Umberto Eco alla Sala Sinopoli. Come ho scritto Il cimitero di Praga

Articolo di: 
Teo Orlando
Eco-Auditorium

Il 10 aprile 2011, come ultimo appuntamento nell’ambito della Festa del libro e della lettura all’Auditorium Parco della Musica di Roma, Marino Sinibaldi ha incontrato Umberto Eco, il quale ha raccontato come ha scritto Il cimitero di Praga, soffermandosi altresì sulla sua passata attività letteraria e su alcune tesi estetiche sottostanti.

La nostra testata ha già dedicato due recensioni al sesto romanzo di Umberto Eco, che non solo ha trovato il favore di tanti lettori, ma ha pure innescato un acceso dibattito su alcune controverse tematiche che, nate nel XIX secolo, sono poi esplose nel Novecento, portando con sé una lunga scia di lutti.

Il protagonista del romanzo, il falsario, pluriomicida e satanista Simone Simonini, è un personaggio d’invenzione, ma viene quasi “assemblato” con pezzi estrapolati da molte figure ed idee storiche dell’Ottocento (e non solo, con alcune citazioni dai secoli passati, ma anche da testi del Novecento: espediente che Eco aveva usato fin da Il nome della rosa, ambientato nel Trecento, dove mette in bocca ai personaggi frasi di Angelo Silesio, mistico tedesco del Seicento, o di Ludwig Wittgenstein, filosofo nato nel 1889).

Simonini opera come agente per conto dei servizi segreti di mezza Europa, venendo coinvolto prima nella spedizione dei Mille, poi in una collaborazione con i nemici della Comune parigina e con gli artefici del complotto contro Dreyfus, e infine nella preparazione dei famigerati Protocolli dei Savi di Sion, da cui si sono originate quasi tutte le persecuzioni antisemite. Eco ha spiegato dettagliatamente come sia riuscito a organizzare una mole notevole di materiali narrativi per dare vita a un romanzo scritto come un feuilleton (ma con tratti che lo fanno somigliare a una parodia del genere) e incentrato sulla sindrome del complotto, e per dare conto della presenza di una linea irrazionale in piena età positivista.

La complessità del materiale utilizzato da Eco non deve sorprendere, visto che in lui la figura del lettore e dello scrittore sono quasi avvinghiate, come ha osservato Sinibaldi. All’inizio del romanzo Eco ha espresso questo legame in modo suggestivo e coinvolgente, immaginando un lettore che insieme è anche narratore, alle spalle di un misterioso personaggio che sta scrivendo il libro. Narratore e lettore sembrano peraltro entrambi ignari e curiosi. Eco stesso ha definito quest’approccio una sorta di tecnica cinematografica con tre stanze che adempiono tre funzioni: la prima è quella di far entrare il lettore nell’atmosfera del feuilleton (“Il passante che in quella grigia mattina del marzo 1987 avesse attraversato a proprio rischio e pericolo place Maubert…”, p. 7).

Che questo incipit celi un intento parodico, appare manifesto non appena si pensi alla parodia del feuilleton operata da Achille Campanile all'inizio di Se la luna e a cui Eco si rifà esplicitamente: “Chi in quella grigia mattina del 16 dicembre 19..., si fosse introdotto furtivamente, e a proprio rischio e pericolo, nella camera in cui si svolge la scena che dà principio alla nostra storia…” (cfr. anche il suo saggio “Ma che cosa è questo Campanile?”, in Sugli specchi e altri saggi, Milano, Bompiani, 1985, pp. 271-279). Come in Campanile, anche ne Il cimitero di Praga abbiamo alcuni espedienti retorici, come l'abbassamento del luogo comune, l'anticlimax e il capovolgimento della situazione.

La seconda è la necessità di introdurre un personaggio odioso e ributtante, che si produce in un’esplosione di razzismo a 360 gradi: aveva bisogno pertanto di distanziare la voce dell’autore sia da quella del narratore, sia da quella del personaggio, in modo che ci fossero due o tre intercapedini a impedire che il lettore si abbandonasse a facili identificazioni. In terzo luogo, Eco ha voluto divertirsi a raccontare il bric-à-brac che c’era in quelle stanze, a testimonianza del suo gusto per gli elenchi, così ben esemplificato in Vertigine della lista. A ciò si associa anche la sua passione per il feuilleton, e una dimensione di erudizione onnivora, che non arriva a trascurare neppure i fumetti.

Per quanto riguarda poi il rapporto tra scrittore e lettore, Eco ha preso le mosse dai suoi studi teorici, a partire da Opera aperta del 1962 che concerneva il ruolo dell’interpretazione nell’opera d’arte. Nel 1979 scrisse il saggio Lector in fabula. La cooperazione interpretativa nei testi narrativi (uscito anche in inglese con il titolo The Role of the Reader), in cui il lettore non veniva collocato fuori ma direttamente all’interno dell’opera. Questa tendenza negli anni successivi è fiorita particolarmente negli Stati Uniti dando vita a quello che viene chiamato Reader-oriented criticism: si tratta di una critica fatta dal punto di vista del lettore più che dell’autore.

