Il Mulino. Remo Bodei: oltrepassare sé stessi

Articolo di: 
Teo Orlando
Limite

A partire almeno da Kant, il pensiero moderno ha dovuto spesso confrontarsi con la nozione di limite, e con quella analoga di confine: nella Critica della ragion pura, il grande filosofo tedesco distingue tra il limite (Schranke) come semplice concetto negativo che circoscrive un territorio, e il confine (Grenze), come determinazione delle pretese della ragione stessa che non può oltrepassare l'esperienza sensibile per avventurarsi nell'oceano di ghiaccio della metafisica, costellato da iceberg e pericoli di varia natura. Partendo da questi presupposti, Remo Bodei ci dona una sintesi chiara e magistrale dedicata alle valenze filosofiche e sociopolitiche del concetto di Limite (Bologna, Il Mulino, 2016), toccando temi che vanno dai confini della vita umana alle biotecnologie, dalla matematica di Cantor alle utopie politico-religiose.

Non è una caso che l'exergue del volumetto sia una splendida poesia di Jorge Luis Borges (che Bodei aveva già citato in un saggio su Adorno), intitolata proprio Limiti: C’è un verso di Verlaine che non ricorderò più,/c’è una strada vicina ch’è vietata ai miei passi,/c’è uno specchio che m’ha visto per l’ultima volta,/c’è una porta che ho chiuso alla fine del mondo./Tra i libri della mia biblioteca (ecco, li guardo)/ce n’è qualcuno che non aprirò più./Questa notte compirò cinquanta anni;/la morte mi logora, incessante. (Hay una línea de Verlaine que no volveré a recordar./Hay una calle próxima que está vedada a mis pasos,/hay un espejo que me ha visto por última vez,/hay una puerta que he cerrado hasta el fin del mundo./Entre los libros de mi biblioteca (estoy viéndolos)/hay alguno que ya nunca abriré./Este verano cumpliré cincuenta años;/La muerte me desgasta, incesante).

In fondo la poesia borgesiana sembra suggerire quanto Bodei sostiene nel primo capitolo del libro (I nostri limiti fisiologici): la specie umana è a un tempo circondata e condizionata da limiti di ogni specie, che vanno dai meri dati anagrafici e culturali fino agli orizzonti sensibili e intellettuali del nostro animo, per terminare con il trapasso estremo. E, osserva Bodei, "la condizione della specie umana è però contraddistinta dall'essere circoscritta da limiti che sono mobili e cangianti, in quanto – a differenza degli altri animali – ha una storia articolata in culture che si modificano nel corso del tempo". E come aveva osservato a suo tempo il filosofo tedesco Georg Simmel, "l'uomo è l'essere confinario che non ha confini". Ciò vuol dire semplicemente che la stessa esigenza di porre dei limiti o dei confini costituisce il presupposto per volerli oltrepassare. È ormai quasi un luogo comune quello per cui l'uomo moderno si è formato proprio quando si è reso conto di essere l'artefice e quasi il creatore del proprio destino, un essere proteso a negare la propria finitudine e ad autotrascendersi nello sforzo di diventare simile a Dio, come aveva ricordato Pico della Mirandola nella Oratio de hominis dignitate. Ma a tale entusiasmo sarebbe presto subentrato una sorta di delirio di onnipotenza, per cui l'uomo si sarebbe convinto, faustianamente, che non esistano limiti invalicabili.

Tuttavia, osserva Bodei, le principali civiltà contemporeanee hanno spesso restaurato i limiti, addirittura restaurando dogmaticamente fedi, mentalità e comportamenti del passato (si pensi alla sharia, che significa appunto "ritorno alla strada battuta") o erigendo nuovi muri visibili e invisibili, nonostante la caduta di quello di Berlino. Sono semmai le scienze e le tecniche che ci conducono di nuovo all'abbattimento di ostacoli e limiti: dalla fisica delle particelle alle biotecnologie che preparano l'avvento di uomini geneticamente modificati e longevi, dalle ricerche sull'intelligenza artificiale alle nanotecnologie.

Sorgono però due interrogativi: 1) Esistono limiti che, a differenza di quelli scientifici e intellettuali, non dovremmo mai infrangere? 2) La violazione di antichi tabù religiosi e di modelli di convivenza tradizionali non rischiano di proiettarci verso una società anarchica e caotica. Per tentare una risposta a tali interrogativi, Bodei si sofferma in primo luogo sull'estensione dei sensi e sul comportamento plastico del cervello umano, osservando come i sensi, e in particolare il tatto, possano essere modificati fino a superare i limiti tradizionali. 

Ed è in questo contesto che si inserisce una notevole citazione di Leopardi. Il grande poeta e filosofo recanatese aveva infatti osservato, meditando sul rapporto tra percezione visiva ed immaginazione, che l'uomo, come le altre creature viventi, desidera un piacere infinito e "senza limiti". Desiderio e piacere sono tutt'uno, e ogni istante della nostra esistenza è guidato dal desiderare incessante e dall'attesa del godimento:  "L’anima, cercando il piacere in tutto, dove non lo trova, già non può esser soddisfatta; dove lo trova, abborre i confini" (Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri, p. 646).

