Ventotene Film Festival. Il premio Vento d’Europa assegnato a Radu Mihăileanu

Articolo di: 
Stefano Coccia
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A margine della XIX edizione del Ventotene Film Festival, che dal 25 luglio al 2 agosto ha avuto buon gioco nel vivacizzare l’atmosfera dell’isola pontina, si è verificato qui a Roma un evento cui abbiamo partecipato con particolare entusiasmo. La mattina del 24 luglio, nella Sala Rocca del Mibac, si è svolto un incontro breve ma intenso tra la stampa capitolina e uno degli autori europei più bravi, nonché più amati dal pubblico dei cinefili: Radu Mihăileanu.

Al cineasta rumeno, cui si devono opere come Train de vie - Un treno per vivere, Vai e vivrai, Il Concerto, è stato difatti conferito il Premio Vento d’Europa, riconoscimento assegnato quest’anno per la prima volta e motivato da come egli ha saputo esaltare l’idea di una cultura dal respiro europeo. Un qualcosa che è facile associare al cinema di Radu Mihăileanu, così ricco di valori umanisti e di un genuino interesse per le più serie, travagliate questioni internazionali del presente e del passato.

A definire meglio il background del premio ci ha pensato la direttrice del festival Loredana Commonara, che si è soffermata anche sull’importante retaggio storico-politico del cosiddetto Manifesto di Ventotene. Mentre è toccato alla nota giornalista e organizzatrice culturale Angela Prudenzi rompere il ghiaccio con l’ospite, con una serie di domande cui sono seguite quelle degli altri addetti ai lavori. Ma ecco come si è presentato ai giornalisti presenti in sala il grande artista rumeno.

Radu Mihăileanu: Intanto ringrazio per l’invito, che mi consente di scoprire questa realtà. Per me è un grande onore ricevere un premio inerente alla cultura europea, visto che l’idea di Europa è nata proprio a Ventotene, in un momento così difficile per il continente ancora devastato dalla guerra. Mi fa inoltre piacere che qualche tempo fa sia partito un progetto a livello europeo che coinvolge Italia, Francia e Romania, coi cineasti rumeni che in questo momento sono tra i migliori del mondo. Ed è un progetto lodevole perché porta a combattere per le diversità e per le specificità culturali. Tanto l’identità che la diversità sono importanti.

Riallacciandoci proprio alla ricchezza data dalla diversità, pare che nel tuo cinema sia forte il tema di quella libertà individuale, che contempla anche il rispetto degli altri individui e del loro punto di vista. Cosa puoi dirci in proposito?

Radu Mihăileanu: E’ proprio così. La Storia stessa dimostra che nei momenti di crisi è il dialogo lo strumento per risolvere i problemi. Anche se non sono religioso in senso tradizionale, mi piacciono alcune storie della Bibbia che pongono la questione del confronto con l’altro, per cui l’attraversamento di un fiume e l’ingresso in una terra straniera può essere da me usato a mo’ di metafora. In ogni caso bisogna rifiutare gli estremismi: c’è il rischio di perdere se stessi, di cominciare a proteggersi coi muri, invece di venire incontro agli altri.

All’ultima Berlinale è stato un film rumeno, “Il caso Kerenes”, a vincere l’Orso d’Oro. Qual è il tuo pensiero riguardo all’esplosione di una cinematografia, che sembrerebbe avere risorse economiche limitate, compensate però da una straordinaria vitalità artistica?

Radu Mihăileanu: Ciò che penso io riguardo a questa “nouvelle vague” del cinema rumeno, è che non sia in senso stretto una rinascita, poiché la vitalità culturale della Romania è preesistente, basti pensare ai grandi autori attivi negli anni ’70 con drammaturgie di assoluto rilievo. Si può riflettere semmai su quella libertà di pensiero che ha dato nuova linfa a una creatività che già c’era, tant’è che adesso ogni anno spuntano nomi nuovi, si affermano nuove personalità artistiche, sommandosi così a quelle che hanno reso grande la generazione dei Cristian Mungiu, Corneliu Porumboiu, Cristi Puiu. Quello del reperimento dei finanziamenti è senz’altro un problema. Ma sono felice di sapere che si stanno organizzando incontri, in cui sono stati coinvolti ministri di Romania e Francia, per sostenere questi talenti in un modo che a livello economico risulti adeguato.

Viene spontaneo domandarti qualcosa sui prossimi progetti, anche considerando che nel tuo cinema hai affrontato finora svariati contesti: le donne arabe, la Shoah, i profughi africani, la vita nei paesi del blocco comunista.

Radu Mihăileanu: Non amo parlare dei miei prossimi lavori, un po’ per scaramanzia; e un po’perché riesco a comprendere a fondo ciò che ho girato solo alla fine di un film. Ad ogni modo voglio accennarvi qualcosa sul mio prossimo lungometraggio, che avrà come protagonista un avvocato della Tanzania, di origine Masai, il quale dalla Rift Valley si ritrova catapultato nella mecca del cinema, a Los Angeles. Come dire dalla culla dell’essere umano, dai luoghi dove vennero trovati gli scheletri dei primi ominidi, fino a un possibile apogeo della nostra società che presenta però i suoi rischi. La storia sarà comunque affrontata senza eccessivi moralismi, con una buona dose di ironia.

Del resto sembrerebbe che tu abbia utilizzato spesso un registro ironico, insieme a elementi tipici della tragicommedia, per rivitalizzare certi argomenti. E’ così?

Radu Mihăileanu: Vero. Difatti, anche in questo caso, ho voluto esplorare il lato tragicomico dell’avvocato che parte dall’Africa per stabilirsi a Los Angeles. Per il resto non saprei, non credo di aver scoperto niente di nuovo, perché la vita di per sé è tragicommedia, guardate anche solo a ciò che accade nell’Italia di oggi. La commedia dell’arte e un disastro sembrano fondersi insieme. Questa tensione del resto è sempre esistita. Commedia e tragedia sono un po’ come Yin e Yang, cosa che registi come il grande Marco Ferreri avevano immediatamente compreso.

Ma la vita e il cinema sono anche musica, giusto?

Radu Mihăileanu: Sì, per me la musica è importantissima. Un po’ come il montaggio, che deve dare musicalità e ritmo a un film. Si può dire che la musica sia l’arte suprema. Ma è tutto l’universo che è permeato dalla musica, dal ritmo. Anche un film senza musica ha un ritmo che viene dato per l’appunto dal montaggio. Forse il dare musicalità a un’opera cinematografica rappresenta anche, per me, un modo di compensare la frustrazione di non essere un compositore, un direttore d’orchestra, il suonatore di un qualsiasi strumento.

Pubblicato in: 
GN39 Anno V 27 agosto 2013