È sempre stato il suo pallino, del resto, perché in tutti i romanzi che ha scritto è presente un elemento di metanarratività che permette allo scrittore di rivolgersi continuamente al lettore. Sembra una tecnica post-moderna, ma non bisogna trascurare che in qualche modo ce ne sono tracce anche in un autore “tradizionale” come Alessandro Manzoni, ad esempio quando si rivolge ai suoi venticinque lettori o quando osserva che non vuole parlare di sesso perché al mondo ce n’è già troppo.

Ironicamente, alla domanda di Sinibaldi sul perché, alle soglie dei cinquant’anni, da studioso con una forte consapevolezza dei meccanismi della letteratura abbia deciso di diventare narratore in proprio, Eco risponde che, essendo faticoso scalare il Monte Bianco e non volendo lasciare la famiglia per fuggire con una ballerina cubana, non ha trovato nient’altro di nuovo ed eccitante. Del resto, scientificamente, con la cattedra di ordinario e i libri tradotti all’estero si sentiva più che appagato, e quindi non poteva che dedicarsi alla narrativa come l’esperienza che sentiva più familiare.

Peraltro, fin dall’infanzia Eco ha cominciato a cimentarsi con alcune prove narrative, fino al punto di confessare che come Franz Schubert è stato l’autore di capolavori incompiuti. A dieci anni iniziò a scrivere romanzi cercando di imitare quelli stampati, circostanza che comportava un notevole dispendio di tempo. Ideò perfino una casa editrice fittizia, la Matenna, parola portmanteau che fondeva matita e penna. I titoli erano salgariani: I disperati del Mar Rosso, Lo sciabecco fantasma. Ogni dieci pagine collocava un’illustrazione, come quelle di Della Valle o di Gamba per le edizioni di Emilio Salgari.

In realtà, la scelta dell’illustrazione determinava la storia da costruire e di cui scriveva il primo capitolo, rigorosamente in stampatello e senza correzioni. Dopo alcune pagine però la fatica lo induceva ad abbandonare l’impresa. Paradossalmente, a dieci anni non aveva scoperto l’invenzione del manoscritto e voleva imitare la stampa. E ancora oggi Eco preferisce collezionare libri a stampa d’antiquariato, ma non manoscritti.

Un’altra predilezione di Eco è quella per le epoche storiche, associata alle trame e alle storie dei personaggi. Ne Il cimitero di Praga l’ambientazione riguarda il periodo tra il 1830 e la fine del secolo. E in effetti, i libri di Eco sembrano scritti per raccontare un’epoca passata, anche se due dei sei romanzi da lui scritti hanno un’ambientazione contemporanea. Ma in realtà La misteriosa fiamma della regina Loana con una serie di flash-backs rivisita gli anni ’30 e Il pendolo di Foucault si spinge fino ad epoche remote, come il medioevo dei Templari.

Eco riconduce queste scelte ai suoi interessi scientifici, citando la sua partecipazione a un recente convegno bolognese sulla storia delle idee. Evidentemente è stato invitato perché molte delle sue opere accademiche, da La ricerca lingua perfetta ad Arte e bellezza nell’estetica medievale, sono libri di storia delle idee: più che uno storico della filosofia stricto sensu Eco si considera uno storico delle idee (concetto elaborato dall’americano Arthur Lovejoy e diffuso in Italia dalla scuola di Paolo Rossi-Monti). Il che vuol dire che il suo interesse riguarda l’intero modo di pensare di un’epoca: ne consegue che se ci si occupa della fine dell’Ottocento non bisogna soltanto indagare quello che aveva pensato Nietzsche, ma anche quello che avevano pensato le nostre nonne.

Del resto, scrivere un romanzo è una sorta di avventura che permette di rivisitare un periodo, con esiti spesso sorprendenti: per quanto un autore inventi, non riuscirà mai a creare cose così belle come quelle realmente accadute. Ad esempio, ne Il cimitero di Praga il personaggio del falsario francese Léo Taxil, che sembra così inverosimile che perfino il traduttore francese aveva fatto i complimenti a Eco dicendo che aveva inventato un personaggio straordinario, è in realtà una figura storica esistita realmente. Taxil inventava continui falsi, lanciando allarmi sulla presenza di pescicani nella baia di Marsiglia, o convocando gli archeologi perché esplorassero una fantomatica città sommersa nel lago di Ginevra. Aveva poi pubblicato una collana anticlericale ricca di libri blasfemi su Gesù. In seguito simula una conversione e pubblica una collana antimassonica che riceve persino l’approvazione del papa. Salvo che alla fine rivela di averlo fatto per ingannare i cattolici, sicché ritorna antimassone.

