- Articolo di:Livia Bidoli
Lo Stabat Mater di Giovanni Battista Pergolesi – dal testo del poema latino attribuito a Jacopone da Todi - inserito tra due brani del compositore contemporaneo Giacinto Scelsi, ha condotto il Teatro dell'Opera di Roma in coproduzione con Grand Théâtre de Genève, Opera Ballet Vlaanderen e De Nationale Opera a mettere in scena nella Basilica di Santa Maria in Ara Coeli uno spettacolo unico e dal valore spirituale inusitato. Il più celebre Stabat Mater è stato diretto da Michele Mariotti con la regia, scene, costumi e luci di Romeo Castellucci. Lo spettacolo si è svolto dal 28 al 31 ottobre assicurando al pubblico il numero di 100 posti prenotabili gratutamente online.
Opera di Roma. La menzogna della Libertà
In un'epoca in cui la Libertà senza vincoli sembrerebbe l'aspetto principale del Vivere, l'ultimo Dittico Ricomposto in onore del centenario pucciniano la pone invece tra un suicidio ed un autodafé. Tra Suor Angelica di Giacomo Puccini e Il prigioniero di Luigi Dallapiccola, si indagano in scena al Costanzi queste due modalità dell'inganno fondamentale che mettono in opera i regimi autocratici. Il regista catalano Calixto Bieito ha messo in scena un dittico "spaventosamente attuale" al Teatro dell'Opera di Roma dal 23 aprile al 2 maggio.
Al Teatro Costanzi il dittico formato da Suor Angelica di Giacomo Puccini e da Il prigioniero di Luigi Dallapiccola segna il debutto nella Fondazione capitolina del regista spagnolo Calixto Bieito. Il nuovo allestimento vede le scene di Anna Kirsch, i costumi di Ingo Krügler e le luci di Michael Bauer. Orchestra e Coro, diretto da Ciro Visco, sono del Teatro dell'Opera di Roma. Sul podio dell'Orchestra Michele Mariotti, Direttore musicale dell'Opera di Roma.
Suor Angelica si apre su un giardino delimitato come in un cubo allungato: le suore, vestite di un saio bianco avorio, con ai piedi le ciabatte dei frati, si muovono nel giardino in modo scomposto; alcune ripetono azioni come l'agitare le braccia in modo coatto, come delle folli; una è in preda al panico e si sente male, si rotola per terra macchiandosi del suo stesso sangue; più che un convento, ci appare un manicomio, una struttura di clausura anch'essa per disordini mentali. E così ci appaiono i rimproveri della Suora Zelatrice interpretata convincentemente da Irene Savignano. Continuano le lamentele di Suor Genovieffa, ovvero Laura Cherici; poi arriva la Badessa, Annunziata Vestri, dalla voce versatile sia di contralto sia di mezzosoprano, che rappresenta quella pietas sconosciuta a chi annuncia, e la Zia Principessa interpretata da Marie-Nicole Lemieux, contralto canadese perfettamente fredda inganna la protagonista Suor Angelica. Suor Angelica è interpretata dal soprano americano Corinne Winters, dalle doti eccezionali, in termini di levatura della voce, di intellegibilità e di commozione: ha letteralmente rapito il pubblico col suo racconto introspettivo. Maledetta e rinchiusa in un convento per "espiare" la colpa di un figlio concepito fuori dal contratto matrimoniale cristiano, dopo sette anni trascorsi tra le suore, riceve la visita della Zia Principessa solo per firmare un documento per l'eredità. La zia, per convincerla, le rivela la morte del figlio solo per abbatterla ed ottenerne la firma. Il primo inganno sulla speranza di poter rivedere il figlio partorito ed amato in absentia è tutto giocato sulla crudeltà. Suor Angelica deciderà di avvelenarsi con uno dei suoi amati unguenti, stavolta venefico, appellandosi alla Beata Vergine per il perdono. Le parole di Suor Angelica lo assicurano: "La Grazia è discesa dal cielo, già tutta, già tutta m'accende". E sappiamo che il libretto di Giovacchino Forzano concede in pieno a Puccini la sua stessa struggenza che lui impone alla sua musica.
La musica, in particolare il Coro, e gli effluvi adamantini del Coro di Voci Bianche del Teatro dell'Opera di Roma (maestro Alberto de Sanctis), sono un balsamo angelico per Suor Angelica e per noi pubblico, di fronte alla freddezza della nobiltà rappresentata dalla Zia Principessa. Ed allora ricordiamo la "nobiltà d'animo" di Guinizzelli, poeta che ha difeso quest'ultima, appartenente anche agli ultimi, contro quella di sangue, genetica.
