Paternal Leave. Il padre imperfetto e la lingua perduta

Articolo di: 
Teo Orlando
Paternal Leave

Con Paternal Leave, presentato in anteprima mondiale alla 75ª Berlinale nella sezione Generation 14plus, Alissa Jung, attrice tedesca affermata nel mondo delle soap operas, firma il suo primo lungometraggio da regista, affrontando con delicatezza e rigore il tema della genitorialità mancata e della ricerca identitaria durante l'adolescenza. Il film, una coproduzione italo-tedesca tra The Match Factory e Wildside, segue il viaggio di Leo, una ragazza quindicenne cresciuta in Germania, alla ricerca del padre biologico mai conosciuto. Il suo percorso la conduce fino a un lido deserto sulla costa settentrionale dell’Emilia-Romagna, in una stagione imprecisata (ma con clima comunque autunnale) dove si rifugia Paolo, figura paterna riluttante e interiormente lacerata.

Il titolo Paternal Leave contiene un gioco di parole che rimanda all'espressione parental leave. In inglese, parental leave è il termine generico per il congedo concesso a uno dei due genitori (padre o madre) alla nascita di un figlio. Sostituendo parental con paternal, il titolo sottolinea che si tratta del padre — non genericamente di un genitore — a costituire il centro della storia. Questo gioco di parole suggerisce già nel titolo uno spostamento dell’attenzione: da una funzione sociale condivisa (la genitorialità) a una relazione personale e forse irrisolta tra padre e figlia. Allo stesso tempo, può essere letto come una forma di "congedo simbolico" — o un ritardo — nel ruolo paterno, che viene assunto solo tardivamente e in modo problematico.

L’incontro tra la ragazza e il padre non si svolge secondo le regole consuete del melodramma familiare, bensì procede per ellissi, silenzi e lente approssimazioni. Il film evita ogni retorica del ricongiungimento per scavare, invece, nei territori più ambigui della ferita e della colpa. La regia di Alissa Jung, attenta ai dettagli minimi del comportamento, si affida a una fotografia tenue (opera di Carolina Steinbrecher) che predilige toni freddi e inquadrature fisse, come a voler congelare lo spazio affettivo in cui i personaggi si muovono. Le spiagge desolate, le stazioni ferroviarie semiabbandonate e le pinete invernali diventano metafore visive dell’incomunicabilità e dell’attesa.

La giovanissima Juli Grabenhenrich, nei panni di Leo, offre un’interpretazione intensa, tutta giocata su lunghi silenzi e sul non detto. Il padre è interpretato da un Luca Marinelli (compagno nella vita di Alissa Jung) insolitamente dimesso, ma capace di restituire con pochi sguardi il conflitto interiore di un uomo diviso tra passato e presente. I dialoghi, spesso interrotti o sfumati, lasciano spazio a una narrazione fatta di gesti: uno sguardo rubato, una tazza di tè lasciata sul tavolo, una carezza mancata.

Questo minimalismo espressivo, che ricorda certo cinema nordico o il realismo sommesso di alcuni autori francesi, è il punto di forza di un film che scommette tutto sulla verità emotiva. Nel rappresentare la difficoltà di accogliere l’Altro — che sia un figlio, un genitore o semplicemente una parte di sé — Paternal Leave evita le soluzioni consolatorie. Non ci sono riconciliazioni spettacolari, né trasformazioni improvvise: il legame tra Leo e Paolo resta fragile, provvisorio, continuamente minacciato dal peso di ciò che non è stato. Ed è proprio in questa precarietà che il film trova la sua autenticità, lasciando allo spettatore il compito di completare ciò che la narrazione tiene in sospeso.

Girato con mezzi volutamente essenziali, quasi poveri, Paternal Leave si colloca nel solco di un cinema "terzomondista" europeo, che rinuncia a ogni virtuosismo tecnico per privilegiare la forza degli ambienti naturali e la qualità etica dello sguardo. La regista non nasconde l’austerità produttiva del progetto, anzi la trasforma in cifra stilistica: poca musica invadente, scenografie ridotte al minimo, attori diretti con pudore quasi documentaristico. L’effetto è quello di una verità che si insinua nel racconto proprio grazie alla sua nudità formale.

Un aspetto singolare — e in parte spiazzante — del film è l’uso dell’inglese come lingua principale (perché le rispettive lingue madri, il tedesco di Leo e l'italiano di Paolo, sono vicendevolmente), recitato però da attori non anglosassoni con accenti marcati e dizioni a tratti imperfette. Questa scelta, lungi dall’indebolire la resa espressiva, contribuisce anzi a sottolineare la distanza, la difficoltà comunicativa, il senso di spaesamento che accompagna i protagonisti. L’inglese imperfetto di Leo e Paolo diventa così un ulteriore strato simbolico: una lingua franca costruita su incomprensioni, esitazioni, parole cercate e non sempre trovate. È un inglese dell’affetto esitante, che si spezza e si ricompone, come i legami familiari che tenta di articolare.

Paternal Leave è, in definitiva, un film sull’inadeguatezza: dei genitori, dei figli, del linguaggio stesso. Ma è anche un’opera che crede nel tentativo, nella possibilità di ricominciare a parlare, a vivere, a costruire un’appartenenza. Un’opera che merita di essere vista non solo per la sua bellezza sommessa, ma per il coraggio con cui affronta temi universali senza cedere mai alla tentazione della semplificazione o del sentimentalismo.

Pubblicato in: 
GN26 Anno XVII 12 maggio 2025
Scheda
Titolo completo: 

Paternal Leave
Regista:   Alissa Jung
Sceneggiatura:   Alissa Jung
Produzione: Michael Weber, Cécile Tollu-Polonowski, Viola Fügen
Interpreti:   
Juli Grabenhenrich
Luca Marinelli
Arturo Gabbriellini
Joy Falletti Cardillo
Gaia Rinaldi
Fotografia    Carolina Stone Crusher
Montaggio    Heike Parplies, David Maria Vogel
Produzione
The Match Factory GmbH
Wildside S.r.l.
Distribuzione:
Vision Distribution
The Match Factory
Durata  113 minuti
Paesi: Germania, Italia
Lingue: inglese, italiano

Uscita al cinema 15 maggio 2025