World Press Photo 2011. Storie di uomini e donne

Articolo di: 
Alberto Balducci
Jodi Bieber - Bibi Aisha

Come ormai da alcuni anni, quello che oggi è considerato il più prestigioso premio internazionale del fotogiornalismo, in Italia è ospitato dal Lucca Photo Fest, manifestazione di assoluto rilievo dedicata interamente alla fotografia, in tutte le sue sfaccettature. La rassegna delle fotografie del World Press Photo quest’anno è esposta nella chiesa di San Cristoforo fino al 19 Gennaio 2012, e racchiude in sé istantanee di quasi ogni aspetto della vita dell’uomo: dalla società alla natura, dallo spettacolo all’attualità.

Infatti, come più volte fatto notare, la rassegna di World Press Photo è sempre una degna fotografia dell’anno trascorso; di ciò che l’uomo è in questo momento storico. Ogni foto un pezzo di un puzzle che, man mano che si compone e l’immagine si fa più chiara, ci pone davanti a noi stessi.

Quest’anno comunque, è da notare una decisa diminuzione dei reportage sui vari conflitti armati in corso nel globo: queste fotografie sono state scattate nel 2010; di sicuro nell’edizione del prossimo anno fioriranno scatti e servizi di ogni sorta dedicati alla “primavera araba”. Al contrario, l’attenzione dei fotogiornalisti si sposta più nel sociale, più a contatto con le persone e le loro storie.

Innanzitutto, la fotografia vincitrice di questa edizione è un ritratto: il ritratto di una giovane afgana, Bibi Aisha, sfigurata perché colpevole di aver lasciato la casa del marito che la maltrattava: è ritratta a volto scoperto, con il naso mozzato di netto a rivelare la cavità sottostante. Una foto terribile, ad opera di Jodi Bieber, che nell’aspetto stilistico ricorda molto da vicino la celeberrima istantanea della giovane afgana impaurita di Steve McCurry. La giovane, vittima delle leggi del suo paese, ha trovato rifugio (e chirurgia ricostruttiva) negli USA.

Questo tipo di reportage, che invero è sempre stato parte fondamentale del fotogiornalismo, si espande e si concentra, quindi, anche sulle vicende d’individui con un nome e un cognome. E se il primo esempio è scioccante, c’è anche una storia molto commovente nella rassegna: quella di Julie Baird, che la fotografa Darcy Padilla ha seguito per 18 anni, documentando la sua vita.

Si tratta di una giovane sieropositiva (diciottenne all’epoca dell’inizio del reportage) con gravi problemi di droga alle spalle e un figlio appena nato, che le sarà tolto. Morirà solo trentaseienne. Alcune foto la ritraggono con il figlio, piccolo o appena nato, o con il marito, o da sola in letto. Alcune foto sono tragiche, intuendo il dolore quotidiano della donna, conoscendo la fine che l’attende di lì a poco. Questi scatti saranno per suo figlio la testimonianza della vita di una madre che non ha potuto conoscere davvero.

Parlando sempre di ritratti, l’unico dedicato a un personaggio a suo modo celebre, è emblematicamente quello di Julian Assange (scatto di Seamus Murphy), la principale figura dietro a Wikileaks, che l’anno scorso scosse le sedie di numerosi personaggi politici con la pubblicazione di documenti riservati, aprendo gli occhi a molte persone comuni sulle controverse operazioni politiche e sociali operate dai potenti. Assange è stato soggetto di un mandato d’arresto emesso dal tribunale di Stoccolma ed è tuttora in attesa di essere estradato in Svezia.

Ma ritratti fenomenali li abbiamo anche nella categoria “sport”. Ad esempio quello del torero Julio Aparicio (foto di Gustavo Cuevas) immortalato mentre un toro gli trapassa la mandibola con un corno, durante una corrida; oppure quello del tuffatore Thomas Daley durante i Giochi Olimpici della Gioventù di Singapore (foto di Adam Pretty).

