Man Ray. Juliet e i mille volti della passione creativa

Articolo di: 
Alberto Balducci
Man Ray - ritratto di Juliet Brown

Il newyorkese Man Ray, amico di Duchamp e dei dadaisti, fu un simbolo di creatività e amore per la vita: ci ha lasciato opere che trasudano passione disinteressata e divertita sperimentazione, realizzate con quasi ogni mezzo creativo. Anche nella fotografia, fu maestro e pioniere. Una summa concisa e pregnante dei suoi risultati in quest’arte ci è offerta dal ciclo completo delle 50 fotografie che ritraggono sua moglie Juliet, in esposizione presso il Lu.C.C.A. fino a Dicembre.

Man Ray (Emmanuel Radnitzky, classe 1890) conobbe Juliet Brown nel 1940 a Hollywood, quando tornò a vivere per una diecina d’anni in America – si era ormai trasferito a Montparnasse, da quando si era reso conto che “il Dada non può vivere in America”. Lei, ballerina e modella, gli rimase accanto da subito fino alla fine della sua vita, nel 1976, e quando nel 1991 anche lei se ne andò, si fece tumulare accanto a suo marito e scrisse sulla sua tomba “together again”. Fu musa, amante e moglie.

La forte passione che univa i due è documentata in modo inequivocabile nelle Fifty Faces of Juliet, che sono la parte fondamentale dell’esposizione al Lucca Center of Contemporary Art. La serie consta di 50 scatti ad opera di Man Ray, il cui unico soggetto è sempre la moglie Juliet, e si tratta di una serie senza tempo (sebbene le date siano sparse negli anni ’40 e ’50).

Compositivamente, Juliet è ritratta in ogni posa, dalle più naturali a quelle più impostate, prediligendo i primi piani, ma ottenendo anche delle figure intere di sommo interesse. Man Ray riesce a far fuoriuscire la femminilità dell’affascinante donna qualunque sia il tipo di vestito indossato, e qualunque sia la posa. È evidente la spassionata vena creativa cui la donna si sottoponeva con piacere, tanto quanto è evidente la passione dell’artista verso di lei e verso la femminilità tutta. Alcuni scatti trasudano di questo sentimento di dolce venerazione senza prevaricazione.

Questa forza di sentimento diventa amore per la vita e i suoi piaceri, condensati in un estemporaneo e sensuale atto creativo, immortalati nella perenne riproducibilità delle stampe fotografiche. Ma non per questo Man Ray era meno libero di fronte alle sue opere. Si sente come esse siano soltanto una materializzazione della sua passione, e non un fine in sé: ecco perché Juliet fece scrivere sulla lapide del marito “unconcerned but not indifferent”. In queste parole giace un grosso pezzo della ricetta dell’eterna felicità.

In questo senso, Juliet può essere una sorta di Everywoman: vi è uno scatto dove la sua figura nuda e rannicchiata si nasconde nel mezzo della foresta, come una driade dei boschi, una Diana incarnante la selvaggia forza della natura, libera. E in tutti i suoi costumi e nell’età indefinibile di certi scatti, si leggono vicende di tutti i tempi e luoghi.

Molti scatti sono stati poi rilavorati, sia sperimentando in fase di sviluppo («I committed hateful crimes against chemistry and photography», confessa lo stesso Man Ray) che in fasi successive, ad esempio “colorando” le stampe con matite (così, giocosamente) o tracciando i contorni dei volti con penne ad inchiostro.

L’importanza anche nella storia della fotografia è elevata, e mette in rilievo numerose tecniche di sviluppo, stampa e trattamento degli scatti che furono introdotte in primo luogo dall’artista stesso, e in seguito divenute terreno comune della tecnica fotografica.

Ad esempio, la solarizzazione o l’effetto rilievo; oppure l’esteso uso della retinatura, con effetti poetici di rara semplicità ed eleganza. Vogliamo far notare qui di sfuggita come adesso, sessant’anni più tardi, su questi effetti si basino i programmi di fotoritocco, con risultati estetici (a livello tecnico) assolutamente immutati.

Diverse copie della stessa fotografia sono a volte alterate con processi differenti. Il giocare coi contrasti, che siano tra colori (i guanti neri sul bianco corpo nudo, l’ombra di una visiera che taglia il viso, il buio dello sfondo da cui emerge la floridità del corpo nudo e vivo) o tra forme (le ombre lineari di una tapparella distorte dai lineamenti del volto giustapposte alla geometria della tapparella stessa, geometrie rigide spezzate dalle curve di un nudo) è estremamente espressivo nella sua semplicità di contrapporre una sola coppia di elementi alla volta.

A completare quest’elogio della vita e della creatività, una serie di fotografie che ritraggono l’artista, già vecchio, nel suo studio a Parigi, dove sono nati i rayograph (percorsi poetici assoluti che tanta fortuna dovettero avere, ma che qua non sono esposti) con accanto a lui ancora e sempre Juliet. E la macchina fotografica con cui queste opere si sono materializzate.

All’ingresso del delizioso edificio che ospita la mostra, una teca espone alcune piccole opere, gioielli di humour irriverente: il fantomatico oggetto indistruttibile (il metronomo con la foto di un’occhio incollata sul braccio oscillante) che Man Ray voleva distruggere con un sol colpo di martello ben assestato, e che in realtà è un monumento al suo cuore infranto; il dispositivo per fumare; l’audace dono dadaista (un ferro da stiro con una sfilza di chiodi); l’uovo addomesticato (uno uovo finto “al guinzaglio”, “meno commestibile di uno vero”); la palla senza neve (inutile agitarla).

Ultimo tocco che chiude la mostra, la proiezione di uno dei film di Man Ray, Le Mystères du Château du Dé (1929)1 , surreale realizzazione dei primi momenti del cinema, con un montaggio davvero splendido e uno studio dei contrasti di linea, chiaroscuro, e significato linguistico che sempre hanno appassionato l’artista.

I dadi, e quindi il caso, hanno un ruolo fondamentale qui, e come tali divengono simbolo dadaista e quasi dichiarazione d’intenti: “un tiro dei dadi non abolirà mai il caso”2 ; il caso non si determina, si è solo manifestata una delle infinite possibilità. I due viaggiatori che nel film partono per l’ignoto dopo aver tirato i dadi sono Man Ray e il suo assistente Jacques André Boiffard. In fin dei conti, tra “dadi” e “dada” il passo è breve.

1 La proiezione del film è in rotazione con La Coquille et le Clergyman di Germaine Dulac, adatto all’occasione in virtù del tema della femminilità e della passione uomo/donna, anche se in termini più morbosi (vista attraverso la controversa storia di un prete che desidera una giovane). (torna al testo)

2 «Un coup de dés jamais n’abolira le hasard» (torna al testo)

Pubblicato in: 
GN23/ 5 ottobre - 2 novembre 2009
Scheda
Autore: 
Man Ray
Titolo completo: 

Man Ray. The Fifty Faces of Juliet 1941-1955

13 Settembre - 6 Dicembre 2009

Presso Lu.C.C.A. - Lucca Center of Contemporary Art

Lucca, Via della Fratta 36

Anno: 
2009
Vedi anche: 

LU.C.C.A.

Le Mystères du Château du Dé @ ADNstream: