Festival Opéra de Lyon. L'arcano Barbe-Bleue di Zholdak

Articolo di: 
Daniela Puggioni
Il castello di Barbablù. Victoria Karkacheva, Kàroly Szemerédy, Eve-Maud Hubeaux

La seconda opera in programma del Festival è stata Il Castello di Barbablù, capolavoro di Béla Bartók, prima e sua unica opera; data la sua brevità, meno di un’ora Andriy Zholdak, il regista, ha proposto due diverse interpretazioni registiche. Il Festival quest'anno è interamente online in streaming dal 22 al 26 marzo 2021.

Béla Balázs, drammaturgo, regista e sceneggiatore cinematografico, scrisse il libretto, basato su un suo testo teatrale poetico simbolista con echi espressionisti e pessimisti, un lavoro giovanile prima della sua adesione al comunismo. Balázs scrisse questo breve dramma ispirandosi alla favola Barbablù di Charles Perrault e ad Ariane et Barbe-bleue, opera teatrale del drammaturgo belga Maurice Maeterlinck, Balázs lo pose all'attenzione di Béla Bartók e Zoltán Kodály, ma non se ne fece nulla. Poi in occasione di un concorso per un'opera in un atto bandito nel 1911 dal Ministero per le belle arti di Budapest, Bartók decise di utilizzarlo, ma il clima culturale e politico in Ungheria era ostile verso composizioni così innovative e l’opera fu giudicata ineseguibile dalla commissione. L’opera fu rappresentata grazie a Egisto Tango, direttore italiano che guidava il teatro dell’opera di Budapest, che, dopo aver portato al successo nel 1917 Il principe di legno, il balletto di Bartók su scenario di Balázs, lo ripropose il 24 maggio 1918 insieme a Il Castello di Barbablù.

Da Maeterlinck, Balázs trasse il gusto simbolista, l’atmosfera arcana e sospesa rafforzata dalla segreta influenza esercitata da luci e colori senza gli aspetti più sanguinosi della favola di Perrault, qui le spose precedenti sono vive. Il dramma però si differenzia perché Barbablù viene riportato al centro della vicenda che viene preceduta dal prologo parlato del Bardo, spesso omesso nelle messe in scena, ma non in questa versione in cui è stato Kàroly Szemerédy a recitarlo. Il dramma, inoltre, è incentrato su un confronto serrato tra i due personaggi all’insegna della totale incomprensione e incomunicabilità fra i due sessi, che non può che avere un esito negativo e approdare alla totale solitudine di entrambi. La narrazione, immaginata da Balázs è caratterizzata da elementi simbolici: le sette porte, le sette chiavi, le tracce di sangue. Un’altra differenza dal testo di Maeterlinck è nel numero delle spose ridotte a tre con Judith quattro, ognuna rappresenta una parte del giorno: Judith sarà la notte e alla fine verrà rinchiusa insieme alle altre. All’inizio i personaggi sono immersi nelle tenebre poi ogni porta che si apre ha un contenuto diverso con una luce diversa per colore e intensità: nella sala della tortura, c’è un raggio rosso, nella sala delle armi, un raggio giallastro, nella sala del tesoro, un raggio dorato, nella sala del giardino, un raggio verde bluastro, nella sala del regno, un raggio bianco luminosissimo, nella sala del lago di lacrime, la luce cala d'intensità, quando si apre la sala delle mogli si chiudono le porte delle stanze luminose e appare un raggio argenteo e alla fine si ripiomba nelle tenebre.

Béla Bartók prima de Il castello di Barbablù non aveva composto musica né per il teatro né per composizioni strumentali di grande ampiezza. Il compositore per ogni scena ha creato temi e i timbri caratteristici con una stretta corrispondenza fra l’intensità e colore della luce e quella della tonalità impiegate in un percorso circolare che parte dal cupo fa diesis passa per le tonalità minori, poi le maggiori re e do per le stanze più luminose, per tornare alle minori e terminare in fa diesis nella tenebrosa scena conclusiva. In quell’epoca Bartók aveva già iniziato a raccogliere e studiare le musiche popolari che influenzarono la scrittura de Il castello di Barbablù, alla base della sua scrittura musicale c’è il canto popolare ungherese e rumeno nell’uso dei modi, maggiore e minore, e nell'invenzione ritmica. Queste caratteristiche sono maggiormente evidenti nel canto dei protagonisti con l’uso di un recitativo semplice e molto espressivo, composto di incisivi frammenti brevi e melodici. Il canto è anche caratterizzato da scale pentatoniche e dall’uso del rubato, il parlando-rubato, è infatti una caratteristica di quei canti, scoperta e teorizzata appunto da Bartók. Questo sistema di accenti è strettamente legato alla lingua ungherese e rende problematica la traduzione in altre lingue. Il sangue, la cui immagine torna ossessivamente in Judith in ogni scena, è evocato musicalmente dal bicordo più dissonante, la seconda minore, e genera le conseguenze armoniche e melodiche più diverse.

Un ascolto non dal vivo ma in streaming penalizza questa musica così complessa e seducente, per quello che ci è parso la direzione di Titus Engel è stata attenta ed efficace, assecondato puntualmente dall’orchestra. Kàroly Szemerédy ha molto ben sostenuto la parte di Barbablù in entrambe le versioni registiche, ma ci è sembrato più incisivo nella seconda dove ha potuto rendere meglio il disagio psichico di Barbablù. Judith ha avuto due interpreti diverse ma ugualmente brave Eve-Maud Hubeaux, nella prima parte, e Victoria Karkacheva, nella seconda parte, a nostro avviso la regia della seconda ha dato alla Karkacheva  più possibilità di esprimersi e di rendere i vari stati emotivi del personaggio.

Venendo alla regia di Andriy Zholdak, il regista è alla sua seconda esperienza a Lione dopo la Čarodejka (L'Incantatrice) di Čajkovskij. La sua regia si svolge su molti piani contemporaneamente, lo streaming fa vedere qualcosa ma non tutto l’insieme e quindi la percezione è stata sicuramente incompleta. La sua prima versione registica è stata imperniata su una tumultuosa e affollata di comparse e oggetti vari in un clima tra il Grand Guignol e Tinto Brass. Molto più interessante, per quel che si è potuto vedere, è stata la seconda, più attenta agli aspetti psicologici. Nello streaming però la visione di alcune scene con quelle proiettate della prima versione è stato penalizzato. Per concludere possiamo renderci conto degli sforzi che sono stati compiuti, ma il teatro è dal vivo, altrimenti si perdono gli intenti della regia, l’effetto delle luci e tutto il resto. Poi manca infinitamente il rapporto tra pubblico e interpreti che è un dialogo emotivo insostituibile e coinvolgente, altrimenti gli spettacoli assumono l’aspetto della commemorazione funebre del “Caro estinto”: lo spettacolo dal vivo.

Pubblicato in: 
GN22 Anno XIII 6 aprile 2021
Scheda
Titolo completo: 

Opéra de Lyon
Festival Femmes libres?

Festival in streaming dal 22 al 26 marzo 2021
Trasmesso in streaming il 26 marzo 2021 alle ore 20

Il Castello di Barbablù
Opera in un atto di Béla Bartók, 1918
Libretto di Béla Balázs

Direzione musicale: Titus Engel
Messa in scena, scene e luci: Andriy Zholdak
Scene: Daniel Zholdak
Costumi: Simon Machabeli
Drammaturgia: Georges Banu

Barbablù: Kàroly Szemerédy
Judith: Eve-Maud Hubeaux (prima parte), Victoria Karkacheva (seconda parte)
Orchestra de l’Opéra de Lyon
Nuova produzione
In lingua ungherese con sottotitoli in francese