Last Words di Gabriele Tinti. L'estremo messaggio prima del momento finale

Articolo di: 
Marianna Dell'Aversana
Gabriele Tinti

In ogni epoca è sempre stato controverso il rapporto dell’uomo con Thanatos (Θάνατος), la morte, e, in ogni tempo, si è dato a ciò una risposta diversa; nell’antichità greco-romana, infatti, era un diritto di ciascuno decidere quando abbandonare la vita, assurgendo quasi allo status di eroe per questa scelta, come nel gruppo scultoreo de Il Galata suicida.

Nella concezione cristiana, invece, bisogna attendere che si compia il proprio destino, continuando a vivere anche quando le condizioni esterne sono avverse, sopportando coraggiosamente tutti gli strali della sorte. I suicidi, pertanto, nell’immaginario contemporaneo sono stati spesso considerati negativamente, in quanto violenti contro sé stessi, in quanto l’assolutezza del gesto risulta, nel senso comune, di per sé terribile. Assurgono, invece, ad una dimensione diversa nel testo di Gabriele Tinti, Last Words, edito recentemente dalla casa editrice Skira, una raccolta di sessantanove found poems, dove vengono riportate le parole a cui è affidato l’estremo messaggio prima del momento finale.

Gli attimi ultimi di questa umanità dolente vengono, in tal modo, ricostruiti attraverso la viva voce degli stessi protagonisti, la quale voce non è affatto manipolata, alterata dall’autore, ma restituita fedelmente, per far affiorare così la loro assoluta libertà di diventare artefici consapevoli del proprio destino. Sono messaggi drammatici, che trafiggono il lettore per la loro essenzialità, per l’affermazione perentoria della loro volontà di concludere l’esistenza, lasciandola, tuttavia, allo stesso tempo in una dimensione di sospensione.

Ciò che colpisce è come la scrittura sia l’ultimo gesto di coloro che decidono di abbandonare la vita, come se le parole fossero un estremo tentativo di lasciare un segno tangibile del proprio passaggio, della propria identità che non dovrà essere negata, sopita dalla morte; anzi proprio attraverso il modo di riempire gli spazi bianchi di un foglio o di uno schermo, ciascun suicida riafferma sé stesso, lasciando un indizio della propria personalità: sommessa per coloro che delicatamente si congedano, veementemente appassionata per chi urla forte il proprio dolore. La scrittura, quindi, si configura sia come strumento per recuperare un senso che sembra sfuggire, sia come espressione di un ulteriore anelito alla vita, l’ultimo, facendo, in tal modo, affiorare tutta la complessità e tragicità del gesto.

Un tale progetto narrativo curato sapientemente da Tinti, lontano da ogni artificio letterario, privo di ogni retorica, trova un’evidenza icastica nelle foto di Andres Serrano, autore della serie The Morgues, in cui l’obiettivo del fotografo si sofferma sui corpi arrivati all’obitorio, irradiandoli con una luce artificiale che lascia emergere una visione estetizzante della morte. Il linguaggio e l’immagine, pertanto, si intrecciano indissolubilmente tra loro consentendo ai protagonisti di continuare a far riecheggiare il loro grido o di dolore o di speranza di una nuova pace, squarciando le barriere dell’hic et nunc della condizione umana.

Pubblicato in: 
GN23 Anno VIII 21 aprile 2016
Scheda
Autore: 
Gabriele Tinti
Titolo completo: 

Last Words, immagini di Andrea Serrano, Milano, Editore Skira, 2015, pp. 104. Euro 17,00