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Scuderie del Quirinale. Il Terzo Reich e l'Arte Liberata
I protagonisti che resero possibile il difficile e pericoloso salvataggio delle opere d’arte durante la seconda guerra mondiale, erano funzionari statali che continuarono la loro opera, collaborando tra loro, anche dopo l’armistizio dell’8 settembre che produsse un assenza di direttive ufficiali e il caos. Due furono le convinzioni che li spinsero anche rischiando la vita: erano coscienti dell’universalità del patrimonio da salvare e consapevoli dell’importanza dell’arte come fondamento dell’identità della nazione. A loro è dedicata la mostra l’Arte Liberata 1937-1947. Capolavori salvati dalla guerra, in svolgimento fino al 10 aprile 2023 a Le Scuderie del Quirinale.
L’esposizione è a cura di Luigi Gallo e Raffaella Morselli ed organizzata dalle Scuderie del Quirinale in collaborazione con la Galleria Nazionale delle Marche, l’ICCD – Istituto Centrale per il catalogo e la Documentazione e l’Archivio Luce – Cinecittà. La mostra è ben organizzata e racconta questa storia con pannelli esplicativi che, insieme a una scelta di filmati e fotografie, introducono il visitatore nella situazione del tempo, in mostra c’è una selezione di oltre cento capolavori tra le migliaia che furono salvati. L’allestimento delle opere ricorda le strutture con cui furono preservate, la collocazione e l’illuminazione a loro dedicata e quella dei pannelli e delle foto è efficace, il tutto contribuisce a rendere la visione del visitatore pienamente fruibile.
L’esposizione è articolata in tre principali filoni narrativi; il primo, Le esportazioni forzate e il mercato dell’arte, è aperto dall’eccezionale presenza del Discobolo Lancellotti, copia romana in marmo del II secolo d.C. del celebre bronzo di Mirone databile al V secolo a.C. La vicenda della sua vendita forzata è il prologo di quello che sarebbe avvenuto con le razzie naziste in tutta Europa e presenta i protagonisti. Si inizia così con la descrizione delle mire predatorie Hitler, che voleva erigere il suo museo a Linz sua città natale, museo progettato da Albert Speer, che doveva raccogliere tutte quelle opere d’arte che considerava il meglio dell’arte europea. Un altro protagonista delle razzie in tutti gli stati occupati dai nazisti fu Goering, che usava le opere come ornamento e trofeo per la sua fastosa tenuta Carinhall, in mostra una delle opere che finirono nel giardino della tenuta: il Cerbiatto proveniente dalla Villa dei Papiri di Pompei e la Danae di Tiziano, proveniente da Napoli, usata come testiera del letto.
L’attrazione per il Discobolo nacque dal documentario sulle Olimpiadi di Berlino del 1936 di Leni Rifensthal, che all’inizio è fantasiosamente ambientato tra i ruderi dell’antica Grecia e propone Discobolo come ideale della razza ariana, la statua infatti si trasforma nell’atleta tedesco Erwin Huber. La conseguenza fu che fu messo in cima alla lista delle opere che la Germania nazista volle comprare. Nonostante la ferma opposizione Consiglio superiore delle Scienze e delle Arti e del Ministro dell’Educazione Nazionale responsabile anche di Antichità e Belle Arti, Giuseppe Bottai, il desiderio di assecondare le mire dei nazisti spinse Galeazzo Ciano sostenuto da Mussolini a imporre la vendita del Discobolo, che dal 1909, era vincolato, così nel 1938 la statua arrivò alla Gliptoteca di Monaco di Baviera.
Alla fine della guerra Rodolfo Siviero, incaricato del recupero delle opere illegalmente esportate, riuscì a convincere il Governo Militare Alleato che l'opera, insieme a tanti altri capolavori, era stata acquisita illegalmente dai nazisti grazie all'alleanza tra due regimi. Il 16 novembre 1948 il Discobolo tornò in Italia, insieme ad altri 38 capolavori che erano stati esportati illegalmente tra il 1937 e il 1943. Un ruolo in queste acquisizioni illegali lo ebbero anche gli antiquari tra cui il fiorentino Eugenio Ventura, che cedette sedici opere italiane tra cui due cassoni dello Scheggia di Palazzo Davanzati, di cui uno è in mostra, in cambio di quadri di impressionisti (Van Gogh, Cézanne, Degas, Renoir, Monet e Sisley) illegalmente sottratti a importanti collezionisti soprattutto ebrei, in Francia durante l’occupazione nazista.
