Jethro Tull. Il gene dell'immortalità progressive

Articolo di: 
Teo Orlando
Jethro Tull

Chiunque abbia mai ascoltato un singolo brano dei Jethro Tull sa che cosa aspettarsi dalla storica band progressive, che esordì nel 1968, al Marquee Club di Londra: una miscela esplosiva e inconfondibile di rock, folk, jazz, musica classica ed elettronica, in un amalgama così originale da non aver avuto, in pratica, nessun serio tentativo di imitazione. Il gruppo, guidato dal settantacinquenne e vigorosissimo Ian Anderson, si è esibito il 12 febbraio 2023 all’Auditorium Parco della Musica "Ennio Morricone", dove, oltre ai grandi classici, ha portato sul palco della Sala Santa Cecilia alcuni brani tratti dall’ultimo disco in studio, pubblicato all'inizio del 2022, dal titolo The Zealot Gene (un album, arrivato alla nona posizione della classifica inglese, che sintetizza, secondo l'autore, anni di riflessioni su temi e concetti biblici, da lui però visti come frutto di una narrazione fiabesca, se bisogna attenersi alle critiche del Libro sacro che già aveva abbozzato, in modo apparentemente sacrilego e "illuminista", nei testi dei primi album). Quello che è certo, è che a vederlo sul palco, Anderson sembra aver stretto un patto con il diavolo, assumendo il gene dell'immortalità della musica progressive.

Anderson si presenta sul palco introdotto da alcuni splendidi live visuals, armato del suo favoloso strumento: il flauto traverso, protagonista quanto le robuste chitarre, le eteree tastiere e le vigorose percussioni della band (composta da Joe Parrish, David Goodier, John O'Hara e Scott Hammond – si sente purtroppo la mancanza di Martin Barre, primo mitico chitarrista del gruppo).

Anderson si rivela un performer di tutto rispetto, anche se la voce non ha più l'estensione in ottave di un tempo (da voce impetuosa si è trasformata in una suadente voce adatta al "recitar cantando"), e ha rinunciato quasi del tutto a quella posa sul palco, in equilibrio su una gamba sola, come una divinità indiana, che molto ha contribuito alla sua immagine. A 75 anni ha un'energia strepitosa e suona il flauto divinamente. 
Sicuramente i Jethro Tull — nome mutuato dal pioniere della moderna agricoltura, l'agronomo Jethro Tull (1674-1741)  — resistono impavidi allo scorrere del tempo, tant'è vero che hanno presentato una setlist composta da almeno una canzone legata a ciascuno dei sette decenni di attività, fin dai tempi del primo album, This Was, del 1968, passando anche per il celeberrimo Aqualung, un concept album dove il folk e il rock si intersecano mirabilmente, arrivando poi a tempi più recenti, dove hanno anche flirtato con la new wave.

"Nothing Is Easy", il brano d'esordio (tratto dal secondo album della band, Stand Up), conferma le doti di dinamica del gruppo, di solito così impostata: a volte il pianoforte inizia delicatamente una canzone suonando una melodia molto ornata, che viene poi accompagnata da una chitarra distorta che suona un assolo. La chitarra passa poi a suonare un pattern ritmico per tutta la canzone, mentre Ian Anderson suona i suoi ariosi licks jazz con il flauto, alternandoli al canto vocale. La band mostra anche un grande senso del ritmo e del tempo, giocando all'unisono con i diversi strumenti per creare un suono profondo e ricco: una menzione particolare va a Joe Parrish alla chitarra elettrica, che ha suonato magnificamente, dando nuova vita a molti pezzi classici con il suo stile e le sue idee (forse un pizzico più di blues e heavy metal rispetto ai chitarristi precedenti). Il pezzo parte da un duro riff di chitarra, seguendo poi un andamento sinuoso su cui ognuno dei musicisti si mette all'opera grazie a brevi assoli che conferiscono alla canzone un'ossatura jazz.

