Danza di morte. Tre parole per Lavia all'Argentina con Monica Guerritore

Fino al 30 aprile 2010 Danza di morte di August Strindberg con il testo e la regia di Gabriele Lavia al Teatro Argentina di Roma. Questo spettacolo sostituisce "Scrittura femminile azzurro pallido" che per ragioni tecniche non potrà andare in scena in questa stagione. Una produzione Teatro di Roma con Gabriele Lavia e Monica GuerritoreTeatro di Roma e Compagnia Lavia Anagni.

Danza di morte è la traduzione impossibile del capolavoro di August Strindberg "Dodsdansen". La lingua italiana non può tradurre questa parola. E' vero che Dodsdansen significa più o meno Danza di morte ma ci vogliono tre parole per una sola. Dodsdansen è un solo pensiero che unifica e identifica Morte e Danza. Danza e Morte sono due specchi che ti guardano moltiplicando tutte le immagini riflesse all'infinito in una specie di "abisso" in cui ci si trova "spaesati" o, freudianamente, "perturbati".

La Danza, espressione di vita, la Morte:una sola cosa. Danza di morte sono tre parole ben distinte che esprimono e separano tre pensieri. MORTE come SPECIFICAZIONE della DANZA. In altre parole: una danza che porta alla morte, una danza mortale e non la MORTEDANZA o DANZAMORTE.
Un'opera scritta come l'eruzione di un'anima gonfia di dolore. Di getto.
Strindberg è un autore poco frequentato sulle scene italiane. Eppure la drammaturgia moderna gli deve tutto. Un tempo solo. L'azione semplificata, serrata, classica. Protagonista, antagonista.
Questa è la mia quinta regia di un'opera di Strindberg. Ma se ci metto due regie di opere di Ingmar Bergman potrei dire che questa è la mia settima regia poiché il grande regista svedese deve tutto al grande poeta svedese.
Era un Realista? Un Naturalista? Un Simbolista? Un Espressionista ante litteram? Strindberg è tutto questo e ancor di più. E' Strindberghiano. Collocarlo criticamente è limitarne la sua speciale modernità che lo rende moderno tra i moderni. Dodsdansen è qualcosa di "a sé stante" di unico.Nessun altro prima di lui e dopo di lui ha avuto il genio di concepirla.
Innamorato dei filosofi Pre -Socratici per cui "il padre di tutto è Polemos" la Guerra.
Appassionato dei Pitagorici coi loro "Dieci principi dei contrari" ( uno- molteplice, limite - illimite, luce-tenebra, buono - cattivo, destro-sinistro, fermo-mosso, retto-curvo, quadrato-rettangolo, luminoso-buio, maschio-femmina) ne mette in scena il Polemos, la guerra che non ha vincitori né vinti. Come "principio" maledetto dell'Essere nel Mondo.
Gabrile Lavia