Di là dal fiume e tra gli alberi. Elegia ad Hemingway di Paula Ortiz

Articolo di: 
Teo Orlando
Di là dal fiume e tra gli alberi

La regista spagnola Paula Ortiz, già nota per il film La novia (tratto dal dramma teatrale Nozze di sangue, di Federico García Lorca), conferma di nuovo la sua sensibilità per le storie crepuscolari e per gli universi femminili, realizzando Across the River and Into the Trees (1950), ispirato all'ultimo romanzo di Ernest Hemingway. Alterna i colori al bianco e nero per restituire una Venezia postbellica sospesa nel tempo, malinconica e diafana, fatta di silenzi, riflessi acquatici e dettagli barocchi.

Nel film, la città non è solo scenario, ma è una sorta di terza protagonista: nebbiosa e decadente, avvolge i personaggi come un lenzuolo funebre, e ospita l'ultimo e incerto tentativo del protagonista di tornare alla vita. Il colonnello Cantwell, veterano americano segnato nel corpo e nell’anima, combattente sia nella Prima, sia nella Seconda guerra mondiale, giunge a Venezia per quella che sarà la sua ultima battuta di caccia alle anatre – e, forse, il suo ultimo weekend. A differenza del romanzo, che alternava con ritmo incalzante scene di guerra, reminiscenze d’infanzia, riflessioni e conversazioni d’amore, il film si focalizza su un arco temporale ridotto: due notti, due incontri e un dialogo essenziale.

Inoltre, rispetto al romanzo, Di là dal fiume e tra gli alberi si nota una tendenza al descrittivismo, che spesso però quasi si traduce in immagini e fotografie (peraltro con una sapiente artigianalità realizzativa) da cartolina notturna veneziana. Nel libro i tratti descrittivi sono pochi, anche perché Hemingway prediligeva uno stile asciutto e poco incline a indugiare sulle descrizioni. Tra i pochi scorci descrittivi leggiamo nel capitolo XXIV: «Mi ami ancora nella luce fredda e cruda del mattino veneziano? É proprio fredda e cruda» (“Do you still love me in the cold, hard Venice light of morning? It is really cold and hard isn’t it?”).

Ma il romanzo è piuttosto una dolorosa elegia basata sulla psicologia dei personaggi e sugli eventi, non su affreschi paesaggistici e monumentali. Senza scomodare più di tanto Proust, qui Hemingway riflette anche lui sul tempo perduto e indulge a una struggente meditazione sul morire. Il colonnello Richard Cantwell, che sembra davvero un alter ego dello scrittore, affronta con stoica grazia la consapevolezza di una morte imminente, cercando di ricucire le ferite della guerra e della vita attraverso l’amore – autentico e sensuale – per la giovane contessa veneziana Renata (da un punto di vista storico, Hemingway aveva conosciuto la giovane Adriana Ivancich, di cui si era infatuato e che utilizzò come modello per il personaggio femminile nel romanzo). Nel film il colonnello è interpretato da un efficace Liev Schreiber che ci ricorda davvero, anche fisicamente, lo scrittore americano; mentre la contessa Renata Contarini è la giovane attrice  Matilda De Angelis, bravissima nel trasporre in immagini quella prosa densa e reticente, fatta più di omissioni che di affermazioni. Ne risulta un’opera visivamente raffinata, meditativa, eppure distante, dove il pathos originario pare essersi in parte inaridito. Peraltro, più che a Proust è inevitabile pensare a Thomas Mann, e al suo racconto lungo Morte a Venezia. Anche il tema centrale del romanzo di Hemingway è la morte e, soprattutto, il modo in cui la si affronta. 

Ed è proprio nella rappresentazione del rapporto tra Cantwell e Renata che il film si discosta in maniera sostanziale dal testo di Hemingway. Laddove il romanzo pulsava di un erotismo trattenuto ma innegabile – Cantwell amava profondamente, anche fisicamente, Renata –, nel film la relazione si fa più eterea, spiritualizzata, quasi priva di carnalità. Matilda De Angelis, pur portando sullo schermo una Renata credibile nella sua giovinezza pensosa, appare distante dall’Adriana Ivancich che ispirò Hemingway: la contessa veneziana non è più una musa, ma una sorta di complice esistenziale. Il loro legame sembra fondarsi più su una comune solitudine che su una passione condivisa. Questa scelta narrativa può apparire coerente con l’estetica rarefatta della regia, ma rischia di svuotare l’intera vicenda del suo nucleo tragico: l’eroismo intimo del colonnello, dal fisico robusto ma declinante e malato, stava proprio nel tentativo, ostinato e tenero, di amare ancora con il corpo e non solo con la memoria.

Liev Schreiber offre un’interpretazione controllata, a tratti magnetica, del colonnello Cantwell. Il suo volto scavato, la voce profonda, il passo incerto ma dignitoso restituiscono bene la figura di un uomo in lotta con i fantasmi del passato. Manca però – forse per scelta registica – quell’elemento di sbruffoneria malinconica che Hemingway gli aveva cucito addosso: Cantwell nel libro è sarcastico, disincantato, amante dei Martini e delle battute taglienti. Qui invece il personaggio è più monocorde, privo di quella vitalità che nel romanzo esplode proprio nel confronto tra l’eroismo pubblico e la fragilità privata. 

Il tema centrale del film resta quello del morire: non solo il morire fisico, già anticipato dalla diagnosi infausta, ma il morire delle illusioni, dei ruoli, dei miti. Hemingway costruiva un personaggio in cui era proiettata tutta la sua autobiografia e la sua mitologia: la guerra (dal Piave alla Hürtgen Forest), le ferite, la paura dell’impotenza, l’orgoglio maschile e la volontà di tenere il controllo fino all’ultimo istante. Paula Ortiz, da parte sua, trasforma questa tensione in una partitura di gesti lenti, sospesi, in una coreografia d’ombre e sguardi. L’effetto è elegante, ma meno lacerante. Il “canto di morte” di Cantwell diventa quasi una veglia, priva però del crescendo tragico che nel romanzo culminava in una consapevolezza straziante e liberatoria.

Confrontanto romanzo e film, ci rimane il dubbio che nella trascrizione cinematografica si sia perso qualcosa della verità dolorosa e fisica che il romanzo conteneva: è come se il film volesse a ogni costo sembrare meno realistico e più allusivo del romanzo, come si nota anche nella scena finale, spogliata di ogni drammaticità e invece cesallata con il registro dell'abbandono malinconico.

Pubblicato in: 
GN33 Anno XVII 30 giugno 2025
Scheda
Titolo completo: 

Across the River and into the Trees - Di là dal fiume e tra gli alberi

Regista    Paula Ortiz
Sceneggiatura  Peter Flannery
Basato su  Across the River and into the Trees
di Ernest Hemingway
Produzione:    
John Smallcombe
Kirstin Roegner
Liev Schreiber
Ken Gord
Robert MacLean
Michael Paletta

Interpreti:    
Liev Schreiber
Matilda De Angelis
Josh Hutcherson
Laura Morante
Massimo Popolizio
Danny Huston

Fotografia    Javier Aguirresarobe

Musica   Edward Shearmur
Produzione: Tribune Pictures
Distribuzione per l'Italia: PFA Films
Lingua:    Inglese