Segue la celebre "Cross-Eyed Mary" (dal disco Aqualung), divulgata anche grazie a una cover degli Iron Maiden: si apre con il suono del mellotron, del basso e del flauto, avvolgendo l'ascoltatore in una nebbia inquietante e quasi mefistofelica. Al pesante riff di Parrish risponde subito la voce di Ian Anderson, con dizione nasale, finché il ritornello non diventa più acido. Durante una pausa, il flauto suona insieme alla chitarra, con la batteria che si fa sentire e qualche nota delle tastiere che condiscono il tutto. Il testo parla di una giovane prostituta che si guadagna da vivere frequentando i clienti nel sobborgo signorile di Hampstead Village (Cross-eyed Mary goes jumping in again/She signs no contract/But she always plays the game/She dines in hampstead village/On expense accounted gruel/And the jack-knife barber drops her off at school - Mary la Strabica ci si butta di nuovo/Non ha bisogno di firmare contratti/Ma gioca sempre allo stesso gioco/A pranzo nell'Hampstead village/Tanto la sbobba va in conto spese/E il barbiere dal coltello a serramanico/La lascia davanti alla scuola).

Segue "With You There To Help Me" (da Benefit), canzone che dipinge un paesaggio tempestoso con accordi minacciosi di flauto, rese soffocanti dall'accompagnamento del basso, mentre la chitarra blues sembra incoraggiare i fulmini. Anderson e il pianoforte di O'Hara forniscono un po' di conforto, anche se illusorio, e vengono immediatamente richiamati all'ordine dalla batteria marziale di Scott Hammond. La canzone, autobiografica, tratta delle difficoltà di non poter stare a casa con i propri cari mentre si è in tournée.

Con "Sweet Dream" (da Stand Up) abbiamo un brano hard rock in mi minore con chitarre acustiche di complemento e che tratta di un invito ad fuggire di casa sotto la veste di un testo inquietante, quasi soprannaturale: un narratore ultraterreno sembra invitare una ragazza ingenua a unirsi a lui in un mondo di lussuria.  La canzone è stata riarrangiata nei primi anni '80 su e ha avuto anche un video truculento, con il protagonista nei panni del conte Dracula.

Il blues in 6/8 "We Used To Know" (anch'esso da Stand Up), comincia con un lento crescendo che culmina in un assolo di flauto, seguiti dagli accordi blues della chitarra. Il testo autobiografico ricorda i problemi che John Evan Smash, uno dei primi membri della band, dovette affrontare per per formare i Jethro Tull. È notevole che la celebre canzone "Hotel California" degli Eagles (1976) abbia accordi molto simili, soprattutto nella progressione armonica.

Seguono due brani più recenti, "Wicked Windows" (da J-Tull Dot Com) e "Holly Herald" (da The Jethro Tull Christmas Album): quest'ultimo è una riscrittura di due canti natalizi tradizionali ("Hark! The Herald Angel Sing" adattato dal compositore tedesco Felix Mendelssohn-Bartholdy e "The Holly and The Ivy"). Flauto e fisarmonica dominano questo medley, meno austero delle canzoni originali, con ogni strumento che fa sentire la sua voce.

Con "Clasp", la fredda atmosfera delle tastiere lascia il posto a un clima più etereo su cui si innestano un mandolino celtico e il flauto. La voce di Ian Anderson, dapprima distante, si fa più veemente. La chitarra pesante flirta con il metal e il blues in alcune battute. Il testo evoca due mani che chiudono un accordo in città blindate in cui la stretta di mano, simbolo di amicizia (e anche di pace: la mano destra avanzata dai cavalieri rivelava l'assenza di un'arma), è rara e svuotata del suo significato, forzata solo da politici ipocriti (e sul video scorrono immagini con Trump che stringe la mano a Putin, Reagan a Gorbacev e Rabin ad Arafat).

"Mine Is the Mountain" (dall'ultimo album, The Zealot Gene) è una canzone quasi filosofico-teologica, con sonorità neofolk che ricordano un po' i Current 93 di David Tibet: il testo riflette su Dio come vittima e sulla "disperazione dell'uomo nel creare questa figura di riferimento, e in forma umana, perché è l'unico modo in cui possiamo comprenderla", per usare le parole dello stesso Ian Anderson.

La prima parte del concerto si conclude con il celebre adattamento della Bourrée in mi minore di Johann Sebastian Bach, con il flauto sempre in primo piano.

