Teatro dell'Opera di Roma. Mahagonny. Il prezzo dell'Oro

Articolo di: 
Livia Bidoli
Mahagonny

Fa un certo effetto andare al Teatro dell'Opera della città eterna la sera stessa, l'8 ottobre, delle dimissioni del Sindaco, senza naturalmente saperlo prima. L'opera di Brecht e Weill poi, essendo Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny, ovvero la decadenza di una città nata dal nulla e sprofondata nella corruzione del vil denaro, direi che “rings a bell” (fa risuonare una corda) con il malaffare di Roma Capitale che si sta cercando finalmente di debellare dalla Suburra (film in uscita di Solllima sull'incrocio tra mafia e potere nei sobborghi malfamati dell'omonima città). Lo spettacolo che abbiamo visto all'Opera però è di ancor più alta levatura, e di ciò dobbiamo dar conto alla regia di Graham Vick, che ha coerentemente mantenuto le promesse (e le premesse) dichiarate nella sua presentazione.

È chiaro che un'opera come quella creata dalla collaborazione tra Kurt Weill e Bertolt Brecht e nata proprio nel momento dell'ascesa al potere del nazismo fu una premonizione per la democrazia alla stregua di un Tiresia moderno; e una maledizione per gli autori che non la videro mai più dopo la loro obbligata emigrazione (Brecht nel '33; Weill nel '35) negli Stati Uniti. Inoltre, già alla prima di Lipsia nel 1930 al Neues Theater, fu aspramente criticata dai nazisti.

Mahagonny però non è un'opera ferma in un tempo specifico: e l'uragano che colpisce tutte le città limitrofe aggirando la città dove il Soldo ha statuto di Legge è ripreso dal regista Gaham Vick come un tg sulle news degli ultimi veri naufragi dei barconi carichi di emigranti nella nostra Italia, primo punto d'attracco per uomini in fuga dalla guerra e da situazioni economiche che non gli permettono la benché minima sopravvivenza. Vick ha infatti creato, per il battesimo della città fondata da tre malviventi come Leokadja Begbick, Fatty Der Prokurist e Trinity Moses, un ambiente che è appunto il crocevia di culture, un aeroporto dove sbarcano poco dopo Jenny con le sue ragazze (prostitute) in cerca di denaro e polli da spennare. Di lì a poco arriveranno quattro tagliaboschi dall'Alaska guidati da Jim Mahoney, con i portafogli pieni di dollari dopo sette anni di duro lavoro al gelo, ed in cerca di facili piaceri. Non solo loro atterreranno nella città dell'oro: si vedono sauditi, omosessuali e prelati finalmente liberi di praticare il loro amore davanti a tutti. D'altronde, la regola è “basta che paghi”. L'Hotel dell'Uomo Ricco è lì per soddisfare i piaceri di tutti. Non solo, c'è un avanzamento da quando l'uragano risparmia Mahagonny: Jim riesce a convincere tutti che “tutto è lecito”, e qualsiasi divieto finora impostato non doveva più sussistere, dando libero sfogo ai quattro dogmi di Mahagonny: mangiare, accoppiarsi, sbronzarsi e combattere (in realtà picchiare il più debole è la traduzione esatta).

Nella débacle cui si assiste non c'è freno e dopo il match improbo tra l'amico di Jim, Alaska Wolfjoe e Trinity Moses, che lo uccide proprio durante l'incontro di boxe, la parte più cruda che condanna Jim verrà finalmente del tutto esplicitata. Dinanzi al processo contro Jim reo di non aver pagato i whiskey consumati la sera della morte di Joe, e la sua susseguente condanna capitale, si evidenzia il nesso che profila il regista Vick con l'oggi. I personaggi sono tutti invecchiati e male, Jenny è sulla sedia a rotelle e quasi tutti gli altri camminano con le stampelle: nel processo farsa l'unica cosa che conta sono i soldi: le tangenti per ottenere un processo “favorevole” Jim non le può pagare, ma nemmeno gli amici come Bill lo aiuteranno perché “i soldi sono un'altra cosa”. Tra i vecchi e malati cittadini di Mahagonny, preda di una società consumistico-capitalistica che non ha pietà e tantomeno giustizia per nessuno (Trinity Moses fa l'accusa e il giudice è Leokadja), scenderà un fantomatico Dio su una sorta di carro kitsch: e sarà allora che in mezzo alla sala intoneranno il loro canto del cigno miriadi di vecchi con le stampelle accerchiando il pubblico, e scenderanno cartelloni dai palchi dove si grida contro la casta dei vecchi al potere, gli stessi che in Italia, come aveva annunciato Vick, “continuano a rubare il futuro dei giovani” senza alzarsi nemmeno una volta dalla poltrona.

