Rovigo Palazzo Roverella. La poetica del silenzio di Vilhelm Hammershøi

Articolo di: 
Daniela Puggioni
Vilhelm Hammershøi. Doppio ritratto dell’artista e della moglie visti attraverso uno specchio (1911)

A Palazzo Roverella è in corso fino al 29 giugno 2025 Hammershøi e i pittori del silenzio tra il Nord Europa e l’Italia, prima mostra italiana dedicata a Vilhelm Hammershøi (Copenaghen, 1864-1916) il più grande pittore danese tra fine Ottocento e inizio Novecento. La mostra è a cura di Paolo Bolpagni e prodotta da Dario Cimorelli Editore. La Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo ha promosso l’esposizione in collaborazione con il Comune di Rovigo e l’Accademia dei Concordi, con il sostegno di Intesa Sanpaolo e il patrocinio dell’Ambasciata di Danimarca in Italia.

Vilhelm Hammershøi fu famoso nella sua epoca tanto che nel 1912 le Gallerie degli Uffizi gli chiesero un suo autoritratto per la propria celeberrima collezione, l’artista lo dipinse l’anno successivo, ma non fece in tempo a consegnare l’opera prima della morte che avvenne nel febbraio del 1916, fu successivamente donato dalla moglie Ida nel 1920. È poi stato dimenticato, ma ormai da anni c’è una riscoperta della sua arte a livello internazionale con importanti mostre a Parigi, a Tokyo, a New York, a Londra, a Monaco di Baviera, a Toronto, a Barcellona, a Cracovia. In Italia le esposizioni a lui dedicate ci furono all’inizio del secolo scorso alle Biennali di Venezia del 1903 e del 1932 e all’Esposizione Internazionale di Roma del 1911.

In questa, che è la prima mostra italiana in questo secolo dedicata a Hammershøi, sono in tutto quattordici su ottantaquattro le opere dell’artista danese, in quanto il curatore, Paolo Bolpagni, ha voluto evidenziare le fonti di ispirazione dell’artista e l’influenza della sua arte sui contemporanei. A Palazzo Roverella, dove è presente l’ascensore, l’esposizione delle opere è su due piani, i dipinti sono ben collocati e divisi in sezioni tematiche con pannelli che ne illustrano con chiarezza i vari aspetti, inoltre l’illuminazione è adatta a una comoda fruizione delle opere.

Nella prima sezione dedicata alla formazione è esposto un carboncino su carta del giovane Hammershøi, Studio di nudo maschile visto di spalle (circa 1884), c’è anche un Paesaggio (1901) del fratello Svend, anche lui pittore ed esempi di pittori fiamminghi del passato e contemporanei a cui il giovane s’ispirò. Nella parte dedicata a gli Interni domestici senza presenze umane, molti dei quadri esposti furono realizzati nell’appartamento al 30 di Strandgade a Copenaghen, dove visse dal 1898 al 1909 con la moglie Ida. Nel catalogo è riportato uno stralcio dell’intervista illuminante, rilasciata da Hammershøi nel 1907 alla rivista danese “Hver 8. Dag”: ”Quello che mi fa scegliere un soggetto sono spesso le sue linee, quel che io chiamo il carattere architettonico del quadro. E poi, naturalmente, la luce, che importa molto. Ma sono le linee la cosa che amo di più. Il colore non è secondario, non mi è indifferente il colore delle cose; lavoro moltissimo per ottenere un’armonia. Ma quando scelgo un soggetto guardo prima di tutto alle linee.”

Interno, Strandgade 30, (1905), La porta bianca (Interno con vecchia stufa), (1888) e Luce del sole nel salotto III, (1903) queste sono le opere in mostra in questa sezione insieme ad alcune di altri autori con soggetti simili per evidenziare le diverse tecniche, tra queste Caffettiera sul fuoco (circa 1903) di Georges Le Brun (1873-1914) e La cucina del convento (1938) di Umberto Prencipe (1879 -1962). Sono interessanti alcune osservazioni contenute nel catalogo di Paolo Bolpagni sui colori usati da Hammershøi :” la tavolozza a prima vista limitata a tonalità di bianco, nero, marrone e grigio, che rivela in realtà un’ampia gamma di sfumature arricchite da delicati accenti di blu, rosso e giallo. Le pennellate sono spesso chiaramente visibili e applicate con cura in direzioni diverse, mentre ampie porzioni dell’immagine risultano talvolta sfocate. Il punto di vista prescelto possiede una qualità fotografica, e l’‘inquadratura’ ha un taglio particolare, talvolta sorprendente.”

