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Palaexpo. Un'esplosione di creatività sull'orlo degli abissi
Al Palazzo delle Esposizioni sarà possibile ammirare, fino al 17 gennaio 2016, la mostra “Una dolce vita? Dal Liberty al design italiano. 1900-1940”, a cura di Guy Cogeval e Beatrice Avanzi, con Maria Paola Maino e Irene de Guttry. L'esposizione, frutto della collaborazione tra l'Azienda Speciale Palaexpo e il Musée d'Orsay di Parigi, è arrivata a Roma dopo essere stata presentata a Parigi, al Musée d'Orsay.
L'iniziativa di Guy Cogeval, presidente dell'istituto pubblico del Museo d'Orsay e del Museo dell'Orangerie e di Beatrice Avanzi, conservatrice al Museo d'Orsay, ha il grande merito di aver fatto conoscere ad un pubblico internazionale il rapporto tra la pittura e le arti decorative in Italia in un periodo di grande creatività in cui nacque anche un importante movimento d'avanguardia: il Futurismo. La mostra collocata al primo piano propone un itinerario cronologico in cui gli oggetti e le opere d'arte coeve dialogano armoniosamente in un contesto che ne esalta il fascino, per l'ottima disposizione e illuminazione.
Le antiche radici di una formidabile tradizione artigianale italiana all'inizio del XX secolo posero le basi di quello che sarebbe divenuto lo stile inconfondibile del design italiano. Dopo un periodo in cui nelle arti figurative e non solo, basti pensare al letterario Verismo, aveva dominato il realismo anche di denuncia sociale, si affermò un nuovo movimento nelle arti figurative: il Divisionismo. Una tecnica affine al Pointillisme (Puntinismo) di Seurat, che nacque con una connotazione scientifica, mentre in Italia il Divisionismo ebbe un carattere decadente, simbolico e fantastico con Previati, Morbelli, Pellizza da Volpedo, in cui però è presente anche l'aspetto di denuncia sociale: Il quarto stato. Di Previati sono in mostra La danza delle ore e di Pellizza da Volpedo Tramonto.
L'inizio del nuovo secolo, il '900, vede l'affermarsi dell'Art Nouveau, nota in Italia come "Stile Liberty" o "floreale", denominazione derivante dal nome di un celebre grande magazzino di Londra. Dall'Esposizione Internazionale delle Arti Decorative di Torino nel 1902, lo "Stile Liberty" si diffonde in Italia assumendo aspetti diversi. Questo perché in Italia in era presente una fortissima tradizione artigianale ma declinata diversamente a seconda della zona geografica.
In Lombardia l'ebanisteria era un'eccellenza secolare e all'inizio della mostra incontriamo proprio questi mobili stupefacenti e una personalità affascinante, Carlo Bugatti, il padre di quell'Ettore inventore e fondatore del marchio e della fabbrica di automobili omonimi. I mobili di Bugatti sono coperti di pergamena dipinta con punzonature di rame e alludono a uno stile mediterraneo moresco, ricostruito attraverso una visione fantastica, indimenticabili e seducenti la Psiche e il Paravento. Trasferitosi in Francia ideò anche oggetti di argenteria, realizzati da Adrien Herbrad, è esposto un favolistico Cestello per il ghiaccio decorato con ranocchi. Nella sua bottega milanese lavorò Eugenio Quarti che poi si mise in proprio ed elaborò uno stile personale, elegante e flessuoso di mobili con inserzioni di madreperla e metallo, di cui alcuni esempi sono in esposizione. Un'altra grande tradizione milanese è quella dei fabbri la cui origine risale al medioevo, le armature milanesi furono a lungo ricercate in tutta Europa, il fantasioso Lampadario decorato con farfalle di Alessandro Mazzucotelli è una dimostrazione dell'evoluzione creativa di questa arte.
Venezia è stata per secoli la porta dell'Europa verso l'oriente ed ecco Vittorio Zecchin ricreare quell'atmosfera esotica nel dipinto Le mille e una notte, ma la storia recente de La Serenissima aveva creato anche un legame con Vienna e così vi era approdata anche la Secessione Viennese, due influenze che si fondono nelle creazioni di Zecchin: il dipinto I Magi e la Credenza. Non poteva mancare la grande tradizione del vetro di Murano ed ecco la Coppa Vestali sempre su disegno di Zecchin. Lo stile floreale diventa magico negli oggetti policromi e incantevoli di Umberto Bellotto, un portentoso fabbro che inventa il connubio ferro-vetro e lo brevetta.
La tradizione fiorentina della ceramica è rappresentata dai vasi di Galileo Chini in uno straordinario connubio di colori e di forme ispirati a piante e animali. In questa rassegna non poteva mancare Duilio Cambellotti, artista romano, poliedrico e dotato di talento creativo non comune. Lo rappresentano un dipinto in cui la Campagna arata si trasforma in un luogo incantato e alcuni oggetti, un severo Stipo "La notte"con intarsi di legno diverso, una rielaborazione personale del Jugendstil, la Conca dei Bufali in bronzo, ispirata all'antica arte italica ed etrusca, mentre guarda al Rinascimento una maiolica, la Coppa delle violette.
