Mezzotints. Bosch in Anteprima secondo Claudia Salvatori

Articolo di: 
Claudia Salvatori
Hieronymus

Hieronymus - Una vita immaginata è una biografia romanzata della vita del grande pittore Hieronymus Bosch, un titolo inedito scritto da una delle più grandi e versatili autrici italiane, Claudia Salvatori. Il libro contiene una prefazione di Alan D. Altieri e una illustrazione di copertina realizzata da Ben Baldwin. "Un vero e proprio confronto diretto con i meandri della mente, della coscienza, dell’etica e dell’immaginario di un genio incommensurabile: prima di Claudia Salvatori, nessun Autore aveva mai nemmeno concepito di mettere a fuoco l’immane pilastro dell’arte figurativa che è Hieronymus Bosch."(dalla prefazione di Alan D. Altier). In esclusiva un'anteprima dell'ebook appena uscito per le edizioni Mezzotints Ebook.

                                                                                              9 agosto 1516

È un funerale di quelli in cui i morti sono fra la gente che respira. Lui, il morto vero, è lontano. Irraggiungibile come lo è stato sempre anche quando respirava, ma finalmente fuori dalla vista.
Hieronymus Bosch insignis pictor, è scolpito sul coperchio della bara.
Nella sua estrema assenza è lì, l’insigne pittore, immenso. Forte di una vita incorporea che ha la sua origine e il suo alimento nell’annunciato susseguirsi futuro di generazioni, storie, lotte, desideri e follie.
La luce, che come una nebbia abbacinante invade la cappella della Confraternita di Nostra Signora, è filtrata dalle vetrate che lui ha disegnato per il maestro vetraio Willelm Lambert. Quella stessa luce, livida e ultraterrena, sembra voler dire che il maestro Bosch ha cambiato per sempre il modo di guardare.

«Cose tanto straordinarie e fantastiche non si erano mai viste, né immaginate», dichiara il vescovo di Anversa nel discorso di commiato al defunto. «Mai a un intelletto umano era stato concesso di penetrare tanto profondamente nei misteri della Creazione. Dipingeva con l’occhio di Dio».
«Dipingeva con l’occhio del Diavolo», sussurra a denti stretti Gehrard van der Vondel, il fabbricante di organi.
«C’è chi dice che sia il medesimo occhio», mormora, con voce appena udibile, Albert Groote, il maestro di campane. Il funerale è costoso: ben ventisette denari hanno versato i membri della Confraternita di Nostra
Signora per pagarlo. È solenne, celebrato in gran pompa, ma freddo e risentito. Mentre il pittore viene lodato, c’è chi lo critica, ricordando che da anni non si accostava ai sacramenti, che è morto senza confessione e in un modo insensato, indecoroso. Gli astanti annuiscono, piegando anche il busto come se si inchinassero davanti al suo genio. Ma si avverte una nota falsa in tanta ammirata afflizione, e non viene dalla musica dell’organo.

I notabili di Den Bosch, i proprietari terrieri, i banchieri, i ricchi mercanti, odiano essere debitori dell’artista che hanno stipendiato. Aver avuto le anime riempite dalle sue immagini. Essere oscurati da una fama che oltrepasserà i limiti del tempo, in tempi non ancora concepibili.
Odiano essere stati dipinti da lui. 

Hanno smorfie acide e scontente sui volti pallidi dagli occhi vacui. Credevano di essere il soggetto principale del quadro, e ora si ritrovano personaggi di contorno. Particolari di riempimento di uno sfondo: non più che un sasso, il profilo di una collina, un arbusto e la sagoma di un campanile confusi all’orizzonte. È come essere morti. E i morti hanno fretta di seppellire il loro morto.
Un terrificante boato si ripercuote nella cappella, facendo vibrare gli arredi sacri e contorcersi le fiamme delle candele. Dopo una brutta estate, la tempesta violentissima segna l’inizio di un autunno precoce.
Il rito funebre è terminato.
I portatori sollevano il feretro e i notabili vi si incolonnano appresso, come un branco di anatre disciplinate.
I lampi trafiggono le vetrate, facendo sprigionare lame di colore iridescente. Il rosso come il sangue che zampilla, il verde tenero e feroce della natura, il terribile azzurro sereno, il bruno e l’ocra delle cose in disfacimento, il bianco luttuoso, il giallo pazzo. Tutti i colori di Hieronymus Bosch sembrano voler perseguitare i partecipanti al suo funerale; con la potenza dei tuoni si imprimono negli occhi e vi restano a vagare, come mosche di luce.