Questa è la premessa che rafforzò l’esigenza di disciplinare la tutela dei beni culturali e il 1º giugno 1939 venne emanata dal ministro dell'Educazione Nazionale Giuseppe Bottai la legge "per la tutela delle cose di interesse artistico e storico", più conosciuta come legge Bottai a cui il 29 giugno si aggiunse quella "per la tutela delle bellezze paesistiche" premessa storica dell'articolo 9 delle Costituzione.
Spostamenti e ricoveri sono il filone narrativo della seconda parte che si apre quando, dopo l’invasione della Polonia il 1° settembre 1939, Giuseppe Bottai, resosi conto dell’incombere della guerra e dei rischi connessi ai bombardamenti, dispose la messa in sicurezza degli edifici, dei monumenti e delle opere inamovibili, come gli affreschi, con impalcature ignifughe, sacchi sabbia e il trasferimento dei beni artistici mobili in luoghi sicuri, divisi tra i beni di alto pregio e quelli detti di secondaria importanza, in base ai criteri, che rispondevano alla visione critica dell’epoca. Questo compito fu affidato alle soprintendenze e qui comincia la parte più affascinante e avventurosa della storia e della mostra.
Questa è la parte più estesa, si articola in sezioni dedicate alle diverse zone d’Italia e alle relative soprintendenze. Le prime città che provvidero alla messa in sicurezza furono le città portuali e quindi obiettivi sensibili, Genova dove era sovrintendente Antonio Morossi, e Napoli dove rivestiva lo stesso incarico Bruno Molajoli. Di grande rilevo è quella dedicata alle Marche e allora giovane soprintendente delle Gallerie delle Marche, Pasquale Rotondi. Rotondi allievo di Adolfo Venturi e Pietro Toesca dimostrò un grande senso pratico e logistico, infatti scartata Urbino perché la rupe era stata scavata per collocare un arsenale dell’aeronautica, ricoverò le opere delle Gallerie nella Rocca quattrocentesca di Sassocorvaro. Dopo l’entrata in guerra, poiché lo spazio non bastava più, trovò un deposito supplementare nel Palazzo dei principi Falconieri a Carpegna. Dai musei delle Marche proviene il nucleo più numeroso di opere in esposizione, tra queste ricordiamo la Madonna di Senigallia di Piero della Francesca, l’Immacolata concezione di Federico Barocci, il Gonfalone, la Discesa dello Spirito Santo e la Crocifissione di Signorelli, la Testa di Giovanni Battista di Bellini, la Visitazione e l’Annunciazione di Lorenzo Lotto e il prezioso vessillo navale bizantino di inizio XV sec. raffigurante Michele arcangelo e Manuele Notho Paleologo.
Lo spazio trovato da Rotondi servì anche per opere provenienti da Roma, dove la Galleria Borghese diretta da Aldo de Rinaldis fu un modello nella messa in sicurezza, Venezia e Milano. Il trasferimento più difficile fu quello delle opere di Venezia, in generale per i problemi che i trasporti hanno nella città lagunare, e in particolare per fragilità e la grandezza delle opere, come gli ampi teleri di Tintoretto staccati dal soffitto di Santa Maria dell’Orto. Problemi che furono superati grazie al soprintendente regie gallerie Vittorio Moschini, coadiuvato dall’energico Gino Fogolari, Soprintendente alle opere d’arte nel Veneto e da Rodolfo Pallucchini, funzionario della Soprintendenza lagunare. I beni erano catalogati e un cartellino sulle casse indicava il contenuto, cartellino che fu tolto dopo l’armistizio quando questi ricoveri furono perquisiti dai nazisti. A Sassocorvaro non si accorsero della collocazione delle casse. A Carpegna, fortunatamente, aprirono la cassa con i manoscritti di Gioachino Rossini provenienti da Pesaro, che per i nazisti non avevano alcun interesse, e così credendo che non ci fosse altro non proseguirono le ricerche,ma Rotondi riportò molte opere a Urbino e le più preziose, come La Tempesta di Giorgione a casa sua.
