Marble di Marina Carr al Vascello. L'onirico desiderio di marmo

Articolo di: 
Giuseppe Talarico
Marble

Lo spettacolo Marble, in scena al Teatro Vascello di Roma dal 12 febbraio al 6 marzo 2011, tratto dal testo della drammaturga irlandese Marina Carr, possiede la grazia e la perfezione poetica che raramente si possono trovare nelle opere degli autori contemporanei.

La rappresentazione ritrae e descrive le inquietudini esistenziali e l’angoscia che opprimono simmetricamente due coppie, Ben e Katherine, da un lato, e Hart e Anne dall’altro lato, che apparentemente hanno una vita matrimoniale felice e scevra da ogni forma di conflitto e incomunicabilità.

Nella parte iniziale dello spettacolo assistiamo ad una conversazione tra il divertito ed il faceto fra Ben ed Hart che, oltre ad essere amici sono colleghi, in un locale pubblico dove, rilassati, bevono scambiandosi opinioni di varia umanità. Improvvisamente, senza provare imbarazzo e sfidando le buone regole che impongono di essere ipocritamente reticenti nel rapporto con gli altri, Hart confessa al suo amico Ben di avere fatto la notte precedente un sogno erotico, in cui si trovava avvinghiato in un  amplesso ricco di passione e piacere con la moglie di Ben, Katherine, che non ha mai visto. Ben, sconcertato e preoccupato, gli chiede come mai questo sia accaduto, senza che l’amico sia in grado di dargli una spiegazione plausibile e convincente.

Appena rientrato in casa Ben, con l’animo tormentato e dominato dal pensiero del tradimento e di una catastrofe familiare imminente, ha un dialogo con la moglie, grazie al quale scopre che Katherine ha fatto lo stesso sogno, in cui si trovava unita in un amplesso gratificante con il suo amico Hart in un luogo adorno di marmo bianco, lugubre e macabro che evoca il sepolcro e, quindi, la morte.

In questa parte dello spettacolo il riferimento alle tematiche psicanalitiche è fin troppo scoperto ed evidente. Infatti, secondo Freud, i desideri che si formano nella parte profonda dell’io emergono e prendono forma attraverso le immagini, generate dalla dimensione onirica durante il sonno notturno. Ben teme che la moglie sia in procinto di tradirlo e che la sua famiglia stia per smarrire la sua serenità e tranquillità. Per questo, in seguito, Ben continua ad interrogare il suo amico Hart per sapere se il sogno, che tanta inquietudine e angoscia gli ha procurato, si è ripetuto.

Quando Ben diviene consapevole che sia la moglie sia il suo amico non riescono a liberarsi dal loro reciproco desiderio, la sua vita inizia a oscillare dolorosamente tra stati d’animo contrastanti, passando dalla disperazione, che lo induce a suggerire all’amico di possedere la moglie pur di affrancarla dalla sua ossessione onirica, all'impotenza dinanzi al dolore irrimediabile di Katherine di fronte al rifiuto di Hart. Lui dichiara di non potere tradire sua moglie, il cui nome è Anne, donna intelligente ma incapace di comprenderlo profondamente. Anche Hann, in ogni caso, si accorge che la parte più profonda dell’io del marito è soggiogata da un desiderio d’amore selvaggio, rispetto al quale è estranea e distante.

In realtà, questa situazione surreale e grottesca, rappresentata in modo magistrale e straordinario nello spettacolo, fa emergere la distanza che esiste tra il mondo dei sogni e l’opacità della realtà quotidiana, tra l’immaginario che si nutre dei desideri coltivati dall’animo umano e la vita soggetta a regole assurde e convenzionali che soffocano la libertà interiore di ogni individuo, generando dolore e disperazione.