Con questo metodo, Eco va quasi a grattare negli angoli della storia prediligendo le opere minori o cercando personaggi oscuri come Taxil piuttosto che Napoleone. Un altro esempio è offerto da L’isola del giorno prima dove Padre Caspar per studiare i satelliti di Giove costruisce una curiosa macchina, costituita da una sorta di bacinella piena d’acqua al cui interno un’altra conca piena di olio “balla” sulla prima mentre questa segue il movimento della nave. Grazie a un treppiede e a un cannocchiale, l’astronomo può poi vedere i satelliti, rischiando però di ruzzolare a terra per il rollio della nave. Questa macchina era stata descritta in una lettera di Galileo Galilei che aveva cercato di venderla agli olandesi, i quali saggiamente non la comprarono perché avevano probabilmente letto la sua lettera (si tratta della lettera di Galileo Galilei a Lorenzo Realio, datata 5 giugno 1637, in Opere, edizione nazionale, Volume XVII. Carteggio 1637-1638, Firenze, Barbèra, 1966).

Del resto, l’erudizione non va contro l’ispirazione, anche perché Eco è convinto che l’ispirazione non esista: “Genius is one percent inspiration, ninety-nine percent perspiration”. Così disse Thomas Alva Edison nello Harper's Monthly del settembre del 1932. Quelli che dicono di essere puro talento, sono da Eco considerati dei narcisisti che vogliono darsi arie. Una volta Lamartine disse di una sua poesia che gli era venuta in una notte di tempesta in un bosco. Alla morte trovarono quaranta versioni che mostravano che vi aveva lavorato per almeno dieci anni.

Un altro motivo della passione di Eco per la seconda metà dell’Ottocento è il fatto che ad essa risalgono tutte le invenzioni ancora oggi in uso, come l’elettricità, i treni, la psicoanalisi, il cinema, l’automobile, l’aeroplano e il computer, tranne l’energia atomica e forse la plastica. Ciò non toglie poi che gli scienziati positivisti atei di notte andavassero a far ballare i tavolini, occupandosi di occultismo.

Dell’Ottocento però decide di focalizzare la sua atttenzione sul razzismo e sull’antisemitismo, oltre che sulla fabbricazione dei falsi, tema già affrontato in Baudolino, che però, a differenza di Simonini, falsario malvagio e ributtante, era un falsario buono e fantasioso.

Qualcuno ha perfino denunciato la sua ambiguità descrivendo il personaggio come troppo affascinante. Ma per Eco solo tre su quaranta articoli hanno avanzato il sospetto che egli arrivi a simpatizzare per Simonini. E non va trascurato il fatto che anche i rabbini che hanno recensito il libro, come Carucci Viterbi, sostengono che il suo intento non è certo stato quello di avallare le teorie deliranti di Simonini.

Del resto, c’è sempre un lettore che proietta i propri istinti sulle opere letterarie, al punto che, paradossalmente, uno potrebbe diventare pedofilo leggendo I promessi sposi. La possibilità di una lettura delirante è sempre in agguato, ma a quel punto non si potrebbe neppure scrivere una biografia di Hitler, per il timore dei possibili fraintendimenti

Del resto, la narrativa è di per sé ambigua perché un romanzo non si prefigge di solito di sostenere una tesi univoca. Bisogna considerare che due passioni di solito dominano la letteratura: il sesso e l’orrore, il male. Ecco perché la gente va a comprare i fumetti di Diabolik e i lettori trovano affascinanti personaggi come Rocambole e Fantomas. Il bene è noioso, ma ciò non vuol dire che dopo aver letto Delitto e castigo si debba imitare Raskolnikov e uccidere la vicina di casa.

La letteratura ci porta dentro i personaggi permettendoci di percepirne l’ambiguità: per anestetizzarsi dall’antisemitismo è bene entrare nella psicologia di un antisemita.  Le forme di razzismo nascono di solito dalla vicinanza: non siamo razzisti verso gli eschimesi. Invece l’antisemitismo nasce solo in assenza. Simonini non ha mai visto un vero ebreo: è vero che Incontra Freud, ma non sa se sia davvero ebreo e ne storpia pure il nome scrivendolo alla francese. In un saggio accademico la posizione di Eco sull’antisemitismo sarebbe apparsa nitida, mentre nella narrativa è inevitabile mettere in scena delle contraddizioni, anche con citazioni disseminate qua e là.

