Teatro dell'Opera di Roma. I due Foscari e l'iniquità del potere

Articolo di: 
Livia Bidoli
I due Foscari

Il nostro Giuseppe Verdi ha terminato di scrivere I due Foscari nel 1844, tratto dall'opera che Byron aveva redatto 22 anni prima e che venne tradotta in libretto da Francesco Maria Piave: un dramma cupo e senza finale felice, che racconta l'ingiusta accusa contro Jacopo Foscari a Venezia nel 1457 da parte del Consiglio dei Dieci con Doge il padre Francesco Foscari, e accusatore ipocrita Jacopo Loredano, che convince i Dieci a condannarlo all'esilio. Nel nuovo allestimento dell'Opera di Roma dal 6 al 16 marzo 2013, abbiamo Riccardo Muti sul podio, la regia è curata da Werner Herzog e le voci sono di Tatiana Serjan nella parte di Lucrezia (il 10 ed il 14 quella di Csilla Boross); Luca Salsi come il Doge Foscari; Francesco Meli nella parte di Jacopo Foscari e Luca Dall'Amico in quella di Jacopo Loredano.

Un allestimento sobrio e tutto sui toni del grigio con il leone rampante simbolo della Repubblica lagunare centrale in primo piano, che si riscalda solo con la voce dell'innocente Jacopo Foscari nel suo magnifico assolo dell'atto primo con l'aria Dal più remoto esiglio nella scena IV, che è essenzialmente volto a sottolineare la patina di gelo di un potere corrotto, ipocrita e senza pietà. Dopo l'ouverture struggentemente diretta da Riccardo Muti, in cui l'Orchestra del Teatro dell'Opera viene esaltata in tutto il suo corpus, entriamo in una Venezia in cui i poteri non separati tra di loro, ledono sia lo stato di diritto sia il cuore di un padre, in questo caso il Doge Francesco Foscari che, non avendo prove per scagionare il figlio dalle false accuse, non può far altro che condannarlo, violando la sua stessa natura di padre.

Lo strapotere politico, l'assenza di un codice etico ed umano, come sovracitato, sono i temi fondamentali di un'opera che venne scritta poco prima dello scoppio dei moti di rivendicazione popolare di Dresda e di quel pensiero risorgimentale che sarebbe culminato nel 1861 con la prima unificazione italiana.

La meravigliosa musica di Verdi è colma di spirito patriottico nella sua visione struggente che culmina nelle arie commoventi della moglie di Jacopo Foscari, Lucrezia Cantarini, attraverso la voce eccellente di Tatiana Serjan - che abbiamo già ascoltato e recensito per il Simon Boccanegra qui all'Opera di Roma per l'inaugurazione della stagione 2012-2013 – e che insieme al Coro e nella cavatina, volge il suo pianto in estrema morbidezza canora. In proposito, il Coro diretto da Roberto Gabbiani, è ricco di quell'empito glorificante e tipicamente verdiano che coinvolge col suo richiamo.

Il padre Francesco Foscari, interpretato dal baritono di lunga esperienza Luca Salsi, dimostra quanto il conflitto tra legge ingiusta e senza compassione, sia un taglio efferato all'affezione della paternità. E' Lucrezia che richiama il padre al suo dovere d'amore paternale data la sua rigidità cui è costretto dall'assenza di potere rispetto al Consiglio dei Dieci: il duetto tra loro testimonia di variazioni sull'esaltarsi del ritmo.

Quando si giunge al secondo atto già la musica, procedendo rassegnata e men vitale di prima, annuncia la fine invereconda, tutta inscenata nei piombi veneziani, il dialogo a tre tra Lucrezia, Jacopo appena uscito da una visione allucinatoria in cui incontra il Conte di Carmagnola, ed il Doge Foscari, è illuminata da una luce flebile in cui si staglia il gelo delle stalattiti appese al finestrone sullo sfondo. Dopo l'inno romantico alla notte Notte!... perpetua notte di Jacopo, il terzetto confessa lacrime ed amore in Nel tuo paterno amplesso, che stride forte col terzo atto pimpante di colori coi giocolieri e la gente interessata solo al Carnevale.

Il dado è tratto ed insieme alla condanna del figlio si unisce quella del padre, confessata da Jacopo Loredano con la voce del tremebondo e preparato basso Luca Dell'Amico, che ricorda nella sua figura il figliol prodigo di Herzog, quel Nosferatu di Klaus Kinski avvolto in un mantello qui grigio ma con veste nera sotto.

Il Coro finale accompagna due morti: l'annuncio della morte di Jacopo anticipa di poco quella di Francesco Foscari, destituito anche dalla sua carica di Doge e nonostante la notizia di innocenza del figlio portata da Barbarigo (scena VI). Le neve cade sulle due vittime e la musica spegne ogni suo empito vitale.

Una regia sobria e secca nel risuonar delle scene che vanno a succedersi come inscatolate in un cubo magico di cui si conosceva la tragica soluzione, ravvivata da una musica intensa ed in crescendo in cui la direzione di Muti evidenzia tutti i tratti seppur reconditi ed in particolare risuonano gli archi gravi della sconfitta. Il nuovo allestimento del Teatro dell'Opera si avvale dei costumi tradizionali ed anche questi essenziali e delle scene di Maurizio Balò, mentre le luci di Vincenzo Raponi rimangono fredde su quella cupa realtà rappresentata dal dramma, riscaldate soltanto dai lumi delle arie innocenti degli ingiustamente accusati e vituperati personaggi.

Pubblicato in: 
GN19 Anno V 19 marzo 2013
Scheda
Titolo completo: 

TEATRO DELL'OPERA DI ROMA
I due Foscari
Musica di Giuseppe Verdi
Tragedia lirica in tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave
Durata
circa 3 ore, compreso intervallo
Prima rappresentazione
mercoledì, 6 marzo, ore 20.00 (turno A)
Repliche
venerdì, 8 marzo, ore 20.00 (turno B) giovedì, 14 marzo, ore 20.00 (fuori abb.) domenica, 10 marzo, ore 16.30 (turno E) sabato, 16 marzo, ore 18.00 (turno D) martedì, 12 marzo, ore 20.00 (turno C)

Direttore     Riccardo Muti
Regia     Werner Herzog
Maestro del Coro     Roberto Gabbiani
Scene e Costumi     Maurizio Balò
Luci     Vincenzo Raponi

Interpreti
Francesco Foscari     Luca Salsi
Jacopo Foscari     Francesco Meli
Lucrezia Contarini     Tatiana Serjan /Csilla Boross (10, 14)
Jacopo Loredano     Luca Dall’Amico
Barbarigo     Antonello Ceron
Pisana     Asude Karayavuz
Fante del Consiglio de' Dieci     Saverio Fiore
Servo del Doge     Donato Di Gioia

ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA
Nuovo allestimento