Popular music ed emancipazione. Focus sui Bronski Beat

Articolo di: 
Simone Vairo
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Dare una voce alla comunità gay attraverso la musica: questo e altro, all’interno di studi di gender, nella produzione dei Bronsky Beat, gruppo synth pop omosessuale, con particolare riferimento all’album The age of consent (1984) e ai singoli da esso estratti (Smalltown Boy e Why?)

Il panorama musicale degli anni ‘80 è decisamente il periodo più prolifico di cui si abbia memoria nella cultura della popular music. Non solo per l’alto numero di star che contribuiscono a delinearne il quadro storico (Duran Duran, Van Halen, Spandau Ballet, Tears For Fears, ecc.), ma poiché, a quella decade, è possibile applicare una ben marcata distinzione musicale di gender. Lo studioso John Sheperd, in merito ad una discussione sul brano di MadonnaJustify My Love” del 1990, afferma: «la popular music può servire da mezzo di esplorazione e messa alla prova della sessualità, al servizio della creazione e del mantenimento d’identità personali e collettive» (J. Sheperd, Maschile/femminile nella musica dei giovani In Enciclopedia della musica, diretta da Jean-Jacques Nattiez, vol. I, Il Novecento, Torino, Einaudi, 2001, p. 746).

Tale affermazione risulta ancora più appropriata se la leghiamo all’argomento in questione: la voce della comunità omosessuale nella musicalità synth pop del trio gay Bronski Beat (composto dal cantante Jimmy Sommerville, il produttore Steve Bronski e il polistrumentista Larry Stein), espressa attraverso il loro album The age of consent (London Records, novembre 1984). Il messaggio contenuto in brani come “Smalltown Boy” o “Why?”, all’interno del movimentato panorama inglese del 1984, si configurò non come un semplice canto che delineava l’immagine del mondo omosessuale, ma come una vera e propria presa di posizione nei confronti dei pregiudizi contro i gay: la prima, esplicitamente dichiarata, nel campo della musica. Tale risultato, comunque, è stato definito da varie ‘sperimentazioni’ (figurative e musicali) che misero a dura prova le nozioni tradizionali di sessualità: un probabile inizio fu decretato nel 1972 ovvero la data di pubblicazione dell’album The Rise And Fall Of Ziggy Stardust And The Spiders From Mars di David Bowie.

Negli anni Settanta gli autori di popular music ebbero l’idea di adeguarsi ai tempi e andare incontro alla corrente glam rock in cui si esaltavano i processi di costruzione e fabbricazione dell’immagine; in tal senso il cantautore/attore inglese David Bowie fu un vero e proprio innovatore poiché seppe reinventarsi con immagini pubbliche sempre diverse. Tale sottolineatura dell’artificio, però, venne ulteriormente promossa dall’avvento del punk inglese alla fine degli anni Settanta che prosciugò le categorie musicali del loro significato tradizionale permettendo a tutti, soprattutto alle donne (le quali formeranno le loro prime band), di contribuire a ‘scrivere’ la ‘storia sonora’ di quegli anni: un attacco ai simboli convenzionali/musicali della sessualità che porrà come episodio massimo, ma ampiamente anticipato dalla corrente punk della musica, l’erotico video di Madonna (“Justify My Love”) in cui la cantante, attraverso l’esposizione di un seno femminile, rimette in discussione le nozioni tradizionali e consolidate della sessualità maschile facendo appello al voyeurismo di entrambi i generi.

La sessualità, quindi, può essere intesa come fattore sociale e culturale intimamente legato a questioni d’identità, al nostro domandarci chi siamo e chi pensiamo di essere, insomma ad esporre l’artista ad un livello soggettivo. Si aggiunga, a tale affermazione, una piccola appendice: quella dell’immagine omosessuale.

