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Alberto Zamboni. Il sanguigno purpureo del mare
Un flusso semisopito di sensazioni evase dal tempo, uno spiraglio nel sommerso pneuma dello spazio oscillante nel mare; osservazioni sulla distanza tra il mare e l’uomo, estranei l’un l’altro eppur riuniti nella luce dello sguardo gettato altrove. Alberto Zamboni è tornato alla Galleria di Savinio, Il Segno di Roma per presentare Ovunque fino al 26 novembre 2009.
Fa eco ad un film mal riuscito di Michele Placido del 2004 Ovunque sei, ma qui siamo nella sostanza che nella tela si immerge appena trapassata dai colori rifulgenti di ombre. Dall’Effetto notte di Truffaut ai flâneur (passeggiatori cfr. articolo di Teo Orlando) di Parigi alla ricerca d’ispirazione come dice la curatricedel testo di presentazione Lea Mattarella, Alberto Zamboni ci introduce nell’Altrove.
Un Altrove che spesso riconosciamo nella nebbia padana dove non si vede nulla ad un palmo dalla propria mano, di giorno come di notte. Che annulla le distanze e finalmente comprime l’essere in un terrapieno che presenta balasutre e ripari, nel mezzo della città come in periferia. Una protezione dalla superficie lastricata delle linee troppo nette, una difesa che ci segue Ovunque, come il titolo della sua nuova raccolta.
Artista giovane (nato a Bologna nel 1971) e già quotato, presenta tra i suoi dipinti città immaginarie alla Hopper con individui non riconoscibili, sagome che si stagliano tra alberi ed edifici accennnati appena oppure invisibili. Il tutto bianco accoglie le sue Figure in controluce (2008) quanto La memoria del soldato (2009), mentre la donna che si avvia seguendo un corrimano si sperde nell’azzurrino ceruleo.
La natura sublunare di Zamboni però si esalta nel rosso, il vinaccia che ci accoglie nell’ultima stanza, Un altro mare (2009) riflesso nel blu del quadro che gli sta di fronte, esaltandone per questo il purpureo gioco cangiante. Le macchie quasi fucsia della parte destra fanno da eco allo scarlatto della sinistra: il paesaggio assomiglia ad una landa vulcanica svuotata per far posto all’acqua di un lago artificiale. Una conca di mare, forse un piccolo delta cerchiato dalla bruma e dalla rugiadosa notte che va approssimandosi come nell’ultima stanza di Poe in The Masque of the Red Death, un ludibrio di colori sanguigni, apportatori di notte appena offuscate dalle tenebre del mare.