Spettacolo grandioso di grande coerenza e attenzione alla nostra Patria, con una direzione d'orchestra di primissimo livello, quella di John Axelrod che guida con grande coscienza e sobrietà un'Orchestra che risponde alla chiamata insieme al Coro diretto da Roberto Gabbiani; un Coro che attorialmente si è mosso sul palco per ricreare quel fantomatico luogo di perdizione nell'illusione amorale della soddisfazione priva di quei valori cui gli autori si sono ampiamente richiamati "in absentia" dall'inizio alla fine dell'opera. Autori che hanno dipinto un mélange musicale cromatico con spunti e citazioni dal cabaret al jazz, di eccezionale caratura lirica ed anche orecchiabile, aprendo la strada a cover epiche della Song of Alabama (Moon of Alabama), a cominciare da Ute Lemper, passando per David Bowie per finire con i Doors: quest'ultima è stata clamorosamente interpretata dalla soprano canadese Measha Brueggergosman nella parte di Jenny Hill, indimenticabile nella sua parte di adescatrice all'inizio e nostalgica malata poi. Jim Mahoney, il tenore americano Brenden Gunnell, è straordinario nei passaggi dall'arrogante esaltatore di Mahagonny e della sua anarchia capitalistica, quanto commovente nelle drammatiche scene finali prima della condanna. Iris Vermillion nel ruolo della cinica Leokadja Begbick è perfetta con la sua voce quasi “arrotata”, a volte per evidenziare la sua mente gelida e calcolatrice, quanto protervo è nella parte di Trinity Moses il baritono giamaicano Willard White: tutto il cast è stato assolutamente di livello e ben affiatato. Ben adatti i costumi  e le scene di Stuart Nunn, mentre le luci di Giuseppe Di Iorio sono risultate molto efficaci anch'esse, come le scene, a sottolineare i contenuti.

Pubblicato in: 
GN43 Anno VII 8 ottobre 2015
Scheda
Titolo completo: 

Teatro dell'Opera di Roma
AUFSTIEG UND FALL DER STADT MAHAGONNY
Teatro Costanzi
Musica di Kurt Weill
Libretto di Bertolt Brecht

con sovratitoli in italiano e inglese
Prima rappresentazione
martedì 6 ottobre, ore 20.00
Repliche fino a sabato 17 ottobre
 
Direttore John Axelrod
Regia Graham Vick
Maestro del Coro
Roberto Gabbiani
Scene e costumi
Stuart Nunn
Movimenti coreografici
Ron Howell
Luci Giuseppe Di Iorio

ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA
Nuovo allestimento
in coproduzione con il Teatro La Fenice di Venezia e il Palau de les Arts Reina Sofía di Valencia

Interpreti principali
Leokadja Begbick Iris Vermillion
Fatty, der "Prokurist" Dietmar Kerschbaum
Dreieinigkeitsmoses Willard White
Jenny Hill Measha Brueggergosman
Jim Mahoney Brenden Gunnell
Jack O' Brien Christopher Lemmings
Bill, gennant Sparbückenbill Eric Greene
Joe, gennant Alaskawolfjoe Neal Davies
Tobby Higgins Christopher Lemmings

Sechs Mädchen von Mahagonny    
Anita Selvaggio
Marika Spadafino
Carolina Varela
Giovanna Ferraresso
Michela Nardella
Silvia Pasini

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