Il prigioniero di Luigi Dallapiccola, opera composta a partire dall'anno dell'editto nazifascita del 16 ottobre 1938 sulla razza, si compone di un prologo e un atto, con libretto del compositore, colpito in primis dalla temperie totalitaria della seconda guerra mondiale.
Le ispirazioni sono decadenti e simboliste e riguardano, in primo luogo, lo scrittore francese Villiers de l'Isle Adam (1838-1889), celebre per i suoi Contes cruels (1883), e dai Nouveaux Contes Cruels proviene il racconto La torture par l'espérance (1888) in particolare, che ha ispirato anche il cineasta Gaston Modot in un mediometraggio di 34 minuti omonimo nel 1930, Conte cruel. La torture par l'espérance . E sappiamo anche che, Villiers de l'isle Adam, come tutti i simbolisti, era grande estimatore di Edgar Allan Poe, ed introdusse un epigrafe da The Pit and the Pendulum, racconto dello scrittore americano: "Oh! une voix, une voix, pour crier!…"(Oh! Una voce, una voce, per gridare, trad.mia). Il pozzo e il pendolo (1842), parla anch'esso di un episodio di tortura di un prigioniero dell'Inquisizione Spagnola guidata da Filippo II (1556-1598), come cita il libretto di Dallapiccola, che però modifica ed estende la critica ai metodi di coercizione religiosa da parte dei regnanti: il protagonista dell'opera di Dallapiccola, da ebreo diviene un individuo spersonalizzato e senza identità, come gli ebrei nei campi di concentramento nazisti. E come anche il protagonista di 1984 (1948) di George Orwell: il libretto infatti si apre ad interpretazioni massive, anche attuali, ponendo uno schermo su cui appare l'immagine del prigioniero solo alla fine. Come dire, la vera prigione è anche quella che impone di essere delimitati dal "proprio essere digitale", ovvero la cittadinanza digitale prodotta dai social, una seconda citizenship rispetto a quella vivente materialmente, ed a volte, spesso, invasiva financo degli spazi reali.
L'infrangersi dodecafonico dei suoni di Dallapiccola, i suoi "ricercare" simbolicamente e numerologicamente coniati, costruiscono una gabbia di frequenze "imprigionanti", in cui lo straordinario Mattia Olivieri, baritono dalle doti di voce profondissima e sofferta, viene manipolato ipnoticamente dall'attesa di una possibilità, la libertà, dal suo Carceriere, che corrisponde al Grande Inquisitore, - interpretato da John Daszak, tenore maestoso e britannico di provenienza -, proprio attraverso la speranza, che si rivelerà una menzogna, per azzerarlo crudelmente nelle ultime ore prima dell'autodafé.
Le altre due fonti di Dallapiccola, ossia la La légende d'Ulenspiegel et de Lamme Goedzak di Charles de Coster e La Rose de l'infante, poesia di Victor Hugo da La légende des Siècles (1859), ci presentano un folletto irriverente quanto rivoluzionario, Ulenspiegel (famoso il poema sinfonico di Strauss Gli allegri scherzi di Till Eulenspiegel, 1894-95); e nel secondo caso, chiarisce la natura persecutoria, in termini poetici, di Filippo II, in contrapposizione con la campana di Gand, Roelandt, dei rivoluzionari. Simbolo della libertà contro i soprusi religiosi, al prigioniero sembrerà di ascoltarla, nel suo delirio cristico - la scena inziale con la Madre, Angéles Blancas, soprano drammatico in doppio petto eburneo e capelli biondi a cresta, lo rappresenta come uscito dalla Passione - e di abbracciare un albero, che si rivelerà il suo Carceriere.
Il dittico è stato eseguito con cognizione ed accuratezza dal Maestro Mariotti con l'Orchestra del Costanzi: decisivo l'apporto dei Cori, magnificamente diretti dal Maestro Visco. Il regista Calixto Bieito ha scelto una regia efficace per tradurre ancor con maggiore realismo e cineticamente vivaci, le azioni sceniche: lo schermo finale ci indirizza a riflettere sul nuovo totalitarismo dell'immagine, cui la massa si prostra esanime, credendo che "dentro" dei pixel si trovi la libertà, essendo invece un mezzo da cablare per ottenerla, almeno in parvenza. Prigioni invisibili sono il manufatto delle nuove autarchie, consce del potere subliminale del consenso creato a tavolino da agenzie di informazione che sovrintendono a tutti i prodotti della cultura, alta o bassa che sia. E la propaganda piu' efficace è quella che crudelmente conduce ad illudersi di essere liberi o poterlo essere per un gesto magnanimo del proprio oppressore.
Grandissimo spettacolo, pubblico in delirio per Mattia Olivieri e Corinne Winters: un augurio che l'Opera sia sempre così aggiornata e vitale.

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