Verso la fine degli anni Settanta iniziarono ad emergere le prime band che esibivano attraverso la musica, una visione ‘colorata’ del mondo omosessuale (si vuole far riferimento ai cantanti dei Village People; icone gay mai rivelate) senza prendere effettivamente una posizione in merito all’identità gay e alla discriminazione omosessuale, a quei tempi, ancora molto forte. Erano voci di un mondo volontariamente isolato nell’universo etero, volte a stabilire una più equilibrata convivenza. In tal senso, i Bronski Beat si diedero molto da fare al fine di portare avanti un ‘dibattito’ testuale/musicale che si prendesse delle responsabilità fin dalla copertina dell’album. La copertina di The age of consenst, presenta tre peculiarità: un triangolo rosa (simbolo del movimento di liberazione omosessuale), un numero di telefono (il London Gay Switchboard; info e help line per gay e lesbiche posta solo all’interno del vinile) e il titolo (un riferimento all’età in cui una persona è considerata capace di dare un consenso informato a comportamenti regolati dalla legge, in particolare i rapporti sessuali). I tre singoli estratti dall’album non sono da meno: “Smalltown Boy”, narra la storia di un ragazzo che fugge dal suo paese natale a causa dei troppi pregiudizi sulla sua sessualità; “Why?” è una denuncia nei confronti dell’omofobia (con riferimento alla morte di Drew Griffith morto perché pestato da un gang omofobica nel 1984). “It ain’t necessaraly so”, cover del brano composto in originale da George e Ira Gershwin, si unisce agli altri due come visione cinica della Bibbia (ovvia critica ai pregiudizi omofobici della Chiesa).

L’effetto, più o meno positivo, che ebbe l’esposizione di tali tematiche nel Regno Unito, fu motivato non solo da un contesto ben preciso, ma anche dall’importanza che ha assunto quel tipo di sonorità nella popular music. L’epoca in cui i Bronski Beat lanciano il loro album è l’Inghilterra del Primo Ministro Margaret Thatcher (dal 1979 al 1990) leader del Partito Conservatore Inglese (dal 1975); la Thatcher mise a dura prova la pazienza degli inglesi. Sotto il suo governo aumentò l’inflazione nel paese (la sua politica di stampo reazionario diede spunto a Mick Hucknall – leader dei Simply Red – per il brano Wonderland, inciso per l’album Stars del 1991), ma soprattutto fu favorevole al Clause 28, un atto di governo del 1988 (durato fino al 2003) che decretava l’intenzione a non voler promuovere o divulgare alcun materiale riguardante l’omosessualità e, soprattutto, ad insegnare nelle scuole come il rapporto uomo/uomo fosse un ‘quadro familiare finto’. Per la comunità omosessuale (già impegnata in una ‘battaglia’ promozionale contro l’AIDS per favorire il sesso protetto) fu un duro colpo e non poté far altro che manifestare apertamente in favore dell’abrogazione della legge (prese parte ai moti, indirettamente, anche il cantante Boy George con il brano No clause 28), legge che verrà abrogata soltanto nel 2003.

La particolare sonorità scelta invece dai Bronski Beat, invece, è possibile definirla non solo in merito all’effetto che produsse nel Regno Unito, ma anche come metro di giudizio decisivo del loro successo fulmineo, poiché sottintende l’utilizzo della canzone come «discorso [o] atto linguistico [che veicola] un significato non solo semanticamente, ma anche come struttura sonora, che è un diretto segnale di emozione e contrassegno di personalità». Se, secondo il professor Emanuele Senici (docente di “Storia della musica” alla facoltà di Scienze Umanistiche a La Sapienza di Roma), l’omosessualità in questo caso si esprime attraverso il modo di cantare di Jimmy Sommerville con il falsetto (riformulazione del pensiero del professor Senici in L’omosessualità è un modo di cantare; Il contributo queer all’indagine sull’opera in musica in «il Saggiatore musicale», VII/1, 200, pp. 137-178),  ciò sottolinea come la sua personalità di gay sia forte, indipendente e ben definita, insieme a quella di un’intera comunità che, finalmente, ha la possibilità di rompere le barriere del pregiudizio comune. Infatti l’impostazione canora di Sommerville non fu casuale, ma aveva un preciso riferimento letterario: il personaggio Oskar del romanzo Il tamburo di latta (1969) di Günter Grass, la cui voce possedeva delle capacità ‘vetricidie’e la cui famiglia faceva di cognome proprio Bronski. In merito alle componenti distruttive o vetricide, l’inizio del brano “Why?” si configura come un urlo acuto senza musica seguito dal suono di vetri rotti; un’introduzione appropriata ai versi successivi («You and me toghether/Fighting for our love/Can you tell me why?»), ma anche l’emergere di una voce, fin troppo zittita, che non vuole più essere rilegata nel concetto di ‘diverso’ inteso come una forma di razzismo sociale.

