Palazzo Barberini. Il giovane Fra' Filippo Lippi

Articolo di: 
Nica Fiori
Filippo Lippi

Un tocco di immediatezza espressiva e di vigore popolare caratterizza alcuni dipinti giovanili di Filippo Lippi, protagonista di una piccola ma significativa mostra a Palazzo Barberini dal titolo “Altro Rinascimento. Il giovane Filippo Lippi e la Madonna di Tarquinia”, a cura di Enrico Parlato. A cento anni dalla riscoperta della Madonna di Tarquinia, ad opera dello storico dell’arte Pietro Toesca, la mostra celebra l’evento indagando sulla formazione artistica del pittore, a confronto con Masaccio e Donatello.

Fra’ Filippo Lippi (nato a Firenze nel 1406 e morto a Spoleto nel 1469) è stato un carmelitano protagonista della pittura quattrocentesca fiorentina, le cui vicende terrene ce lo fanno apparire quasi come un libertino, dal momento che ebbe una scandalosa relazione con la bellissima monaca Lucrezia Buti, che rapì dal convento di Prato dove si trovava e dalla quale ebbe due figli, dei quali il primo, Filippino, è stato pure un apprezzato pittore. Forse a questo suo essere sensibile alla bellezza femminile deve l’immagine seduttrice delle sue donne e madonne, ma non bisogna credere per questo che nelle sue opere ci sia il segno di uno spirito irreligioso, perché vi troviamo, al contrario, l’espressione di una poetica e fervente religiosità, pari forse a quella del Beato Angelico, l’altro celebre pittore religioso del Quattrocento.

La Madonna di Tarquinia, conservata a Palazzo Barberini, è un dipinto cardine per capire l’evoluzione dello stile pittorico dell’artista, a partire dalla sua prima attività all’ombra di Masaccio. Come scrive  Giorgio Vasari nelle sue Vite, “molti dicevano lo spirito di Masaccio essere entrato nel corpo di fra’ Filippo”. In effetti Filippo Lippi, che aveva preso i voti nel 1421, viveva al Carmine, dove ebbe modo di vedere Masaccio all’opera mentre affrescava la Cappella Brancacci. Di Masaccio è in mostra una tavola con San Paolo (1426, proveniente dal Museo Nazionale di S. Matteo a Pisa), che faceva parte del cosiddetto Polittico di Pisa, caratterizzato da uno stile plastico e severo, particolarmente evidente nel volto severo e nel taglio netto delle pieghe del panneggio. Una tavoletta con un giovane santo carmelitano, facente parte dello stesso polittico e proveniente da Berlino (Gemäldegalerie), è attribuita per il suo aspetto meno severo (volto pingue e mantello più morbidamente chiaroscurato) a fra’ Filippo, presente probabilmente all’epoca a Pisa come aiuto di Masaccio. L’impianto masaccesco è evidente in alcune opere giovanili di fra’ Filippo, come la Madonna con il Bambino, sette angeli e i santi Alberto da Trapani, Michele Arcangelo e Bartolomeo (1426-30), proveniente da Empoli, e nella tavola proveniente da Cambridge con la Madonna col Bambino, i santi Giovanni Battista e Ansano (?) e un donatore (1430-33).

Nella Madonna di Tarquinia, datata al 1437, come si legge nel cartiglio dipinto in basso, fra’ Filippo si sgancia da Masaccio, pur mantenendo il suo valore plastico, ed è evidente la capacità di trarre gli elementi che gli parevano utili da più fonti. Si nota in particolare l’influsso di Donatello nel Bambino, che sembra derivare dallo Spiritello portacero di Donatello, prestato da un museo parigino, che faceva parte della cantoria di Luca della Robbia per la cattedrale di Firenze. Inoltre c’è qualcosa dello stile fiammingo nell’ambientazione domestica della Madonna, che pure è assisa su un trono, per la spazialità a ventaglio, che deriva dal suo soggiorno a Padova, una città all’epoca più aperta alla pittura nordica. La Madonna e il Bambino sono privi di aureola e indubbiamente trasmettono un senso di maggiore libertà nella forza espressiva dei loro modelli, che sembrano tratti dal vivo.