Dopo l'intervallo, la band rientra proponendo "Heavy Horses" (dall'album omonimo), un brano decisamente progressive. Dapprima radioso sotto i lampi della chitarra elettrica e della batteria martellante, accompagnati da un flauto trionfante, il brano ha un momento di pura nostalgia segnato da un bell'assolo di pianoforte, da alcuni tocchi di violino (riprodotti dal sintetizzatore) e dalla voce sensuale, quasi sussurrata, di Ian Anderson. La canzone prende poi una direzione più frenetica, guidata dalla chitarra e dalla sezione ritmica che suggeriscono il galoppo dei cavalli, destinati comunque a essere soppiantati dal trattore: ma i baroni del petrolio un giorno rimarranno a secco e verranno a pregarli di tornare in prima linea.

Ancora un brano dall'ultimo album, l'eponimo "The Zealot Gene": canzone dalla ritmica incalzante, con un testo ispirato in parte dall'aumento del populismo di destra "e da come le opinioni estremiste sembrano diffondersi più liberamente e tutto diventa più esagerato - a volte attraverso le notizie di cronaca, altre tramite tweet feroci".

Dopo lo strumentale "Warm Sporran", che raggiunge un perfetto sincretismo tra musica celtica (cornamuse, mandolino, cori maschili) e disco (basso funky) e con Anderson che suona un frenetico assolo di flauto, ascoltiamo ancora un ultimo brano da The Zealot Gene, "Mrs Tibbets",  che allude alla madre di Paul Tibbets, il pilota dell'Enola Gay che sganciò la bomba atomica su Hiroshima nel 1945. Il testo è lancinante: "Don't feel bad," they said, about the numbers/Don't feel bad about the melting heat/The burning flesh, the soft white cell demise/And the shattered ground beneath the trembling feet ("Non sentitevi in colpa", hanno detto, a proposito dei numeri/Non sentitevi in colpa per il calore che si scioglie/La carne che brucia, la morte delle cellule bianche morbide/E il terreno in frantumi sotto i piedi tremanti).

Ben segue il brano la vecchia "Dark Ages", che mette in mostra le sue ricchezze progressive. Alcune inquietanti note di piano, effetti di vento, la voce gelida e distante di Ian Anderson con un delay sono sufficienti a creare una scena invernale. La voce di Ian Anderson diventa straziante nei ritornelli: l'età oscura evocata si riferisce all'avvicinarsi di un temuto inverno, dove neppure le élite saranno risparmiate nelle loro torri di vetro, ma anche la piccola gente che non ha potuto fare nulla per evitare che le luci si spegnessero.

Non poteva mancare il classico "Aqualung", dall'omonimo terzo album del gruppo. Il brano  si apre con un memorabile riff di chitarra, dopo di che Anderson intona un canto impetuoso e sarcastico, che si infrange in un ghigno lascivo (in linea con il tema della canzone). Il suono della chitarra scandisce il brano con colpi secchi. Poi la melodia si calma, la voce di Ian Anderson, accompagnata da una chitarra acustica, diventa distante, ariosa, leggermente distorta, mentre le note suonate dalla band provocano una certa tristezza. Ma l'incantesimo nostalgico si spezza, quando gli strumenti all'unisono riprendono il ritmo. Il cantante conclude con una voce implorante, prima che l'introduzione venga curiosamente ripetuta a mo' di conclusione. Pochi sanno che il nome "Aqualung" designava originariamente un'attrezzatura per le immersioni subacquee. Ingenuamente, l'autore del testo pensava di poter utilizzare il nome senza dover presentare una richiesta ufficiale per l'utilizzo del marchio. Ma la canzone ha poco a che fare con la marina militare, perché parla di un clochard, abbandonato da tutti, nel gelo di dicembre, deciso a urinare sui piedi per riscaldarsi e ad affrontare l'ipocrisia dell'Esercito della Salvezza. Il suo soprannome deriva dall'asma, che gli provoca un rantolo simile al respiro dei sommozzatori. Raccontata da un narratore onnisciente che non esita a trasportarsi nel profondo del cervello del senzatetto (ricordandogli le sue sofferenze durante i rigidi inverni), questa canzone racconta le reazioni paradossali di fronte alla più devastante miseria. Infatti, pur suscitando pietà, il nostro barbone scatena anche sentimenti contraddittori: lancia sguardi perversi alle scolaresche, mentre il suo naso gronda di moccio.

