PJ Harvey. Care Tenebre

Articolo di: 
Livia Bidoli
PJ Harvey

L’immensa oscurità che avvolge questo album è teneramente sussurrata, le grida silenziate da richieste tradotte in sospiri, sembrano profilare nonostante la fine, un ancora tiepido ardore. Una storia d’amore con sé prima che con il “lui” continuamente ricordato. Una propria avventura nelle tenebre: un confronto che cresce con le canzoni seguenti, tutte allacciate da un percorso cullante, una nenia che si canta all’orecchio per moderare l’angoscia di chi trascorre notti insonni ad attendere l’avverarsi di un’utopia.

The Devil non è il diavolo, bensì l’insensatezza della speranza che ci conduce all’ancora più priva di senso preghiera di ricompensa indirizzata alla “cara oscurità” di Dear Darkness. Una narrazione che è la favola di un bambino mai cresciuto, Grow grow grow, fra le braccia amorevoli dell’accoglienza in una eterea vacuità in When under ether. Il gesso della lavagna di White chalk sporca le mani, arrossate dal sangue, nemmeno la scuola è riuscita a formare una identità equilibrata. Il primo coro a cappella intona il lamento acustico di Broken Harp e termina con Silence, in un rifiuto imposto dall’esterno, da una figura persecutoria che impersona vari ruoli, dai genitori all’amante, ad abbozzati insegnanti.

Il piano, suonato da PJ Harvey per tutto l’album, reitera il dolore nell’omonimo brano The Piano, raccontando l’ennesima storia di brutalità prima del suicidio finale di Before departure. Nemmeno nell’ultima ballad The Mountain, si profila un’apertura risolutiva che non sia perduta o affogata tra desideri frustrati, violenze reiterate, tradimenti senza ragione. Nulla è consolazione, nessun conforto, nemmeno dalla musica, che traccia una linea d’asfalto su cui si scorge un’auto ferma sul ciglio della strada, appena dopo un incidente mortale.

A questo punto ci si accorge che l’inizio dell’album, che mostrava maggior partecipazione e variazione strumentistica, di accordi e di suoni, era quello dove la stessa istanza, sebbene velatamente lamentosa, era venata di seppur minime sospensioni e leggerezze. Un momento in cui era ancora possibile una diluizione diversa dalla tabula rasa suggerita nelle due ultime composizioni. Ricorda la fuga dei violini di Haydin: come se, alla fine, scomparsi tutti gli strumenti, non rimane che il vuoto nella stanza della musica. Ovvero nella stanza dell’ardore, dove PJ Harvey ha suonato (piano e tastiere, chitarra acustica e basso, zither, armonica), e cantato con una voce dai toni sottili e rivestiti spesso di una coltre chiarosocura, un’Ananke dolentemente attuale.

Dear darkness Dear darkness Won't you cover, cover me again?

Dear Darkness, PJ Harvey

Pubblicato in: 
GN1/ 3-17 novembre 2008
Scheda
Autore: 
Polly Jean Harvey
Titolo completo: 

White Chalk - Island/Universal - testi di Polly Jean Harvey -
Prodotto e mixato da Flood, John Parish e PJ Harvey
Tracklist
1. The Devil
2. Dear Darkness
3. Grow Grow Grow
4. When Under Ether
5. White Chalk
6. Broken Harp
7. Silence
8. To Talk To You
9. Piano
10. Before Departure
11. Mountain

Anno: 
2007
Voto: 
8
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