Galleria Borghese. Wangechi Mutu, l'Astarte africana

Articolo di: 
Livia Bidoli
Wangechi Mutu

La Galleria Borghese accoglie dal 10 giugno al 14 settembre 2025 I Poemi della terra nera, o forse, potremmo dire, "dalla Terra Nera", da dove proviene l'artista kenyota Wangechi Mutu (classe 1972), trasferitasi a Brooklyn da vent'anni e sospesa tra New York e Nairobi. A cura di Cloé Perrone, la mostra si immerge nelle sale e le fa rivivere cineticamente, con le sue opere sospese tra le statue di Canova e Bernini, ed i dipinti di Tiziano, Caravaggio, Rubens, Bassano e tantissimi altri.

Entriamo nella hall e scorgiamo in alto, sospesi, degli scheletri di uccelli, "ndege" in swahili, con dei grossi becchi, svolazzanti in cerca di un'uscita per il bosco. Il nostro viaggio è iniziato ed entriamo nella grande sala di Mariano Rossi: qui vi è un tappeto di scritte sui mosaici antichi romani che raccoglie le parole dell'ultimo imperatore dell'Etiopia, volto a concretizzare quell'abolizione delle discriminazioni razziali di cui l'Africa, soprattuto nera, è ancora parzialmente oggetto. Il grande "tappeto" si intitola Grains of War, grani di guerra, essendo composto da grani di té e caffé, immaginiamo provenienti dalla sua terra di nascita. Grains of War è tratto dalla canzone War di Bob Marley ispirata alla figura chiave dei movimenti anticoloniali, il sovracitato ultimo imperatore d'Etiopia, Haile Selassie (1930-1974), il cui discorso del 1963 alle Nazioni Unite chiedeva la fine dell'ingiustizia razziale.

Proseguiamo il nostro tour e troviamo una ricca collana gigantesca appesa nella sala degli Imperatori: volteggia sul Ratto di Proserpina di Bernini; mentre da un lato, su uno dei ricchi tavoli a specchio di gusto settecentesco, sono poggiate due teste di donna dai profili tra africano ed alieno, cogli occhi ed i colli allungati, un "doppio", l'una di fronte all'altra, quasi a osservarsi per comunicare espressivamente un messaggio sotterraneo, forse mimetico sulla loro indecifrabile identità. La collana di terra rossa, cera e perline di legno si chiama Prayers, preghiere; mentre le due teste, che riprendono il gusto ancestrale africano delle sculture d'ebano, pur essendo di bronzo, sono titolate Older Sisters, le sorelle più anziane.

A dir la verità, questo tour mi sembra una quest sull'eterno femminile, la Gran Madre di tutti, Ishtar, Astarte, che compare in tutte le culture del mondo sotto vari nomi: Enthroned, in trono, ne è un esempio lampante, potendola osservare da vari angoli e prospettive, si presenta mutante nella sua terra rossa e perline, una dea ed una regina che è a tutto tondo, osservabile "a giorno", e sempre diversa nelle sue fome.

Come un "doppio" di nuovo alieno, si presentano invece le due sculture femminili che ci sembrano uscite dal bar di alieni di Star Wars, con una sopraffina modalità di rappresentare le lacrime come perline iridescenti; corna oblunghe e molli sul capo come antenne, ed una sospensione che le rende come due testimoni di una passaggio metamorfico.

E corna ancora saranno nella scultura Underground Hornship, ovvero sotterrnaea idolatria del corno, che presenta tre corni di bronzo resi come artigli, doppio questo della scultura Poems by my Great Grandmother I, Poesie della mia grande nonna, tre corni semoventi su una pentola, e questi ultimi composti di terra rossa e legno.

L'ultima perlustrazione delle opere di Mutu si dipana nel giardino segreto di fronte al Volario, in esterni: una sinuosa sirena in proprorzioni umane è semidistesa su un ovale di metallo: incinta, con gli occhi socchiusi, è una seducente sirena che si chiama Water Woman, una donna d'acqua, ed osserva l'altro bronzo di forma sirenica nel secchio di paglia nero, Musa, che invece è addormentata. Una testa con delle uova, Heads in a Basket, ha un senso quasi malinconico, simile a Musa, lontane e un pò abbandonate, o forse solitarie, sono parenti strette, come le sirene antiche, che erano serpenti acquatici a volte anche dotati di ali con Nyoka, il serpente avvolto su sé stesso nell'ultimo cesto. Nyoka in swahili significa proprio serpente, simbolo di saggezza e potenza sovrannaturale che protegge e guarisce e che, come un ouroboros, si avvolge su sé stesso per iniziare un nuovo ciclo.

Pubblicato in: 
GN30 Anno XVII 9 giugno 2025
Scheda
Titolo completo: 

Galleria Borghese
Wangechi Mutu 
Poemi della terra nera
10 giugno - 14 settembre 2025

La mostra prosegue all’American Academy in Rome, dove è esposta Shavasana I. La figura in bronzo, sdraiata e coperta da una stuoia di paglia intrecciata, è intitolata alla posa yoga “shavasana” (posa del cadavere) e si ispira a un reale fatto di cronaca. La collocazione, nell’atrio dell’Accademia, alla presenza di iscrizioni funerarie romane, fa da cassa di risonanza al concetto di morte, abbandono e dignità del vivere.

Con questa esposizione, la Galleria Borghese continua il suo impegno nell’arte contemporanea, dopo le mostre Gesti Universali di Giuseppe Penone (2023) e Louise Bourgeois. L’inconscio della memoria (2024), proponendo un nuovo modo di vedere lo spazio, rinnovato di connessioni e prospettive attraverso la visione di un’importante artista internazionale.

La mostra è resa possibile grazie al sostegno di FENDI, sponsor ufficiale dell’esposizione.