Particolarmente stimolante ci è sembrata la parte più propriamente "teoretica" del volumetto, con un'incursione nel terreno logico-matematico che ci ricorda le analoghe considerazioni che l'autore aveva dedicato al trattamento hegeliano del concetto di limite nella monografia La civetta e la talpa. Sistema ed epoca in Hegel. Bodei, citando Ludwig Wittgenstein ("per tracciare un limite al pensiero, noi dovremmo poter pensare ambo i lati di questo limite [dovremmo, dunque, poter pensare quel che pensare non si può]", Tractatus logico-philosophicus, Prefazione), individua quattro risposte possibili al problema di come arrivare a conoscere entrambi i lati che circoscrivono il limite (appunto, lo de-limitano): 1) La prima ci ricorda che quello che si situa oltre il limite è l'impensabile, il non-senso (la soluzione, o meglio la non-soluzione, dello stesso Wittgenstein; 2) la seconda ci invita a ridimensionare la portata metafisica del concetto di limite, con la conclusione per cui non esiste nessun autentico limite, il cosmo è finito e chiuso e non esiste neppure il vuoto (per molti versi, è la posizione aristotelica); 3) l'universo è infinito e ogni limite è per sua stessa natura superabile (è la posizione dei cosiddetti "moderni", da Bruno in poi, ma in fondo anche di Lucrezio, di Epicuro e del pitagorico Archita di Taranto); 4) esiste in matematica una specie di infinito che si avvicina al cosiddetto infinito in atto o infinito sincategorematico dei logici medievali, senza però coincidervi.

È su quest'ultimo che si è particolarmente concentrata l'attenzione del grande matematico Georg Cantor, nelle sua opere "seminali" Grundlagen einer allgemeinen Mannigfaltigkeitslehre (Fondamenti di una teoria generale delle varietà, 1883) e Beiträge zur Begründung der transfiniten Mengenlehre (Contributi alla fondazione della teoria degli insiemi transfiniti, 1895-97). Per Cantor, dopo che l'analisi infinitesimale con Leibniz, Bolzano e Weierstraß aveva sanato la separazione tra finito e infinito e risolto parzialmente gli enigmi impliciti nei paradossi dell'infinito, la chiave per trattare concetti come quello di limite in matematica risiede nel concetto di transfinito. Cantor si chiede che cosa accade quando, dati un insieme e un sottoinsieme (i cui elementi, per definizione, non sono equinumerosi con quelli dell'insieme totale di cui fa parte), gli elementi del secondo possono essere messi in un rapporto di corrispondenza biunivoca con quelli del primo. Ad esempio, con l'insieme dei numeri naturali interi ci troviamo di fronte a due possibili sottoinsiemi, quello dei numeri pari e quello dei numeri dispari, che però sono ugualmente infiniti. Il paradosso apparente che sorge è quello per cui ciascun sottoinsieme è ugualmente equipotente all'insieme, ossia altrettanto infinito. Da qui si arriva all'aritmetica di quello che Cantor chiama il "transfinito", che gli permette una trattazione matematica dell'infinito attuale, in violazione del precetto di Gauss per cui l'uso di una grandezza infinita conclusa in matematica non sarebbe mai permesso (curiosa limitazione, da parte del princeps mathematicorum, che pure aveva sviluppato pure una geometria non euclidea).

Cantor distingue comunque tra l'infinito come transfinito e l'infinito come assoluto, cosa che gli permette di evitare pericolose implicazioni teologiche che sarebbero scaturite dall'identificazione del transfinito con un concetto puro di divinità (come ebbe a osservare Bertrand Russell). Peraltro, Cantor si riallacciava al concetto pitagorico di numero finito per individuare la possibilità di fondare la nozione generale di insieme, valida sia per gli insiemi finiti, sia per gli insiemi transfiniti: si tratta dell'introduzione del concetto di cardinalità (o potenza) di un insieme, che lo associa a tutti gli insiemi equipotenti (e simili considerazioni vennero svolte da Gottlob Frege negli stessi anni). Ora, come ha osservato lo storico della matematica Paolo Zellini, le osservazioni che Cantor pubblicò nello scritto del 1895 si potevano riferire anche a un processo di generazione da un singolo elemento originario (ursprünglich), analogo allo σπερματικὸς λόγος con cui, secondo Teone di Smirne, si formavano le successive frazioni approssimanti la radice quadrata di 2, √2, costruite con i cosiddetti numeri laterali e diagonali. Al di là dei tecnicismi matematici, ritorna l'idea di una catena di elementi generati da un'unità originaria (la Great Chain of Being di cui parla Arthur Lovejoy), idea che aveva permesso già a Hegel, come osserva Bodei, di concepire la verità come continuo oltrepassamento di sé stessa, pur partendo da un fondamento immediato sotteso a ogni nostra conoscenza.

Pubblicato in: 
GN39 Anno VIII 16 settembre 2016
Scheda
Autore: 
Remo Bodei
Titolo completo: 

Limite, Bologna, Il Mulino, 2016 (collana Parole controtempo), pp. 126. Euro 12,00.