Quando i preti aprono le porte della Cattedrale il corteo pare gettato fuori di corsa, frustato e inseguito da tuoni, lampi e colori. Sul sagrato viscido i portatori scivolano; il feretro ondeggia come una nave. Dopo pochi istanti è già lucido e grondante. La pioggia è talmente fredda da gelare fino al cuore, e tanto fitta che le strade di Den Bosch sembrano lunghe gallerie grigie.
I curiosi, quelli che stavano in chiesa solo per passare il tempo, si disperdono.
Dietro al carro, oltre al fabbricante di organi con la sua consorte e al maestro campanaro, agli altri membri della Confraternita di Nostra Signora, ai preti, alle beghine e ai begardi, si incamminano, zuppi, mezzo accecati e piegati dal vento, solo i famigliari, gli intimi, i domestici di casa.
La moglie, Aleyd van Meervenne, vestita di bianco, velata, come avvolta in un sudario. La sua figura tremante, evanescente, forma un curioso contrasto con le donne robuste, dalle carni abbondanti e rubizze, che la sostengono: Gert e Anne, la cuoca e la governante.
Il suocero, il potentissimo Goyart Van Meervenne, che dopo essersi creduto un duce, un sapiente e un mago, si ritrova ora inutile e misero.
La sorella di Hieronymus, Katherijn van Aken, assassinata in ogni sua speranza.
I fratelli: Goosen van Aken e gli altri due senza talento.
La moglie del fabbricante di organi, nata Rose de Leyden, con la sua bellezza annegata nel grasso che la deforma. Primo amore di Hieronymus, più volte lui l’ha immaginata al proprio funerale, finalmente domata e vinta, umana e umile.
Alaert du Hameel, il migliore e unico amico vivente.
C’è poi uno che non ha mai conosciuto il pittore, e tuttavia è unito a lui dalla bizzarria dell’anima, da una comune sintonia nell’immaginare, e dal fuoco che gli divampa dentro quando pensa a tutte le cose che un pennello può rendere visibili.
È un ragazzo, forse uno studente, che Alaert ricorda perché gli ha chiesto timidamente di raccomandarlo per la bottega del maestro Bosch. Ha uno sguardo ansioso, e un grosso rotolo di cartone da disegno sotto il braccio.
Intanto il carro prosegue a fatica, contro il muro d’acqua e di vento, verso il cimitero di Den Bosch, avvolto da un’atmosfera nera.

