MiTo Torino. Zimerman suona l'odissea di Brahms

Articolo di: 
Giuseppina Rossi
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Un concerto dedicato pressoché interamente a Johannes Brahms ha chiuso in grande stile all’Auditorium Giovanni Agnelli - Lingotto di Torino l’ottava edizione del Festival MiTo, consacrato quest’anno proprio al compositore amburghese. In programma due capolavori quali il Concerto per pianoforte e orchestra in re minore op. 15 e la Sinfonia n.1 in do minore op. 68, affidati ad un solista eccelso come Krystian Zimerman e alla bacchetta di Alexander Liebreich alla guida dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Radio Polacca di Katowice.

Definito “una Sinfonia con pianoforte obbligato”, per l’inusuale rapporto di assoluta parità che il compositore stabilisce tra pianoforte e orchestra, il concerto op. 15 vide  la luce dopo quattro anni di tormento creativo (1854-1858) che seguirono il naufragio del sogno del giovane Brahms di comporre una grande sinfonia. Quattro anni in cui Johannes si trovò, come Kreisler, il suo eroe di gioventù hoffmanniano, “sballottato dalle sue visioni interiori e dai suoi sogni come se galleggiasse su un mare perennemente agitato alla vana ricerca di un approdo” (E.T.A. Hoffmann, Kreisleriana).

Il Maestoso che apre il concerto in re minore – quasi un’autobiografia di questa odissea interiore - nell’esecuzione di Zimerman lascia senza fiato: non credo ci sia oggi interprete capace di rendere meglio la grandiosità eroica e commovente di questo gigantesco primo movimento, che da solo occupa più della metà dell’intero concerto. Dall’entrata del pianoforte, dopo la lunga introduzione orchestrale, lirica e pensosa, quasi sussurrata, ai veri e propri ruggiti dei trilli d’ottava in fortissimo, che subito dopo letteralmente squassano la sala, fino via via ai monologhi (ma Brahms abolisce la consueta cadenza di bravura), ai dialoghi, agli slanci e ripiegamenti fino alla coda, apoteosi drammatica di tutto il movimento (con Zimerman in piedi a eseguire gli accordi finali), ricorderemo a lungo questa esecuzione vibrante, di un’intensità emotiva quasi al limite del sostenibile.

A proposito del secondo movimento, Brahms scriveva nel 1857 all’amico Joachim: “Spero di aver scritto un Adagio veramente bello”. E l’Adagio, difatti, è “veramente bello”, a patto di riuscire, solista e orchestra, a dialogare e ad ascoltarsi in una confessione tenerissima e disarmata, come quando il pianoforte, quasi esitante, sembra consolato una prima volta dal clarinetto, poi dall’oboe (ottima la sezione dei legni dell’orchestra di Katowice), per elevarsi, misura dopo misura, fino a raggiungere quel sentimento di “sacralità laica”, come la definiva Massimo Mila, che ritroveremo, diversi anni dopo, nel Requiem Tedesco.  Il Rondò finale scivola via in un attimo, liberatorio: Zimerman parte alla carica e sembra dire agli orchestrali, “provate a prendermi!”. Ma ormai è già troppo lontano, per tutti. Pubblico entusiasta, lunghi applausi, purtroppo non ripagati da un bis, come ormai è consuetudine del sempre più ritroso pianista polacco.

Non scopriamo certo adesso Zimerman come grande interprete brahmsiano, ma raramente abbiamo ascoltato, anche dallo stesso pianista, pure affiancato da compagini orchestrali più blasonate guidate da bacchette prestigiose, un’esecuzione del Concerto op. 15 come questa del Lingotto, dove l’orchestra e il solista raggiungevano un’intesa tanto profonda, perfino intima: nella scelta dei tempi, nelle contrapposizioni e integrazioni delle linee sonore, nell’assecondare ogni rubato del solista, nel sostenerne gli scarti impetuosi e il ripiegarsi in sé stesso, pareva un unico gesto, respiro, pensiero. Merito di questa riuscita va riconosciuto a Liebreich che, assieme all’Orchestra di Katowice -compagine discreta ma bisogna dire sicuramente non una grande orchestra - ha assecondato con intelligenza, generosità e passione l’illustre pianista.

Uscito di scena l’indubbio protagonista della serata, nella seconda parte si è ascoltata una Prima Sinfonia dove l’impeto travolgente dei movimenti estremi aveva decisamente la meglio sulle sfumature autunnali, i chiaroscuri, l’intimo lirismo dei movimenti centrali.
Solo un accenno, infine,  al brano di apertura della serata,  Musique funèbre per archi (1958) dedicata alla memoria di Béla Bartók, bellissima composizione del compositore polacco Witold Lutosławski (1913-1994) che meriterebbe, anche nel nostro Paese, ben altra attenzione di quella riservata a un pezzo buttato lì come antipasto, per molti magari pure indigesto.

Pubblicato in: 
GN42 Anno VI 1° ottobre 2014
Scheda
Titolo completo: 

MITO Settembre in Musica 2014
Torino 20 settembre 2014
Auditorium Giovanni Agnelli - Lingotto

Witold Lutosławski
Musica funebre per orchestra

Johannes Brahms
Concerto n. 1 in re minore per pianoforte e orchestra op. 15
Sinfonia n. 1 in do minore op. 68

Orchestra Sinfonica Nazionale della Radio Polacca di Katowice
Alexander Liebreich
, direttore
Krystian Zimerman, pianoforte