I giganti della montagna al Valle. L'arcaica potenza dell'Invisibile

Articolo di: 
Livia Bidoli
I giganti della montagna

Una delle ultime opere teatrali di Luigi Pirandello, I giganti della montagna, incompiuta e scritta tra 1931 e 1933, con lo sfondo della Favola del figlio cambiato, (composta in musica da Gian Francesco Malipiero nel 1933), è in scena al Teatro Valle fino al 27 marzo 2011.

La magia misterica del mito sprofonda in questa rilettura originalmente venata di oniriche sazietà da Vetrano e Randisi con la compagnia Diablogues.

Non sappiamo dove siamo: alle pendici di una montagna i cui abitanti ci sono sconosciuti, riletti attraverso le parole affabulatorie di una compagnia di commedianti guidati da Ilse - una eccelsa Ester Cucinotti dalla voce intimamente turbata - e da una compagine umana, non altrimenti identificata che con il titolo di Scalognati, guidati dal mago e demiurgo Cotrone. Il castello de La Scalogna accoglie miseramente queste genti dimessesi dalla società, come testimonia il mago impersonato dal magnificamente inquietante Enzo Vetrano: la voce del mago Cotrone è una delle due voci di Pirandello, quella più assoluta, colui che cerca lontano dagli uomini la ricreazione dell’arte in termini assoluti, un luogo dove poter far levitare quelle forze della poesia naufragate tra gli uomini nel loro mare di parvenze e negazioni della realtà.

L’altra, contrapposta, e forgiata nella speme che fa ardere i teatri con la propria voce, che fa bruciare di spasimi un povero e giovine poeta d’amore per lei, non soddisfatto, è quella di Ilse, la Contessa ed attrice: lei, che per tutta la vita, ed oltre, si immergerà in quelle scene per conturbarne in un attimo i contorni, dando vita a ciò che non ha potuto con l’esperienza, per dare eloquio al quel tourbillon che le freme dentro, quel figlio non ricambiato che nell’arte. Il povero Conte, non fa che elargire denari e amore per questa donna votata all'idealismo della lotta sul palcoscenico della vita narrata, recitata, e le offre il braccio, con l'eleganza raffinata di Stefano Randisi, l'altro volto dell'umanità negletta, ed ispirata solo da etici tormenti e accoglienza per il possente desiderio di lei, Ilse.

C’è un terzo personaggio – a parte gli altri che vediamo misurare la scena, quelli delle due compagnie, di attori e Scalognati -: i burattini, quei fantocci che si animeranno nel dialogo con Ilse, in penombra, sulla panchina davanti a quel nugolo di fantocci che la processano dagli scranni di un parlamento divorante, coloro che non avranno pietas perché non sanno e non vedono l’invisibile, ma sono guidati da fili che li scuotono per inscenare una pièce che non hanno scelto loro, mai individui, mai vivi, mai nemmeno del tutto morti.

Un doppio si aggira per il palco, per incontrare sé stessa (la gemella attrice Maria Cucinotti), Ilse ha bisogno del suo specchio: di guardarsi dentro, alle parole recitate, per dialogare assertivamente con sé stessa, per estrarne quel coraggio da comunicare agli uomini, a dirimerne le tracce umane, condite d’inganno imposto dai ruoli.

In ultimo arrivano i giganti: quel grosso, percussivo fragore che li fa avvicinare agl'Immortali dell’Aleph di Borges (il racconto L’immortale, ed. Feltrinelli, 2003), i primitivi inconcepibilmente imperituri, quei radicali personaggi che, invisibili, vengono acclamati da Cotrone, il difensore della magia assoluta della fantasia che li chiama per un Apocalisse. La fantasia, l’unica, eterna prigioniera in quella villa, capace di rianimare le pagine, di far scorrere linfa vitale negli attori, lontana anni luce dagli uomini, molti, che non la comprendono, sembra somigliare ad una deistica e mitologica concezione arcaica, che solo un amore imperituro per essa possa far sopravvivere, in quel labirinto visionario, che qui Pirandello ha dipinto con le pareti dell’arte.

Una messe d’attori che hanno dato vita ad un incanto incapace di perdurare se non supportato da uno Stato che deve meritarsi di chiamarsi tale, se “uccide quel sogno”, come hanno testimoniato gli attori e registi Vetrano e Randisi davanti alla platea di un Valle destinato a chiudere secondo gli stolti disegni di trogloditi ben diversi da quelli del racconto di Borges.

Sotto questa luna di sangue, ove gigantiche ombre si addensano pervicacemente, le luci sempiternamente ombratili di Maurizio Viani hanno delineato i profili delle montagne di Marc’Antonio Brandolini alle scene, che vanno a levarsi contro un cielo di piombo che, nella peggiore delle ipotesi, si leverà contro tutti, immanentemente impressionante nella sua livida ombra fugace e tonante dalle tenebre.

Pubblicato in: 
GN44 Anno III 21 marzo 2011
Scheda
Titolo completo: 

I GIGANTI DELLA MONTAGNA
di Luigi Pirandello
luci Maurizio Viani
scene Marc’Antonio Brandolini
costumi Mela Dell'Erba
suono Alessandro Saviozzi
regia Enzo Vetrano e Stefano Randisi

La compagnia della Contessa
Ester Cucinotti e Maria Cucinotti Ilse, detta ancora La Contessa
Stefano Randisi il Conte, suo marito
Marika Pugliatti Diamante, la seconda Donna
Giovanni Moschella Cromo, il Caratterista
Giuliano Brunazzi Spizzi, l'Attor Giovane
Luigi Tabita Battaglia, generico-donna

Enzo Vetrano Cotrone, detto il Mago

Gli scalognati:
Antonio Lo Presti Duccio Doccia e il nano Quaquèo
Margherita Smedile La Sgricia
Eleonora Giua Mara- Mara
Paolo Baietta Milordino

Diablogues
ENZO VETRANO – STEFANO RANDISI

PROGETTO VALLE 2010 2011 - Teatro Valle - Roma
monografie di scena dal 15 al 27 marzo 2011
repliche serali - ore 20.45
20, 23, 24 e 27 marzo – ore 16.45
22 marzo – ore 19

Diablogues / Teatro Stabile di Sardegna / Teatro de Gl'Incamminati / Teatro Carcano
in collaborazione con Teatro Comunale di Imola

Testo scaricabile completato nel terzo atto dal figlio di Luigi Pirandello, Stefano