Ad esempio la tirata di Simonini contro gli ebrei è mutuata da Céline. La critica ai tedeschi proviene per metà da uno scrittore francese che nel 1915 aveva preteso di dimostrare che i tedeschi producono più materia fecale degli altri popoli. L’altra metà proviene da Nietzsche. I violenti attacchi anticlericali sono desunti da Garibaldi.

Personaggi come Édouard Drumont, grande antisemita della Francia di fine secolo, che soffiò sull’affaire Dreyfus, una volta disse che gli ebrei sono totalmente negati per la musica (citando malamente Richard Wagner). Poi lamentò che il mondo musicale parigino fosse in mano agli ebrei.

Potenzialmente ci sono due tipi di lettori. Quello che vuole sapere come la storia andrà a finire e quello che vuole comprendere il come della narrazione. Ma per Eco il buon lettore è entrambe le cose. Il lettore maturo vuole rendersi conto delle strategie narrative ma è interessato anche a sapere che l’assassino è Raskolnikov.

Del resto, il vero autore scrive il libro per costruire un tipo di lettore, il lettore modello. Il lettore ideale del  libro di Eco è colui che non dovrebbe porsi problemi sulla sua pericolosità, al punto da farlo leggere nelle scuole, come hanno fatto alcuni professori che l’hanno consigliato agli studenti.

Basta usare un po' di accortezza, che però non sempre è sufficiente per quanto concerne il rapporto corretto con la verità storica. Ad esempio, I protocolli dei Savi di Sion vennero dimostrati falsi dal Times di Londra nel 1921. Ma da allora vengono creduti autentici con maggiore veemenza: il falso va incontro ai pregiudizi esistenti. Nesta Webster, una vessillifera dell’antisemitismo autrice di un libro sulle società segrete, sostenne che, pur essendo probabile che i protocolli non siano autentici,  dato che dicono quello che pensano gli ebrei, allora sono comunque "veri". Argomento poi fatto proprio da Julius Evola e dallo stesso Adolf Hitler.

È la forza del pregiudizio che fa accettare il falso, come spesso è la fede che crea la reliquia. Gran parte degli stereotipi sembrano ripetersi, come quella per cui gli ebrei non sarebbero mai morti nelle epidemie. La sindrome del complotto è continua: Karl R. Popper ha dimostrato che è antica, essendo cominciata con Omero e con l’idea che quello che accade sotto le mura di Troia dipenda dal complotto degli dei. La sindrome serve sia ai sudditi per non ammettere le proprie responsabilità, sia ai dittatori che accusano gli altri di cospirare contro l'ordine e la prosperità.

Eco conclude con alcune considerazioni sulla felicità nella scrittura: un critico aveva osservato come fosse palese che Il pendolo di Foucault fosse stato scritto con il computer tranne l’ultimo capitolo. Invece proprio l’ultimo capitolo è stato scritto di getto con il computer, come Maurizio Pollini suona d'impeto quando esegue Chopin. Eco l'ha scritto con la felicità della scrittura che lo ha indotto a pensare a una performance pianistica o a una jam session del jazz: il computer in fondo è lo strumento più spirituale del mondo perché permette di scrivere seguendo il ritmo della mente e non della mano, proprio come nel jazz dove si va avanti seguendo il ritmo

Infine, interrogandosi sull'essenza della letteratura e della narrativa, Eco sostiene che essa serve a darci il senso del destino e il paradigma della verità: posso sospettare che Napoleone non sia morto a Sant’Elena, mentre sul fatto che Anna Karenina sia morta sotto il treno non c’è alcun dubbio. Così il Dalai Lama e il Papa possono litigare sul fatto che Gesù Cristo sia figlio di Dio, ma consentono sul fatto che Superman sia Clark Kent. La verità scientifica si misura su queste asserzioni. Quanto al senso del destino: si possono riscrivere I promessi sposi in modo che Lucia sposi Don Rodrigo o Renzo vada alla Cayenna e incontri Dreyfus. Ma in realtà sarebbe un'operazione che cambierebbe totalmente il senso del romanzo e sarebbe una manipolazione arbitraria sul destino dei personaggi.

L'ultima battuta è una considerazione ottimistica sul futuro del libro. Non abbiamo prove scientifiche che un testo messo su una pennetta USB duri più di cinque o dieci anni. Mentre abbiamo prove scientifiche che un incunabolo del 1460 sia ancora lì. Il libro cartaceo è ancora la forma più duratura e comoda per trasportare informazioni.

Pubblicato in: 
GN49 Anno III 26 aprile 2011
Scheda
Titolo completo: 

Fondazione Musica per Roma

Libri come. Festa del Libro e della Lettura

Umberto Eco: Come ho scritto Il cimitero di Praga

Conversazione con Marino Sinibaldi
Auditorium Parco della Musica - Sala Sinopoli
Domenica 10 aprile 2011 - ore 21,00

Anno: 
2011
Voto: 
10