A questo punto ci fu una svolta, Giulio Carlo Argan, funzionario ministeriale che era stato uno degli ispiratori della legge Bottai, ottenne dal cardinale Montini, poi papa Paolo VI, con il consenso di papa Pio XII e di Bartolomeo Nogara, direttore generale dei musei e delle gallerie pontificie di trasferire tutte le opere in Vaticano contro la volontà del governo di Salò. Fra il mese di dicembre del 1943 e il gennaio successivo, Emilio Lavagnino, coraggioso e determinato funzionario della soprintendenza, riuscì nell’avventurosa impresa di trasportare tutte le opere ricoverate a Urbino, Sassocorvaro e Carpegna in Vaticano con trasporti notturni a fari spenti. Lavagnino girò, a sue spese pagando il carburante alla borsa nera e con enormi difficoltà, anche per tutto il Lazio per mettere al sicuro le opere d’arte custodite nei diversi borghi e città.
A Firenze fu Giovanni Poggi, Soprintendente e Direttore degli Uffizi da trent’anni, a occuparsi della salvaguardia dell’inestimabile patrimonio custodito nella città dislocando le opere fuori città. Dopo l’armistizio furono riportate a Firenze le opere custodite nella galleria ferroviaria dell’Incisa, di Pian della collina e di Scarperia, mentre quelle custodite negli altri depositi rimasero in quelli. Nell’estate del ‘44 furono prese molte opere dai Kunstschutz, corpo militare specializzato per requisire opere d'arte italiane e trasportarle in Germania, con il pretesto di salvarle dai bombardamenti alleati. Da Firenze partirono per la Germania e l'Austria in convogli: 58 casse di statue in marmo e bronzo (di Donatello e Michelangelo tra gli altri), 26 statue dell'antica Grecia, 291 dipinti di grandi dimensioni (tra cui opere di Tiziano, Botticelli e Raffaello) e 25 casse di dipinti più piccoli . Il curatore Luigi Gallo, nel saggio in catalogo scrive:” Malgrado il progressivo avvicinamento del fronte, Poggi decide di lasciare le opere dove si trovano, ricevendo diverse critiche dai colleghi, come Argan e Palma Bucarelli che lo definisce un incosciente.” Quello che accadde confermò che quelle critiche non erano infondate.
Anche il materiale librario fu protetto, un ruolo importante fu rivestito da Luigi de Gregori che ricoverò i libri custoditi nel monastero di Santa Scolastica a Subiaco, dove erano conservati anche i libri più preziosi delle biblioteche romane e della Casanatense nella Biblioteca Apostolica Vaticana, avvalendosi della collaborazione dei direttori delle biblioteche statali in maggioranza donne come Anna Saitta direttrice della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e Guerriera Guerrrieri della Biblioteca Nazionale di Napoli. I danni furono ingenti, quasi due milioni di libri distrutti nei bombardamenti, ma si salvò la parte più pregiata, con una importante eccezione, i testi razziati nelle biblioteche ebraiche in particolare quella di inestimabile valore della comunità ebraica romana di cui la maggior parte è andata perduta ed è ancora oggi viene ricercata.
