London Parafin. La planimetria dolce di Celaya

Articolo di: 
Valerio Mazzetti Rossi
Enrique Martinez Celaya

Entrare in una galleria d’arte contemporanea è sempre rischioso per un visitatore più o meno interessato. È facile confondersi, perfino tra una birra e un bicchiere d'acqua. La galleria Parafin, situata nel cuore pulsante dello shopping e delle grandi multinazionali artistiche di Londra, offre, oltre che i citati drinks e le poche, amabili “note sull’artista”, la figura di Enrique Martìnez Celaya. Uomo di cinquant’anni. Nato nella fredda Cuba degli anni '60 e cresciuto nel mondo che conta.

Partendo nel 1994 presso la University Art Musem di Santa Barbara (California), giunge in Inghilterra. L’incontro tra le due parti, la galleria e il pittore, è maturo. Per quanto lo spazio del Parafin non offra un'“adeguata” possibilità di esposizione (due piani stretti e cunicolari), la localizzazione delle opere d’arte è ragionata. Vengono presentate un range di oltre quindici opere (è sempre più difficile trovare pianificazioni murali con riflessivi spazi bianchi) costruendo un'esibizione semplice e intuitiva.

Il libretto di presentazione dell’artista è abbastanza limitato. Si notano punti di incomprensibilità narrativa (“l’esibizione compie un percorso semi-autobiografico”?) che confondono e rendono esageratamente più complicata la lettura delle opere. Diffidate. Una piccola regola, di chi ha la fortuna di visitare eventi artistici per lavoro, è quella di  scambiare due parole con il mittente del materiale esposto. Perché alla fine dei conti si parla di materiale. Colori, stesure, geometrie e segni. Cornice, legno, sostanze chimiche e organico. Partire curiosando immediatamente su un disegno limita la nostra vista, perché fissiamo geometricamente, come retina vuole, e focalizziamo i componenti e li gettiamo, inconsapevoli, alle emozioni. Fermi. Non fatelo. Martinez Celayo urge una doppia se non tripla osservazione.
Osservare “Tall Gate” significa accorgersi di una pennellata sicura, non verace. Una tela composta (da una profonda esperienza occidentale) e da imperfezioni che non danno il senso di anti-professionalità. Celaya lavora alle opere con razionalità. L’artista è coinvolto nel progetto. Un progetto che non ha modifiche. È sicuro il tratto. Altalenante tra leggere spatole e lunghe lingue. Una decisa simmetria non visibile ad una prima superficiale occhiata.

Volgendo il discorso alle installazioni (circa 1/3 delle opere) non troviamo un differente criterio. Valigie e altro bagaglio vengono ordinati prima a torre e poi presi singolarmente costruendo artefici cinematografici (The wind’s home e The Children’s Rhyme).

La pittura di Celayo parte da questa stretta collisione tra simmetrie e colori sicuri e illuminanti per progettare mondi naturali. Prendiamo un’anoressica silhouette di Modigliani e immergiamola in un natura montaliana, peresistente ma non invasiva. Avremo una narrativa totale.
Si comprende come l’artista sia consapevole dell’atto. E non ci sono cambi di programma. Celaya è un pittore che ha sognato di fare il pittore. E su questo solo che applausi. Al nostro breve incontro dissi: “Sento la tua necessità di non offendere nessuno, di creare una planimetria dolce. I tuoi personaggi sono addolorati ma non piangenti. Conoscono la forza della natura e c’è un controllo su di essa. Una finale consapevolezza di rassegnazione. Non piango di loro né li commisero. Sono attori da bar parigini del 1920. Intellettuali. Caduti. Riflettono la capacità del tuo controllo sulla tua vita”. Celaya annuisce. Uomo curioso e riservato. Curiosa su se stesso con non poca cattiveria. Ma è poetico e struggente il pennello. Simboli senza morale perché Celaya ne ha già una. Una cattolica sociale partecipazione. Educata e affascinante.

Il pesce  nella spiaggia dell’artista è l’osso di Montale. È la maturità dell’arido, della piattezza nell’arenarsi. La facile conclusione di un’onda vitale che non arriva. Perché l’onda di Celaya non arriverà mai. Morirà nel momento in cui guarderemo attentamente l’uomo. Non ha paura del contrasto, del confronto. Il tutto è molto distaccato. L’ “altro” è sminuito. Regolarizzato. Ordinato come delle valigie perpendicolari. Come un dorso di uomo. Celaya, non ancora arrivato ad una concreta maturità artistica,  cela un proprio emisfero globale. Un tratto. Celaya non ha nessuna pistola d’oro e probabilmente non la possederà mai. Ha creato un proprio tunnel visivo. Un buco nella parete filosofica, seppur ancora primordiale e genuinamente adolescenziale, che rompe l’idea della natura-padrona.

Un sorriso lo lanciamo. Ma il buco di Enrique Martinez Celaya maschera uno strabiliante buco nero. Pronto ad esplodere. Attendere.

Pubblicato in: 
GN46 Anno VI 29 ottobre 2014
Scheda
Titolo completo: 

Londra
Galleria Parafin. 18 Woodstock Street, London W1C 2AL
Enrique Martìnez Celaya
The Seaman's Crop
Le valigie di un’artista cubano

17 ottobre - 22 novembre 2014