In riferimento a queste osservazioni in questa sezione, su strutture poste sul pavimento, sono proiettati dei video tratti dal film Gertrud (1964) di Carl Theodor Dreyer. La scelta di paragonare le scene di interni del pittore danese a scene tratte dal film è stata particolarmente efficace per evidenziare i parallelismi tra le inquadrature, gli schemi compositivi e le atmosfere sospese dei dipinti e della pellicola. È una cifra stilistica che si riscontra nella cinematografia scandinava e in particolare in Ingmar Bergman, ripresa anche da chi si vuole ispirare al grande regista svedese, Settembre di Woody Allen ne è un esempio

Riguardo all’uso dei colori è molto interessante il contributo di Annette Rosenvold Hvidt contenuto nel prezioso catalogo ricco di immagini e contributi, Hammershøi e i pittori del silenzio tra il Nord Europa e l’Italia a cura di Paolo Bolpagni e pubblicato da Dario Cimorelli Editore. Scrive Rosenvold Hvidt: "Negli ultimi anni sono state condotte ricerche approfondite sul suo uso del colore nell’ambito del progetto The Vilhelm Hammershøi Digital Archive (ViHDA), allo Statens Museum for Kunst (SMK), che culminerà nella creazione di un archivio digitale. Sono stati analizzati i metodi di lavoro del pittore attraverso una documentazione scientifica delle sue opere, con l’obiettivo di comprendere le tecniche e i materiali impiegati. Durante le analisi, è stata utilizzata una scansione macro-XRF della superficie pittorica, che permette di eseguire una mappatura dei colori, rivelando tra l’altro l’atteggiamento estremamente selettivo di Hammershøi nella scelta dei pigmenti, che comprendono il blu cobalto, il giallo cromo e il rosso carminio.

Queste tonalità – non sempre distinguibili da lontano, ma abbastanza visibili da spingere l’osservatore a coglierne il sottile gioco di variazioni rimanendo a lungo davanti alla tela – non sono percepite come colori netti, ma piuttosto come qualcosa di misterioso, che avviene all’interno della materia stessa dell’opera. Un’altra caratteristica emersa dalla ricerca è la particolare inclinazione di Hammershøi a incorporare nelle sue pennellate pigmenti blu, utilizzando per esempio il blu cobalto per intensificare il nero – come fa in numerosi dipinti per rendere il buio particolarmente denso. Nei ritratti, i toni blu sono usati anche per rappresentare la pelle del viso e le superfici dei mobili, come i tavoli in mogano, cui spesso è attribuito un ruolo fondamentale nei suoi interni."

“Come mai dipingo tutti questi interni? Non lo so, mi è venuto così. E poi i quadri con gli interni vanno di moda per il momento, tutti li vogliono. Quando dipingo un paesaggio ho problemi a venderlo… Ho sempre trovato un salotto del genere [senza mobili] molto bello, anche se non c’è nessuno dentro, anzi forse perché è vuoto”. Così pensava Hammershøi.
Nella sezione Interni domestici a confronto, il confronto è con quadri di pittori che si ispirarono a lui ad iniziare da Carl Holsøe (1863 - 1935), amici fin dall’Accademia s’influenzarono a vicenda. L’Interno con divano (1907) di Hammershøi e l’Interno (1903) di  Holsøe in mostra ne sono un esempio, che evidenzia le differenze, nel dipinto di Holsøe la luce è calda e determina un’atmosfera accogliente.

Interessante la scelta dei pittori italiani che si ispirarono all’artista danese, tra cui, Interno malinconico (1949) di Orazio Amato (1884 - 1952) e Interno (1934) di Giuseppe Ar (1898 - 1956). Mentre in rappresentanza dell’area franco-belga sono in esposizione: La tovaglia rossa (1931) del simbolista Henri-Eugène Le Sidaner ( 1862 -1939) un dipinto vicino come composizione ma con una esplosione di colori vivaci in contrapposizione con la monocromia de L’anima delle cose (s.d.) Xavier Mellery (1845 -1921) e di Interno di un mulino (s.d.) Charles Mertens (1865 - 1919).

Un'altra parte è dedicata a gli Interni con figure. Hammershøi e gli altri, in cui prosegue il confronto con altri pittori a cominciare dal suo amico Carl Holsøe di cui sono esposizione Donna con fruttiera (circa 1900-1910) e Solitudine (circa 1900) soggetti simili ma interpretati diversamente da Hammershøi in Interno con una donna che legge (circa 1900) e in Interno, Strandgade 30 (1902). Di grande interesse l’accostamento tra Serata in salotto (1904) di Hammershøi e Aspettando gli ospiti (1911) di Peter Vilhelm Ilsted (1861 – 1933), fratello di Ida, moglie di Hammershøi. Le due opere sono monocromatiche, scuro l’olio di Hammershøi, grigio chiaro l’acquaforte di Ilsted