Tra i coraggiosi protagonisti ricordiamo le donne, preparate ed energiche, a cominciare da Noemi Gabbrielli che si occupò di trasferire le opere contenute nella Galleria Sabauda e nella Albertina prima a Guiglia sull’Appennino modenese e poi nel Palazzo Borromeo sull’Isola Bella. La mappa, in esposizione, dei danni dovuti ai bombardamenti al centro di Torino non lascia dubbi sulla necessità degli spostamenti. La coraggiosa Fernanda Wittgens che diresse, prima donna in quel ruolo in Italia, l’Accademia di Brera dopo l’allontanamento di Ettore Modigliani perché anti fascista, poi emarginato perché ebreo. La Wittgens si occupò infaticabilmente del trasporto delle opere nelle Marche, fu arrestata perché aiutava anche gli ebrei a espatriare in Svizzera, rimase in carcere per un anno fino alla liberazione di Milano, alla fine della guerra fu liberata e si batté per la ricostruzione dell’Accademia di Brera che era stata colpita dai Bombardamenti. Palma Bucarelli che, come reggente, dirigeva la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, trasferì in maniera avventurosa le opere alla Villa Farnese a Caprarola e dopo l’armistizio in maniera ancora più avventurosa con la sua topolino le ricoverò sulla rampa Elicoidale di Castel Sant’Angelo. L’intrepida Jole Bovio Marconi, di formazione archeologa, fu direttore del Museo Nazionale di Palermo e poi Soprintendente di Palermo e Trapani. Nel luglio del ’40 portò in salvo le opere mobili del Museo Nazionale all’Abbazia di San Martino delle Scale, proteggendo in situ quelle di secondaria importanza. Inoltre riuscì a trasportarvi avventurosamente le opere della Galleria Civica d’Arte moderna, delle biblioteche e delle chiese. Nonostante i bombardamenti e senza mezzi e personale riuscì a far staccare le Metope del tempio di Selinunte, le grondaie di Himera e i mosaici romani trasportando tutto a San Martino.
Dopo lo sbarco degli americani collaborò i Monuments Men Mason Hammond e Fred HJ.Maxse aiutandoli nell’elaborazione di un modello di lavoro, e fu aiutata nella restituzione e la conseguente visibilità del patrimonio storico artistico. La MFAA – Monuments Fine Arts and Archives - questo era il nome della sezione delle Forze alleate, attiva dal 1943 al 1951, era composta da circa 345 uomini e donne di 13 nazionalità diverse, per lo più intellettuali o artisti reclutati tra direttori di musei, bibliotecari, studiosi d'arte e architetti. All’inizio indicarono quali erano i monumenti da non colpire con i bombardamenti o nei combattimenti, un esempio positivo fu a Firenze Santa Maria Novella che vicinissima allo scalo ferroviario rischiò di essere rasa al suolo, un esempio negativo a Roma la chiesa di San Lorenzo fuori le mura. L’Abbazia di Montecassino non si salvò perché gli alti comandi inglesi erano convinti, a torto, che dentro si asserragliassero le truppe tedesche e imposero il bombardamento.
Alla collaborazione tra loro e i funzionari italiani è dedicata l’ultima parte La fine del conflitto e le restituzioni in cui sono illustrate le missioni per il recupero e la salvaguardia delle opere trafugate al termine della guerra con una particolare attenzione a Rodolfo Siviero, che ebbe un ruolo cruciale nel recupero delle opere. Con la fine della guerra ha inizio l’avventura delle restituzioni dei beni trafugati dai nazisti con oltre seimila opere ritrovate finora altre sono ancora negli elenchi delle opere trafugate dei Carabinieri. Oltre a quelle citate sono in esposizione opere provenienti da diversi musei, tra queste ricordiamo: opere di Antoniazzo Romano provenienti da Rieti, reperti dal Museo egizio da Torino, il Ritratto di Battista Morosini di Tintoretto e l’Indovina di Piazzetta dall’Accademia di Venezia, La predica di Sant’Antonio di Padova di Veronese dalla Galleria Borghese, alcune sculture di Medardo Rosso dalla Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea, dipinti di el Greco da Palazzo Barberini, di Garofalo da Bologna, Bronzi dal Museo Archeologico di Napoli. Le opere d’arte impreziosiscono una vicenda che è la vera protagonista della mostra e merita di essere conosciuta per ricordare e rendere merito al coraggioso impegno di tutti coloro che si batterono per salvare le opere d’arte in una condizione ardua e pericolosa, come affermava il generale Clark: “Fare la guerra in Italia è come combattere in un maledetto museo d’arte”.