Dall’alto si sta rovesciando un cataclisma che sembra voler sconvolgere il mondo e punirlo per tutti i suoi peccati. Una di quelle alluvioni tanto temute nei Paesi Bassi, perché portano all’innalzamento dei mari, allo straripamento dei fiumi, travolgono e uccidono animali e umani, e ispirano scene da Diluvio Universale.
«Il Cielo manda un segno a noi che restiamo. Come quando è morto Cristo», afferma Alaert du Hameel.
«Non dite idiozie!» grida van der Vondel, con la bocca piena d’acqua. «Lui non era Cristo, anche se voleva darci a intendere di esserlo».
Quelli che seguono la bara rischiano di essere travolti dai tavoli e dalle sedie di un’osteria all’aperto, dalle imposte strappate alle case, dalle tegole dei tetti.
Aleyd, che è come un filo di fumo, viene trattenuta, ancorata alla terra; Rose de Leyden pesa talmente da dover essere spinta e trascinata dai servi come un asino recalcitrante.
Camminano fra i torrenti che ruscellano giù per le discese, rallentati come in un incubo.
Barcollano, scivolano, cadono. Un carro di legname si rovescia sulla loro strada, provocando un’onda fangosa che li copre.
Quando arrivano a destinazione, il cimitero è una palude di mota.
Avvolto da un turbine di petali stracciati dalle corone di fiori, il gruppetto si dirige verso l’angolo a Sud-Ovest, dove si trovano le tombe dei van Aken, pittori da innumerevoli generazioni. Da quei corpi decomposti viene l’eredità del maestro Bosch: la tecnica più volte insegnata e tramandata, il senso per la forma e le tinte, le qualità che in lui si sono raffinate all’estremo, il suo genio. Là deve tornare, alla fine del suo percorso.

I becchini stanno già scavando la fossa; ma la terra, prima indurita dalla lunga arsura estiva e ora assalita da quell’improvvisa alluvione, si rompe a fatica. Sembra non voler accogliere il pittore che ha mostrato cose ben al di sotto dei suoi più nascosti abissi, ben al di sopra delle più elevate regioni del Cielo.

Il ragazzo, l’allievo mancato, spiega il suo disegno davanti alla bara come se il maestro potesse
vederlo, gettargli un ultimo sguardo. Il cartone è fradicio, e righe di pioggia confondono i segni
tracciati. Alaert du Hameel pensa sia la cosa più triste che abbia mai visto.
La bara viene calata a poca profondità e appena coperta, tanta è la voglia di liberarsi di quel
morto.
Tutti lì sono stati segnati da Hieronymus, derubati dell’impeto di un destino proprio, ridotti a strumenti del compimento di un altro, deboli voci acclamanti un miracolo. La pioggia gelida sferza le loro facce, entra nei loro occhi pungendoli e accecandoli come una punizione, quasi Hieronymus sputasse loro addosso.
Perfino il prete non ha voglia di predicare; si limita a gridare che una tempesta simile si è scatenata solo alla morte di Nostro Signore, e si augura sia un segno che Dio voglia ricevere l’anima del defunto in più sereni lidi. La sua voce viene coperta dal latrato di un cane abbandonato, che ulula perdutamente fra le lapidi.
Nessuno piange, ma tutti in qualche modo hanno pianto e pagato, e ancora piangeranno e pagheranno. Aleyd, la vedova, lancia un grido e poi ride, un lungo scroscio di risa da demente che rilancia l’ululato del cane.
«Per carità, fatela tacere», geme suo padre.
Katherijn si inginocchia sulla fossa.
«Mi sono data a Dio perché non potevo essere te, e ora che non ci sei più anche Dio mi abbandona» mormora, e immerge le mani e il volto nella terra che ricopre il fratello.

Così se ne va Hieronymus Bosch, sprofondando in un lago di fango, in una tomba di cui si perderà ogni traccia. Così si rimescola a una terra ingrata il corpo di Hieronymus Bosch, dopo che il suo spirito ha descritto nell’eternità un indelebile arcobaleno.
Gli astanti, simili a statue, sembrano far parte di un gruppo funerario sospeso tra morte e respiro.
Tutti strettamente uniti in quel fango da cui tutto è cominciato.

Pubblicato in: 
GN6 Anno VI 10 dicembre 2013
Scheda
Autore: 
Claudia Salvatori
Titolo completo: 

Hieronymus - Una vita immaginata
Prefazione di Alan D. Altieri
Illustrazione di copertina di Ben Baldwin
Mezzotints Ebook – Collana Outseries
Formato ebook (epub, mobi)
Pagine: 225 - Lingua: Italiano
ISBN epub: 9788898479139
ISBN mobi: 9788898479146
Prezzo di copertina: € 3,49
Disponibile nelle principali librerie online dal 29 novembre 2013