All'inizio del nuovo secolo oltre al Simbolismo e al Decadentismo, ecco irrompere il Futurismo, fondato dal poeta Filippo Tommaso Marinetti nel 1909, che, esaltando le scoperte scientifiche e tecniche, ha come obiettivo cambiare radicalmente ogni aspetto dell'attività umana, dall'arte agli oggetti di uso quotidiano. Balla e Depero nel marzo 1915, diffusero il manifesto Ricostruzione futurista dell’Universo: “Noi futuristi, Balla e Depero, vogliamo realizzare una fusione totale per ricostruire l’universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente.” Tra gli esempi in mostra segnaliamo la Stanza da pranzo di Giacomo Balla ideata nel 1918 e realizzata in legno povero, ma anche il Servizio da caffè e il Panciotto,un trionfo della forma e dei colori come i quadri Primaverilis e Linea forza di paesaggio +sensazione di ametista. Balla si interessò anche al teatro, sua è la scenografia per Feu d'artifice di Stravinsky per Les Ballets Russes di Diaghilev al Teatro Costanzi nel 1916. Fortunato Depero non è da meno, nella stessa occasione creò uno scenario plastico per Le Chant du rossignol di Stravinsky. Con il “panno spagnolo” lasciato dalla compagnia creò i suoi famosi e policromi arazzi, di cui ci sono alcuni esempi in esposizione, è presente anche il fantasioso e solare Panciotto, ora di proprietà di Renzo Arbore, a cui si aggiungono anche opere grafiche, e pubblicitarie.
Dopo l'esperienza sconvolgente della guerra ci fu il "Ritorno all'ordine", un ritorno all'arte classica e alla grande tradizione pittorica antica rappresentata da Giotto e Masaccio. Tra i diversi modi di interpretarla c'è Metafisica di Giorgio De Chirico e di Alberto Savinio, suo fratello, di cui ci sono diverse opere pittoriche, i quattro dipinti di quest'ultimo sono inquietanti ma seducenti, per i colori iridescenti, i soggetti, la composizione. Una spensierata corsa verso l'abisso fu “La belle epoque” per tutta la vecchia Europa ma è anche la definizione più adatta dell'Italia nel periodo tra le due guerre usata da Cogeval in un saggio, contenuto nel catalogo Skira, strumento imperdibile, per chi voglia approfondire l'argomento. Cogeval si chiede come sia stata possibile la convivenza tra la tirannide del Fascismo, una borghesia impegnata a divertirsi, superficiale e irresponsabile, che non si rendeva conto dell'abisso che si stava aprendo sotto i suoi piedi e un fuoco d'artificio creativo, quale quello che ha dato vita all'architettura moderna e al design italiano.
Una personalità emblematica e straordinaria è Giò Ponti per la sua poliedrica e stupefacente attività. L'Istituto di Matematica intitolato a Guido Castelnuovo dell'Università La Sapienza è un gioiello di architettura razionalista creato da Ponti che si può visitare liberamente. In esposizione ci sono vari oggetti tra Déco e “Ritorno al Classico”, le porcellane con i soggetti tratti dall'antichità classica, reinterpretati con lieve ironia, creati da Ponti per la Richard- Ginori, la forma di alcune si ispira alle antiche urne e “ciste” etrusche ma c'è anche un centro tavola creato, in collaborazione con Tomaso Buzzi, per le ambasciate italiane, che ha come modello quelli rinascimentali che si possono ammirare al Museo degli argenti a Palazzo Pitti. Successivamente Ponti aderì al razionalismo, propugnato dal “Gruppo7” fondato da giovani architetti milanesi, tra cui Giuseppe Terragni, influenzati dagli scritti di Gropius e Le Corbusier. Il “Gruppo7” sosteneva il rifiuto ogni orpello decorativo e la riproducibilità industriale degli oggetti in modo che tutti potessero usufruirne ad un prezzo accessibile. Di Ponti è in esposizione la Lampada Bilia in metallo e vetro (1931) talmente avanti rispetto ai tempi, che fu messa in produzione solo nel 1967.
Mentre Marcello Piacentini, il cui più grande merito fu di essersi attorniati di giovani architetti e artisti, fu il regista della costruzione della parte più monumentale degli edifici pubblici, il regime fascista accettò anche gli esperimenti modernisti di artisti quali Giuseppe Terragni e Mario Radice, autori della famosa Casa del Fascio di Como. In mostra ci sono due oggetti emblematici di questi giovani architetti, di Terragni, la Poltrona Sant'Elia, in una sinuosa struttura in tubolare metallico in unico pezzo, e di Franco Albini il Mobile-radio(1938). Questa mostra racconta molta della storia del gusto italiano del secolo scorso, ed è affascinante ripercorrerla attraverso oggetti raffinati, incredibilmente fantasiosi o quasi ascetici nella loro essenzialità. In questo spazio non è stato possibile parlare di tutti e di tutto, ma vale la pena andare a vedere di persona, è imperdibile.