L’ottima resa della tematica dei loro brani di maggior successo venne supportata anche da dei video musicali (entrambi di Bernard Rose, regista di alcuni famosi video di Frankie Goes To Hollywood) molto coerenti con le loro tematiche: nel caso di “Why?”,  i Bronski Beat vengono catturati dalla polizia la quale opera non solo per conto dello Stato, ma anche per conto di Dio. In tal senso, infatti, l’immagine del Creatore è vista come quella di un uomo tradizionalista, non tollerante e punitore nei confronti dei gay («Tear up my life/Condemning me/Name me an illness/Call me a sin/Never feel guilty/never give in»); alla fine del videoclip, infatti, trasformerà in statue i tre membri della band per aver dato inizio ad una ‘rivolta omosessuale’ all’interno del carcere in cui erano tenuti. Nel caso di “Smalltown boy”, invece, le immagini non fanno altro che riportare la storia raccontata nel testo: un ragazzo che fugge dal suo paese natale a causa dei troppi pregiudizi sulla sua sessualità («You leave in the morning/With everything you own/In a little black case/Alone on a platform/The wind and the rain/On a sad and lonely face»).

La scena iniziale, infatti, si apre con le rotaie di un treno su cui vi e è sopra il protagonista (Jimmy) che non fa altro che ricordare ciò che è accaduto qualche tempo prima del suo attuale presente: la conoscenza di due amici gay in una piscina (gli altri membri della band); il ribrezzo di un nuotatore che non voleva essere guardato in modo strano da un altro uomo («You were the one/That they'd talk about around town/As they put you down»); le gang omofobiche («Pushed around and kicked around/Always a lonely boy»); lo sguardo deluso del padre («Mother will never understand/Why you had to leave/For the love that you need/Will never be found at home»). Questi sono tutti elementi che rafforzano il contenuto testuale svuotandolo di qualsiasi interpretazione fuorviante.

Una piccola appendice sulla musicalità synth pop dei Bronski Beat: si tratta dell’unico elemento privo di un collegamento effettivo con la tematica dell’omosessualità. Spiegando meglio: il synth pop può prestarsi a varie interpretazioni di genere, ma ciò è implicito alla sua natura sonora. L’insieme di strumenti che lo definiscono sono esclusivamente elettronici/artificiali: un modo quindi, pur sempre, anti-convenzionale di riprodurre il suono. In tal senso, ricollegandoci al concetto d’identità sessuale come costruzione di se stessi, tutto torna: riformulare il suono al fine di farlo con se stessi. C’è da aggiungere, però, che il risultato finale viene rafforzato da un alto livello sperimentale d’idee musicali la cui unione origina un suono indefinito e ambiguo (molte sono le band che confermano ciò: Yazoo, Soft Cell, ma in primis i Depeche Mode di “Songs Of  Faith And Devotion”; album in cui il cantante Dave Gahan cambiò look diventando un’icona del sesso ‘proibito’ privo d’inibizioni riferito sia ad uomini che a donne) Perciò, in tal senso, si può affermare che i Bronski Beat hanno semplicemente usato il synth pop quale mezzo migliore per l’espressione della loro musica d’identità di genere.

I Bronski Beat hanno saputo dare una giusta voce alla comunità omosessuale nel contesto più appropriato attraverso messaggi diretti e concisi: il loro lavoro non deve essere dimenticato tanto quanto il ruolo svolto nella società degli anni Ottanta.

Pubblicato in: 
GN50 Anno III 2 maggio 2011
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