La mostra prosegue con l’Annunciazione, del 1435 circa, proveniente da New York, messa a confronto con la grande Annunciazione con donatori (1440 ca), di Palazzo Barberini, dove è evidente la sontuosità e la sensualità dello stile di Filippo Lippi, dai colori cangianti e caratterizzato da una minuziosa dovizia di particolari d’impronta fiamminga. Si arriva così a quello stile “gratioso et ornato et artificioso sopra modo”, di cui parla l’umanista Cristoforo Landino nel 1481, così diverso dal severo stile masaccesco delle origini. Vengono evidenziate, quindi, in poche opere più facce di un fenomeno artistico, come è stato il Rinascimento, che è stato ben più complesso di quello che si pensa abitualmente. La mostra presenta anche materiale d’archivio relativo alla scoperta del dipinto in una chiesa di Corneto (oggi Tarquinia) e al successivo ritrovamento della cornice originale, forse progettata dallo stesso Lippi, e una piccola sezione dedicata al committente Giovanni Vitelleschi, condottiero e arcivescovo di Firenze.

In contemporanea con “Altro Rinascimento”, Palazzo Barberini offre anche un’altra piccola mostra di approfondimento intitolata “Giovanni da Rimini. Passato e presente di un’opera”, a cura di Alessandro Cosma. Questa trae spunto dalla presenza a Roma di una tavola trecentesca con Storie di Santi, acquistata nel 2015 dalla National Gallery di Londra, accostata per un confronto ad un’altra con Storie di Cristo della collezione di Palazzo Barberini. Finora si credeva che le due tavole, di dimensioni molto vicine, formassero un dittico, ma ora si è visto che i supporti non sono così compatibili. Comunque le tavole hanno vissuto insieme a Palazzo Barberini dalla fine del Seicento fino a che nell’Ottocento sono state divise: una è andata agli Sciarra ed è stata acquistata dallo Stato italiano nel 1897; l’altra dai Barberini è passata ai Camuccini e poi è stata venduta nel 1835 al duca di Northumberland, che la portò nel 1835 in Inghilterra ed è ora proprietà della National Gallery.

Considerato il capostipite della pittura riminese che dominò per circa cinquanta anni l’area adriatica, Giovanni da Rimini evidenzia nelle due tavole messe a confronto (precedenti al 1305), gli echi dei modelli figurativi che solo pochissimi anni prima Giotto aveva creato nella cappella degli Scrovegni a Padova, in particolare nelle figure viste in tralice nella scena della tavola di Londra raffigurante l’Assunzione in cielo di San Giovanni Evangelista, secondo la tradizione riportata da Jacopo da Varagine nella Legenda aurea. Secondo un’ipotesi plausibile entrambe le tavole erano legate al convento eremitano di Sant’Agostino a Rimini.

La piccola mostra espone anche una metà di dossale d’altare di Giuseppe Baronzio, che è l’ultimo esponente della scuola riminese e con il quale prima veniva erroneamente identificato Giovanni da Rimini, per l’omonimia del nome Johannes. La tavola di Baronzio, pure conservata a Palazzo Barberini, è databile al 1330-35 e raffigura Storie di Cristo, dalla Crocifissione in poi, con un criterio non sempre cronologico (la Pentecoste è fuori ordine). Proveniva dal convento francescano di Villa Verucchio, vicino Rimini, strettamente legato ai Malatesta. La cosa che colpisce è la presenza di San Pietro (riconoscibile dal vestito giallo) nella Deposizione, che potrebbe essere spiegata come riconciliazione dei francescani con il papato, dopo le tensioni degli anni precedenti.

Pubblicato in: 
GN4 Anno X 24 novembre 2017
Scheda
Titolo completo: 

Gallerie Nazionali di Arte antica di Roma – Palazzo Barberini
Dal 17 novembre 2017 al 18 febbraio 2018

Altro Rinascimento. Il giovane Filippo Lippi e la Madonna di Tarquinia
Giovanni da Rimini. Passato e presente di un’opera

Orario: dalle 8,30 alle 19 (la biglietteria chiude un’ora prima); chiuso il lunedì
Biglietto Barberini Corsini, valido per 10 giorni in entrambe le sedi museali: intero 12 euro, ridotto 6 euro (compresa l’esposizione di Parade di Picasso), gratuito per gli aventi diritto