La natura invece appare in due vesti distinte: la prima, quella della categoria “natura”, è dominata da splendide istantanee di animali nel loro habitat (come la foto della Sula, un volatile del Sud Africa, che pare entrare dentro l’obiettivo del fotografo, Thomas P. Peschak).

La seconda veste è quella della natura forte e spietata, che negli ultimi tempi sembra volerci far pagare il conto dei crimini compiuti contro l’ambiente degli ultimi due secoli (ad esempio, Benjamin Lowy ci illustra la fuoriuscita di petrolio nel Golfo del Messico, la più grande della storia). Ed è un conto salato: qui dobbiamo ricordare il terremoto di magnitudo 7.1 avvenuto a Port-au-Prince (Haiti) a Gennaio, documentato da più di un fotogiornalista. Oppure l’alluvione del Pakistan, con 20 milioni di persone coinvolte e 1600 vittime (documentata da Daniel Berehulak), o ancora il terremoto in Tibet (Guang Niu).

Anche i vulcani si stanno dando da fare: Kemal Jufri e Christophe Archambault documentano eruzioni avvenute in Indonesia, e c’è una foto di Jufri in cui par di vedere gli abitanti di Pompei soffocati dalle ceneri, trasformati in statue dalle pose grottesche. Tutte testimonianze di un equilibrio compromesso, dalle cui conseguenze ormai non possiamo più sottrarci.

Forse la nostra falsa sicurezza è data dal fatto che queste immani sciagure accadano solo nel terzo mondo (mentre siamo immuni solo apparentemente). Di sicuro in Africa la situazione sociale non sta affatto migliorando; si veda il reportage di Ed Ou sui somali che rischiano la vita (a migliaia ogni anno) per fuggire nello Yemen, scappando dalle guerre e povertà del Corno d’Africa, o quello di Sarah Elliott sull’aborto in Kenya, ove è proibito e viene condotto clandestinamente con modalità spesso mortali per le giovani donne. Foto crude come la loro materia.

Questi sono fotografi che si sono imbarcati in viaggi e progetti difficili, che richiedono lunghi sforzi e preparativi. La categoria “spot news” invece, chiede soltanto di trovarsi lì, nel momento in cui avviene qualcosa (e di avere la padronanza di sé necessaria a fare lo scatto). Il primo premio qui va all’incredibile foto di un suicida che si getta nel vuoto dopo essersi dato fuoco, a Budapest, a opera di Péter Lakato. Degna di nota anche la sequenza di Alexandre Vieira, che documenta un regolamento di conti con scontro a fuoco a Rio de Janeiro, a ricordarci di come sia la vita nelle metropoli sudamericane.

Ma del Sudamerica è mostrato anche un lato più divertente, con il cinema dei narco-movies (basati sulle guerre tra i cartelli della droga; foto di Fabio Cuttica) e le cholitas, improbabili lottatrici che stanno rivaleggiando con gli uomini nella lucha libre boliviana (lotta libera; foto di Daniele Tamagni); oppure scene di gare tra macchine truccate che sembrano uscite in diretta da un Fast ‘n Furious (Tomasz Gudzowaty).

Il più atipico è Michael Wolf, che usa Google Street View per “fotografare” incindenti stradali in giro per il mondo (in realtà la sua macchina fotografica non si è mai spostata dallo schermo del suo computer).

Il fotogiornalismo è un tipo di fotografia ancorato per forza di cose alla realtà nuda e cruda, che cerca di ritrarre senza eccessive sviolinate artistiche. Ciò consente a questi fotografi di calarsi nella parte di una sorta di “cantastorie per immagini”, narrando le vicende di uomini (comuni o famosi non fa differenza alcuna, perché sempre storie esse sono). E in questo giace la forza di esposizioni come questa, il riavvicinarci ai nostri simili in giro per il mondo, ciascuno perso nella propria esistenza. 

Pubblicato in: 
GN5 Anno IV 5 dicembre 2011
Scheda
Titolo completo: 

World Press Photo 2011

Presso Lucca Photo Fest, Lucca
19 Novembre - 11 Dicembre 2011

Anno: 
2011