Hammershøi non si dedicò ai ritratti se non quelli dei parenti stretti e degli amici, cosa che l’artista così spiegò:” Non mi piacerebbe fare il ritrattista; non mi interessa che sconosciuti vengano a trovarmi e mi commissionino il loro ritratto. Per dipingerli, servirebbe che li conoscessi bene.” Per quanto Ida Ilsted sua moglie e sorella del pittore Peter Vilhelm Ilsted, compaia nei suoi quadri non fu solo moglie e musa ma anche una preziosa collaboratrice. In esposizione ci sono il Ritratto di Ida Ilsted, futura moglie dell’artista (1890), dipinto quando erano ancora fidanzati, un ritratto frontale, mentre in Riposo (1905) viene ritratta di spalle con i capelli raccolti e la nuca scoperta. Il ritratto di spalle è una creazione di Hammershøi che ebbe successo e fu imitata, il dipinto Isa di spalle al pianoforte (1917-1918) di Oscar Ghiglia (1876-1945) è un esempio in mostra. Nella sezione ci sono anche di Hammershøi il Il violoncellista. Ritratto di Henry Bramsen (1893), figlio del suo mecenate Alfred Bramsen e l’affascinante Doppio ritratto dell’artista e della moglie visti attraverso uno specchio (1911).

Tra le opere in esposizione c’è anche l’unica che realizzò tra il 1902 e il 1903 durante il viaggio in Italia con la moglie, Interno della chiesa di Santo Stefano Rotondo a Roma (1902). In Italia fu attratto più dall’arte antica, dai cosiddetti ‘primitivi’ e dai maestri del Quattrocento, da Giotto a Masolino, dal Beato Angelico a Masaccio, da Luca Signorelli a Desiderio da Settignano. Non ci sorprende che abbia scelto l’interno di Santo Stefano Rotondo, le forme geometriche, l’assenza di altri oggetti e la luce, sono elementi affini al modo di concepire la pittura di Hammershøi.

Paolo Bolpagni ha così spiegato gli intenti che lo hanno guidato  “La mostra di Palazzo Roverella, tuttavia, non si propone semplicemente di offrire al pubblico del Bel Paese un’occasione per conoscere più da vicino le opere di un pittore straordinario, riconoscibile per l’intimismo minimalista dei suoi interni e per l’atmosfera inquieta che si sprigiona da un apparente rigorismo, ma di scandagliare filoni di ricerca rimasti finora pressoché inesplorati: da una parte il rapporto tra Hammershøi e l’Italia, dall’altra il confronto con artisti europei soprattutto coevi che, con sfumature diverse, praticarono una poetica basata sui temi del silenzio, della solitudine, delle ‘città morte’, dei ‘paesaggi dell’anima’."

Il percorso della mostra si conclude con tre sezioni: La città: da Hammershøi a Khnopff, In Italia: sotto il segno di Gabriele d’Annunzio e Paesaggi silenziosi: tra la Francia, il Belgio e l’Italia. Nella prima è esposta la Veduta del Palazzo di Christiansborg. Tardo autunno (1890-1892) di Hammershøi immersa in un’atmosfera malinconica e sognante in cui a dominare sono sempre le sfumature del grigio, è l’inizio di un percorso di comparazione nel modo di rappresentare “città morte” e i “paesaggi dell’anima”. Tra le varie opere in esposizione ci sono, dal Ricordo di Bruges (1904) del simbolista belga Fernand Khnopff (1858 –1921) a Barche di notte sul mare ad Anversa (s.d.) del divisionista italiano Vittore Grubicy de Dragon (1851 – 1920) al simbolista Crepuscolo (1906) di Umberto Prencipe.

Nella parte In Italia: sotto il segno di Gabriele d’Annunzio sono esposte opere di artisti che si ispirano in varie forme al Vate come Mario de Maria (1852-1924) di cui è in mostra La danza dei pavoni (1886-1890), La messa di mezzanotte (1912) litografia di Giuseppe Ugonia (1881 - 1944) e i crepuscolari paesaggi romani nelle incisioni di Francesco Vitalini (1865 - 1904).
I vari dipinti presentatati Nei Paesaggi silenziosi: tra la Francia, il Belgio e l’Italia sono di ‘artisti del silenzio’, furono simbolisti, crepuscolari, decadenti, vissuti nello stesso periodo Hammershøi. Come esempi per valutare affinità e divergenze tra artisti in un epoca ricca di diversi fermenti ci sono tra gli altri i dipinti : Notte amorosa - Viale poetico (1903-1904) del simbolista Alphonse Osbert (1857-1939), Mucchi di fieno in un campo illuminato dalla luna (circa 1900) di William Degouve de Nuncques (1867-1935), il Notturno metafisico 1912 di Mario Reviglione (1883-1965), L’isola del silenzio (1912) di Umberto Moggioli (1886 -1919) e Camposanto di Ostia Antica (1904) di Giulio Aristide Sartorio (1860-1932).

Pubblicato in: 
GN28 Anno XVII 26 maggio 2025
Scheda
Titolo completo: 

Rovereto
Palazzo Roverella
Hammershøi e i pittori del silenzio tra il Nord Europa e l’Italia
21 febbraio 2025-29 giugno 2025
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