Oramai la vita matrimoniale di Ben è destinata a naufragare, poiché la moglie sprofonda nel sogno e rifiuta la realtà misera e meschina della vita quotidiana. Quando avviene, finalmente dopo molto tempo e grandi sofferenze, l’incontro tra Katherine e Hart, mentre quest’ultimo respinge le sue profferte d’amore, Katherine gli racconta di essere stata ad una mostra di pittura e di avere visto un quadro da cui è stata colpita. Nel quadro vi è una donna le cui mani sono sporche, che vive segregata dietro un vetro da cui si sente imprigionata e separata dalla vita autentica e reale. Katherine dice di trovarsi nella stessa situazione, prigioniera della sua vita borghese e di nutrire il desiderio di sospingersi e dirigersi verso un altrove, che coincide con il luogo foderato di marmo bianco, la cui visione gli è apparsa in sogno.

In questo spettacolo l’adulterio ed il tradimento matrimoniale non accadono, nello stesso modo con cui i grandi scrittori del passato lo hanno descritto, Tolstoj in Anna Karenina, Flaubert In Madame Bovary, Maugham nel Velo Dipinto. Infatti, più che essere in fuga dalla vita matrimoniale infelice, sia Hart che Katherine si rifugiano nel sogno per sfuggire alla vuota ed insensata condizione umana, misera e priva di ogni forma di senso.

Nell’ultimo dialogo che entrambi hanno con i rispettivi coniugi, sia Hart che Katherine confessano la loro infelicità e disperazione. Hart, mentre sta per prendere commiato dalla moglie, le chiede se crede in Dio. Poi, sopraffatto dal bisogno di rivelare quanto pensa della sua condizione a sua moglie, Hart ammette di essere un ricco uomo d’affari, il cui animo si è inaridito, poiché non coltiva più interessi estetici, avendo rinunciato a leggere, ad andare al teatro, a visitare i musei e le mostre di pittura.

Tutto ciò che è bello e necessario non gli appartiene più. Per questo si distacca dalla moglie per raggiungere l’altrove, che coincide con il luogo foderato di marmo bianco, nel quale ha sognato di possedere felicemente e con il pieno appagamento dei sensi Katherine. Durante la parte finale dello spettacolo, un trenino percorre ai bordi del palcoscenico, nei due rispettivi sensi, un breve tragitto, che nella sua circolare ripetizione evoca il movimento incessante del tempo, il quale non sempre è innocente.

In molti punti questo spettacolo ha fatto riaffiorare nel mio animo un libro bellissimo di Giorgio Montefoschi, brillante scrittore, intitolato Il Volto Nascosto. La regia dello spettacolo di Marco Canuto è apparsa rigorosa e capace di rispettare il significato del testo letterario. Gli attori, sia Paolo Giovannucci sia Paolo Zuccari, sia Teresa Saponangelo sia Antonella Attili, interpretano i rispettivi ruoli con  bravura e straordinaria naturalezza e spontaneità, qualità che appartengono ai grandi attori. Le musiche, che hanno accompagnato la rappresentazione, intrise di tonalità a volte malinconiche altre volte allegre, sono sembrate adeguate e in linea con le atmosfere vagamente esistenzialiste dello spettacolo. Uno spettacolo bello, coinvolgente ed interessante. Merita di essere visto.

Pubblicato in: 
GN40 Anno III 21 febbraio 2011
Scheda
Titolo completo: 

Direttore artistico Manuela Kustermann
Stagione Teatrale 2010-2011

dal 15 febbraio al 6 marzo
MARBLE
di Marina Carr
Traduzione Valentina Rapetti
Con Paolo Giovannucci, Paolo Zuccari,  Teresa Saponangelo, Antonella Attili.
Regia Paolo Zuccari
Assistente alla regia Marco Canuto
Scene Francesco Ghisu
Costumi  Antonella Mancuso
produzione TSI La Fabbrica dell'Attore  - Officine Puricelli - Tournesol

Teatro Vascello
Prezzi: Intero € 18,00, ridotto € 15,00 nostri convenzionati e UNDER 26 E OVER 65,
ridotto gruppi € 12,00
Orari repliche: dal martedì al sabato ore 21 domenica ore 18
06 5881021 – 06 5898031 - fax 06 5816623
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