra abbiamo esposte le tre fotografie che compongono Omnia Munda Mundis di Giovanni Ozzola, grandi stampe lambda di più di 2 metri e mezzo d’altezza che rappresentano “con precisione pittorica” i fiori di alcuni arbusti. Qui “le cose sono come sono”, come dice l’artista stesso, e in questo tripudio di fini dettagli la realtà fotografata (dal piglio quasi casuale) trapassa in opera pittorica strutturata con precisione.

L’altra stanza, sulla destra del corridoio, ospita l’installazione site-specific senza titolo di Valentino Diego, che è una delle più divertenti e coinvolgenti dell’esposizione. L’artista ha collocato, in corrispondenza dei tratti portanti dell’architettura della stanza, alcuni mobili anonimi, e vi ha posto delle vecchie radio modificate per emettere sibili la cui modulazione dipende dall’intensità del campo magnetico che investe le loro antenne. Tutti gli elementi sono collegati da una ragnatela di cavi elettrici ad altezza d’uomo.

In pratica, entrando nella stanza se ne modifica il campo magnetico, alterando i suoni prodotti dagli apparecchi. Inoltre, muovendo le mani vicino alle antenne, si può proprio provare l’esperienza di suonare un theremin, il capostipite degli strumenti musicali elettronici che funzionava proprio così, ed emetteva suoni analoghi. Qui lo spazio del museo si fonde con lo spazio dell’artista (i cavi sono tesi tutti alla sua altezza) e con lo spazio psichico del fruitore dell’opera, che gioca e interagisce con la creatività dell’artista stesso.

La grande stanza in fondo al corridoio principale invece, accoglie l’opera video di Antonio Rovaldi intitolata The opening day. Si tratta di due video sincronizzati, posti sulle pareti opposte più distanti, l’uno (a destra) mostra frontalmente il campione di baseball Fabio Betto intento a lanciare una serie di palle. L’effetto del lancio lo vediamo sull’altro schermo, dove le palle lanciate vanno a distruggere una serie di oggetti di ceramica. Lo spazio vuoto della stanza è il tempo di volo della palla lanciata.

Tutti gli oggetti e il lanciatore sono immersi in un buio assoluto: non v’è scenografia alcuna; il suono degli oggetti che si rompono e delle palle che rimbalzano sono amplificati e distorti da tonnellate di riverbero; il lanciatore è serio come ad un lancio decisivo di una finale di campionato. Queste caratteristiche estetiche conferiscono al divertente atto rappresentato uno spessore metafisico da dio della distruzione che emerge dal nulla cosmico, quasi uno Shiva dei valori borghesi, ritratti in anonimi soprammobili smaltati.

Il resto dell’esposizione è un percorso che si apre con tre opere di Patrizio Di Massimo, su mezzi espressivi molto diversi tra loro. The Negus said: “Give me the lion, keep the stele!” è un’opera audio che, attraverso testi sulla restituzione dell’Obelisco di Axum e del Leone di Giuda all’Etiopia (da parte dell’Italia che li aveva sottratti decenni prima) indaga il valore dei simboli e della dicotomia dare/avere (give/keep) in ambito storico.

Leptis Magna, sono nato qui è composta dalla copia serigrafica del fronte e del retro di un quadro attribuito a Mario Schifano (acquistato dal Di Massimo a Roma per poche centinaia di euro), e pone in gioco il vecchio dilemma sulla paternità artistica, richiamandosi ancora all’immaginario coloniale italiano.

Infine, Di Massimo espone anche 48 disegni d’inchiostro nero su carta bianca, dalla linea semplice e minimale, dove figure umane si compenetrano senza soluzione di continuità fra di loro e con ciò che le circonda. Un altro rimando, morboso, ad immaginari di conquista coloniale, visti stavolta dal di dentro.

Nella stanzetta subito a sinistra è proiettato il video della performance La benedizione dei pavoni di Luigi Presicce, l’artista vincitore di questa edizione di Emerging Talents. Nelle sue performance l’artista riesce a raggiungere elevati risultati espressivi, fondendo atmosfere teatrali e surreali con un gusto estetico quasi da pittura gotica, generando un crogiuolo di suggestioni disparate: ciò grazie anche a riferimenti a dottrine occulte e a connotazioni di stampo liturgico, a colori quali il nero, l’oro, il rosso e il bianco, all’uso di oggetti dal forte carattere simbolico.

Ad esempio, nella performance esibita, creata per la celebrazione di S. Antonio Abate a Novoli (Lecce), l’artista in completo bianco da massone e il volto del tutto coperto da una maschera bianca piramidale, indossando un grembiule rosso con raffigurato un fuoco sacro, tiene la mano destra in posa di benedizione, mentre con la mano sinistra regge una croce di legno recante un’effigie del santo. La posa ieratica genera un tableau vivant di forte impatto psicologico, la cui immobilità è interrotta soltanto da alcuni pavoni presenti nella scena, che si muovono nella luce gettata dalle lampadine di una sorta d’illuminazione natalizia posta alle spalle del santo.

La figura dell’artista diventa un muto Everyman sul quale convergono religioni, filosofie, superstizioni, fede, natura, scienza, tecnologia e miracoli. Una summa muta dell’incomprensibile vicenda umana.

Sull’ultimo tratto di corridoio, sono appese due opere di Rossana Buremi, Amore al plutonio e Cuore di donna, scene erotiche (a ben vedere piuttosto spinte) realizzate con olio e pongo su tessuto gobelin. L’ottima capacità tecnica e gli sfarzosi panneggi contrastano con gustosa ironia con i corpi intrecciati in fare orgiastico e con il pongo che copre parte delle opere. Anzi, quest’ultimo si tramuta da innocente trastullo dell’infanzia a un blob nero che divora i personaggi, come un vizio o una torbida, calda ossessione. E ricorda anche la turgida fisicità del desiderio e della carne.

Aprendoci la via nell’ultimo grande corridoio dello spazio espositivo, la prima opera che incontriamo è una Black & white italian flag di Loredana Di Lillo: la versione nera, grigia e bianca della bandiera la rende davvero anonima e svuotata di ogni sentimento d’unità nazionale (proprio nel ricorrere del suo 150°), in un’era in cui le ideologie sfumano nel passato della storia senza lasciare le basi per alcun futuro, e dove il potere s’è assottigliato ad un’asettica tecnica di controllo del consenso.

Loredana è una degli artisti che più avrebbe beneficiato di un’esposizione multipla delle proprie opere, in quanto il suo messaggio è acuto e stratificato in una varietà di mezzi espressivi.

Nella stanza attigua abbiamo un film sonoro ad opera di Meris Angioletti: I describe the way and meanwhile I am proceeding along it – Scena I, interamente basato sulla figura della pittrice astratta Hilma af Klimt. L’audio è un dialogo sulla pittrice, mentre sul pavimento sono proiettati strati di colore sovrapposti desunti da una serie di dipinti della Klimt, la cui figura è così spettralmente evocata, ma mai davvero presente. Qui l’opera e il suo effetto sullo spettatore si confondono pericolosamente.

Tornando nel corridoio, troviamo tre Imitazioni di Ludovica Carbotta: imitazioni di se stessa come ospite di un luogo, poiché sono calchi in cemento dei suoi piedi, sormontati da altro cemento del peso esatto dell’artista. Lo spazio è vissuto come unica interfaccia possibile tra il sé e il mondo esterno alla propria individualità.

Più in là è esposta un’altra imitazione dello spazio reale, stratificato in più aspetti: sociale, topografico, storico. Si tratta del Landscape project: una riproduzione in scala della pianta di Milano, realizzata esclusivamente con i frammenti di vetro che l’artista, Margherita Moscardini, ha raccolto durante le sue camminate nella città. Lo scarto della società consumistica diviene la città stessa e ne ricrea lo spazio.

Infine, l’ultima sezione della mostra ospita il duo Invernomuto con alcuni elementi della serie B.O.B.: un video (B.O.B. trailers chapter one, two and three), una lamiera di ferro aerografata (The Bobs) e una bizzarra scultura (Man can construct castles but not grottoes).

Si tratta in verità di elementi a prima vista eterogenei, che fondono insieme una lunga serie di suggestioni derivanti dalla cultura popolare americana, il cui unico collante è un’abbondante melma verde che inghiotte ogni cosa (una “unforgettable green slime”, come ha detto la giurata Barbara Gordon), in una sorta di blob multimediale.

Questi gli artisti e le opere esposte. Come si evince dalle brevi descrizioni delle opere, si nota una buona intenzionalità nella ricerca espressiva, in cui, attraverso i mezzi più disparati, si giunge spesso alla problematicità tutta umana del rapporto con la realtà circostante e con i suoi effetti sull’individuo e la società.

A volte si dice che l’arte deve riflettere il periodo storico in cui si forma; ebbene in questo momento in cui siamo sommersi di dubbi riguardo ogni aspetto della nostra civiltà, finanche nel più intimo della nostra coscienza, forse siamo su una strada che potrà condurre a qualcosa di utile anche per la comprensione della direzione che collettivamente abbiamo intrapreso.

Pubblicato in: 
GN41 Anno III 28 febbraio 2011
Scheda
Titolo completo: 

Talenti Emergenti 2011
Giovane arte italiana

CCC Strozzina - Centro di Cultura Contemporanea a Palazzo Strozzi

Firenze, 19/02 - 01/05/2011

Artisti in mostra:

  • Giorgio Andreotta Calò
  • Meris Angioletti
  • Riccardo Benassi
  • Rossana Buremi
  • Ludovica Carbotta
  • Alessandro Ceresoli
  • Loredana Di Lillo
  • Patrizio Di Massimo
  • Valentino Diego
  • Luca Francesconi
  • Invernomuto
  • Margherita Moscardini
  • Giovanni Ozzola
  • Luigi Presicce
  • Antonio Rovaldi
  • Alberto Tadiello
Anno: 
2011
Vedi anche: