Galleria Corsini. Il Cristo portacroce

Articolo di: 
Nica Fiori
G. Vasari, Cristo portacroce

I capolavori perduti o dispersi all’estero talvolta ritornano nel luogo dove stati realizzati, sia pure per una mostra temporanea. La Galleria Corsini di Roma (in via della Lungara) ospita fino al 30 giugno 2019 il Cristo portacroce di Giorgio Vasari (Arezzo 1511-Firenze 1574), dipinto nel 1553 per il banchiere Bindo Altoviti, e scoperto in un’asta di provincia degli Usa da Carlo Falciani, uno specialista della pittura vasariana.

Ricordo come a dì XX di maggio 1553 Messer Bindo Altoviti ebbe un quadro di braccia uno e mezzo drentovi una figura dal mezzo in su grande, un Cristo che portava la croce che valeva scudi quindici d’oro”. Basandosi su queste parole riportate dal celebre artista aretino nelle sue Ricordanze, lo studioso Falciani ha riconosciuto come autentica la tavola comparsa come anonima due anni fa ad Hartford in un’asta, tavola che corrisponde nelle misure e nel soggetto a quella descritta da Vasari e della quale si erano perse le tracce, dopo che era passata nel Seicento nelle collezioni Savoia.

Si tratta di una scoperta importante, che è ora esposta per la prima volta al pubblico italiano grazie alla disponibilità dei proprietari. Bisogna riconoscere che quest’opera, che costituisce uno dei vertici della produzione di Giorgio Vasari, è stata sapientemente valorizzata nella Galleria Corsini, inserita su un fondo azzurro che ne esalta i colori, entro uno spazio inquadrato da una porta. “Siamo tutti entusiasti e rapiti dalla bellezza di questo quadro”: così ha esordito la direttrice delle Gallerie Barberini e Corsini Flaminia Gennari Santori presentando l’opera alla stampa: “Un dipinto distante dal Vasari magniloquente e iconograficamente densissimo a cui simo abituati: austero, dalla composizione semplicissima, privo di qualsiasi spunto narrativo, sobrio eppure commovente”.

Ciò che colpisce maggiormente nel Cristo è il gigantismo del braccio, forse dovuto al fatto che doveva essere collocato in una cappella, più in alto di come lo vediamo, e soprattutto il volto, che appare “sognante e sorridente”, come ha evidenziato Carlo Falciani. Non c’è mestizia in Lui; gli strumenti del martirio sono appena accennati (si intravedono la corona di spine, la spugna e una corda sorrette dalla mano sinistra) per dare l’idea della redenzione e non della sofferenza. Evidentemente non si sente ancora il clima della Controriforma e Vasari guarda semmai al passato, in particolare a Sebastiano del Piombo e a Michelangelo.

Di norma si pensa al Vasari come a un pittore manierista noioso e farraginoso, oggi un po’ fuori moda, e ci ricordiamo di lui forse più come architetto (è suo il complesso degli Uffizi a Firenze), e ancora di più come storico dell’arte, il primo ad aver scritto le biografie dei più importanti artisti che lo hanno preceduto e di quelli a lui contemporanei. Questo dipinto è quindi fondamentale per approfondire la conoscenza di questo pilastro della cultura cinquecentesca e “se capiamo meglio Vasari pittore, capiamo meglio anche Vasari scrittore”, come ha affermato Barbara Agosti,autrice del catalogo insieme a Michela Corso e a Falciani.

Anche se riguarda un solo dipinto, la mostra Vasari per Bindo Altoviti. Il Cristo portacroce rientra nell’ottica di approfondimento del collezionismo a Roma, che la Galleria Corsini sta portando avanti con piccole mostre temporanee. In questo caso grazie ai pannelli di sala, viene messa in evidenza la figura di Bindo Altoviti (1491-1556),nato a Roma ma di nobile famiglia fiorentina, raffinato uomo rinascimentale, oltre che banchiere, amico delle arti e degli artisti, tanto da essere stato ritratto in età giovanile da Raffaello, e poi da Benvenuto Cellini, da Jacopino del Conte e da Francesco Salviati. Ed è proprio con Salviati, autore anche lui di un Cristo portacroce e amico di Vasari, che possiamo fare un confronto nella Galleria Corsini. Il soggetto di Cristo portacroce ebbe una particolare fortuna momentanea da parte di Vasari, perché lo replicò per altri committenti lo stesso mese, ma con misure diverse. Si conosce inoltre una copia nel Palazzo Reale di Napoli.

Essendo un sostenitore della fazione antimedicea, Bindo Altoviti venne condannato in contumacia all’esilio da Cosimo I nel 1554 e i suoi averi fiorentini confiscati (di questi in particolare si ricorda la Madonna dell’Impannata di Raffaello, conservata attualmente nella Galleria Palatina di Firenze). Morì a Roma nel 1556 e venne sepolto nella sua cappella di Trinità dei Monti. Del soggiorno romano di Vasari, dove si trasferì nel 1545, all’età di 34 anni, si ricorda la decorazione al soldo dei Farnese (anch’essi antimedicei) del Palazzo della Cancelleria, ovvero la Sala dei Cento giorni, così chiamata dal tempo impiegato dall’artista per portare a compimento l’opera, comprendente una serie di affreschi che glorificano il pontificato di Paolo III Farnese. Dopo un breve rientro a Firenze nel 1550, lo ritroviamo a Roma dove realizzò la cappella Del Monte in San Pietro in Montorio e lavorò a Villa Giulia per papa Giulio III Ciocchi Del Monte.

Nel 1553 Vasari era ancora a Roma, ospite di Bindo Altoviti, nella cui residenza romana, presso Ponte Sant’Angelo, affrescò la loggia con il Trionfo di Cerere, l’unica opera sopravvissuta alla distruzione del Palazzo Altoviti nel 1888 e collocata all’interno di Palazzo Venezia. Dopo aver lavorato a Palazzo Altoviti, Vasari rientrò a Firenze dove ricevette numerose commissioni da parte di Cosimo I de’ Medici e raggiunse una fama straordinaria.

Pubblicato in: 
GN13 Anno XI 5 febbraio 2019
Scheda
Titolo completo: 

Vasari per Bindo Altoviti. Il Cristo portacroce
Galleria Corsini, Via della Lungara 10, Roma

25 gennaio-30 giugno 2019

Orario: aperto tutti i giorni tranne il martedì, dalle ore 8,30 alle 19 (la biglietteria chiude alle 18).
Biglietto Barberini Corsini, valido 10 giorni nelle due sedi museali di Palazzo Barberini e della Galleria Corsini : intero 12€, ridotto 6€, gratuito per gli aventi diritto