La band sembra qui volersi congedare, ma c'è tempo per un doppio bis: la celeberrima "Locomotive Breath" (da Aqualung) e la strumentale "The Dambusters March" (da Bursting Out). "Locomotive Breath" è una grande metafora del destino del genere umano di fronte alla globalizzazione e alla crescita demografica. Certo, sembra soprattutto evocare la corsa di un treno ferroviario, ma senza dimenticare il treno della crescita umana che non si ferma. Gli arpeggi inquietanti di un pianoforte solitario riecheggiano nel silenzio, mentre la chitarra risponde quasi in sottofondo. Il pianoforte poi vaga in un'improvvisazione jazz prima che il convoglio prenda velocità, guidato dalle percussioni incessanti di Scott Hammond, da un basso ronzante e dai riff incessanti di Joe Parrish. La voce profonda di Ian Anderson racconta la storia di un uomo su una locomotiva impazzita che non si fermerà mai e che può portare a una sola destinazione: la morte. A poco a poco, l'uomo solitario, dopo aver visto la sua prole scappare tra due stazioni, la moglie schiamazzare volgarmente in un letto riscaldato dal suo amante (incidentalmente il suo migliore amico), deve rassegnarsi: il potente vagone è un treno in corsa, il cui freno a mano è stato malignamente manomesso da Dio e da uno strano vecchio, di nome Charlie (forse Charles Darwin, che ha rivelato la fine dell'evoluzione umana. Oppure Charles Dickens, che pone sadicamente i suoi personaggi nella più profonda indigenza). Nel brano si sentono anche echi di treni tratti dalla musica classica (Pacific 231 di Arthur Honegger) e poi ripresi da compositori di avanguardia (Different Trains di Steve Reich). E probabilmente ha ispirato altri brani di sapore ferroviario nell'ambito del progressive (Traintime di Peter Hammill dei Van Der Graaf Generator e Trains dei Porcupine Tree di Steven Wilson, che ha anche rimixato alcuni dischi degli stessi Jethro Tull).

Il concerto si conclude con una standing ovation, meritatissima, per una band che come poche ha emancipato il rock (seppure nella sua forma progressive) dall'etichetta di musica "di consumo". Io propendo per considerare ormai il progressive come una forma semipopolare di musica colta. Del resto, il pubblico, anche anagraficamente, era piuttosto quello della musica classica, con prevalenza della fascia di età tra i 45 e i 70 anni. Pochissimi i ragazzi sotto i 30 anni, per lo più al seguito di genitori sessantenni. E anche gli applausi erano tanto convinti e appassionati quanto calibrati e non eccessivi, proprio come ai concerti di Mahler o Brahms.

Pubblicato in: 
GN15 Anno XV 15 febbraio 2023
Scheda
Titolo completo: 

Jethro Tull

Auditorium Parco della Musica "Ennio Morricone"
Fondazione Musica per Roma

Domenica 12 Febbraio 2023
h. 21:00
Sala Santa Cecilia
 

Setlist
1.    Nothing Is Easy (da Stand Up)
2.    Cross-Eyed Mary (da Aqualung)
3.    With You There to Help Me (da Benefit)
4.    Sweet Dream (da Stand Up)
5.    We Used to Know (da Stand Up)
6.    Wicked Windows (da J-Tull Dot Com)
7.    Holly Herald (da The Jethro Tull Christmas Album)
8.    Clasp (da The Broadsword and the Beast)
9.    Mine Is the Mountain (da The Zealot Gene)
10.  Bourrée in E minor (Johann Sebastian Bach cover) (da Stand Up)
Intervallo
11.    Heavy Horses (da Heavy Horses)
12.    The Zealot Gene (da The Zealot Gene)
13.    Warm Sporran (da Stormwatch)
14.    Mrs Tibbets (da The Zealot Gene)
15.    Dark Ages (da Stormwatch)
16.    Aqualung (da Aqualung)

Encore

17.Locomotive Breath (da Aqualung)
18.The Dambusters March (Eric Coates cover) (da Bursting Out)