Museo di Trastevere. La bellezza dei popoli nello sguardo di Häberlin

Articolo di: 
Giulio de Martino
Copia di Ragazza Kanuri, Bangoa, lago Chad.jpg

Al Museo di Trastevere – da anni meritoria sede di esposizioni dei maestri della fotografia – si possono ammirare un buon numero di immagini in bianco e nero del fotografo Peter Werner Häberlin (1912-1953). La mostra si intitola Sahara. Fotografie 1949-1952 e si può vedere dal 2 febbraio al 12 marzo del 2017.

L’esposizione propone una selezione di 76 fotografie in bianco e nero di La bellezza dei popoli. Le fotografie di Peter W. Häberlin fotografo svizzero di grande rilievo scomparso prematuramente in un incidente – che furono scattate nel corso di un lungo viaggio in Africa tra il 1949 e il 1952. In quel viaggio – interrotto e ripreso più volte – Häberlin attraversò l’Algeria, il Mali, il Burkina Faso, il Niger, la Nigeria, il Ciad e il Camerun. Fu un viaggio lento e meditato. che la fotografia ci svela come un percorso parallelo nello spazio esterno e nel tempo interiore.

Le immagini sahariane di Häberlin furono pubblicate per la prima volta nel 1956 nel volume fotografico Yallah (in inglese: «Come on!» o «Let's Go!») compilato dal padre in ricordo dell’impresa del figlio, con una prefazione dello scrittore americano Paul Bowles (1910-1999). 

Si può comprendere che nell’opera più celebre di BowlesThe Sheltering Sky (1949), scritta in Tunisia tra il 1947 e il 1948 - si trovino anticipate le visioni e le emozioni che Häberlin avrebbe vissuto e reinventato nelle sue foto di viaggio. La narrazione del libro di Bowles e le immagini di viaggio di Häberlin sarebbero poi tornate, con densa suggestione, ne Il tè nel deserto (1990), il grande film di Bernardo Bertolucci.

Häberlin, nato a Oberaach nel Cantone Turgovia in Svizzera, aveva studiato arte ad Amburgo (1938-39) e a Zurigo (1940-1944). Fu fotografo e insieme viaggiatore (anche a piedi) in direzione sud. Infatti, a più riprese, si recò in Italia, in Nord-Africa, nelle regioni del Sahara e in quelle sub-sahariane. Progettava un viaggio in Messico prima di morire in modo tragico a Zurigo, maneggiando incautamente, nella sua casa, una pistola.

Le foto africane di Häberlin, per l’eleganza e la luminosa solennità dei soggetti – cammelli, donne, uomini, bambini, capanne, dune sabbiose, cieli senza nuvole – ci rivelano non solo ciò che c’era, in quegli anni e in quei luoghi, davanti all’obiettivo, ma anche ciò che vi era dietro: nei pensieri di chi reggeva tra le mani la macchina fotografica. 

Häberlin «viaggiava fotografando», non fotografava viaggiando. Colpisce in Häberlin il rapporto a doppio senso fra arte e vita, fra fotografia e viaggio. L’uso esistenziale del mezzo fotografico – per il quale la vita sembra eccedere l’arte per esserne poi, in altre forme, nuovamente catturata – richiama Thomas, il fotografo di Blow Up (1966) o David Locke, il fotografo di The Passenger (1975), di Michelangelo Antonioni, per i quali intervenne il cinema a conciliare vita e fotografia.

Nel suo lento viaggio nel Sahara il fotografo svizzero non attuò una ricognizione geografica, e neppure un reportage etnologico, bensì una personale esplorazione del mondo in cui oggetti e soggetti lasciavano il posto alla poetica del disincanto, alla ricerca estetizzante di un mondo anti-europeo, incontaminato e diverso da quello deturpato e avvilito dalla guerra. Decisiva risulta la lettura delle lettere scritte da Häberlin alla moglie percorrendo le antiche vie carovaniere che da Algeri attraversavano il Sahara per terminare nel Camerun settentrionale, 

La narrazione dell'incontro con un mondo dominato dall'immensità sovrumana della natura porta alla descrizione del mondo spirituale di quelle donne e di quegli uomini che convivevano con la dimensione del «deserto». Scrisse: «Africa, un continente dimenticato da Dio, che assomiglia al cielo, per la vastità dei suoi territori. Carovane, capanne, montagne, un uomo solitario o un uccello: esistono e poi svaniscono come se non fossero mai esistiti. I colori, il rosso, l'ocra, i primi giorni si è quasi tentati di negarne la realtà: luminosi, intensi, avvolgenti e poi spazzati via dal vento, sbiaditi e appena percettibili».

Nelle fotografie di Häberlin domina una forma di contemplazione che ritrae le popolazioni nordafricane in una dimensione atemporale: sono immagini che vivono nel dominio della luce diretta, così nitide da sembrare scolpite o incise. Ha scritto Peter Pfrunder, direttore della Fondazione Svizzera per la fotografia di Winterthur: «L’opera di Häberlin è un’espressione tipica del suo tempo, esemplare per un’intera generazione alla ricerca di nuove esperienze, di una diversa concezione della vita e di valori alternativi».

La mostra al Museo di Trastevere è il prodotto di un intenso lavoro, condotto dal Museo delle Culture di Lugano e dalla Fondazione Schweiz per la fotografia di Winterthur, per offrirci una ricca selezione di prime stampe, realizzate a partire dai negativi conservati dalla Fotostiftung.

Il viaggio di Häberlin oggi, a più di sessant’anni di distanza, intreccia lo sguardo e il vissuto del visitatore con la scoperta di un’affascinante realtà storica e antropologica già transitata nello spazio senza tempo della memoria.

 
Pubblicato in: 
GN16 Anno IX 17 febbraio 2017
Scheda
Titolo completo: 

Peter Werner Häberlin: Sahara. Fotografie 1949-1952.

Realizzatori:

Museo delle Culture di Lugano, Fondazione Schweiz per la fotografia di Winterthur.

Luogo:

Museo di Roma in Trastevere

Orario:

Dal 2 febbraio al 12 marzo 2017

Da martedì a domenica ore 10.00 - 20.00

Chiuso lunedì