De Filippis. Preistorico splendore

Articolo di: 
Livia Bidoli
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Primitivamente istoriati, i corpi dei guerrieri di de Filippis si muovono attraverso flessuosità plastiche in universi di disincanto esponenziale. Paradisi d’inferno fantascientifico delineano narrazioni sincopate in sincronia con il tenero livore di alcuni tratti, dipinti dalle lucide spanne di touches de couleurs vibranti sul rosso e sull’argento. Ancora, sulle braccia, quasi trattenute nell’impervio sostare della tensione muscolare, si innestano vene appena sollecitate, invariabilmente mobili nel loro peregrinare tra fatiche umane e d’interiore ed eroica purezza. I guerrieri tacciono, immersi nella plasticità desueta di un turbinoso vigore, accogliendo forzatamente tattili metafore di un luogo dell’altrove. Sembra quasi di udire il tragico canto del pittore attraverso di loro, come asseriva Kafka a proposito delle sue silenti sirene, scrivendo a Milena: ”Cerco sempre e ancora di comunicare qualcosa di non comunicabile, di spiegare qualcosa d’inspiegabile, di raccontare qualcosa che ho nelle ossa e di cui soltanto in queste ossa si può fare esperienza[1].

 L’altrove rimosso determina la pittura rutilante di de Filippis conducendo in uno spazio simile ad un’intercapedine dalla quale finalmente si possano percepire i sussurri del risveglio da un canto reso muto in un passato remotissimo. Il superamento agognato, stremato sulla soglia di una tenebra accentuatamente divelta dagli sprazzi di colore che come tagli infliggono ferite sul legno, è sempre una lotta che nelle parole di Bataille trova la sua dimensione descrittiva: “L’essere raggiunge il fulgore accecante nell’annientamento tragico[2]. L’apoteosi di questo movimento acceca per il furore espressionista proprio nelle gambe sezionate di Il giocattolaio, emblema stesso della frantumazione dell’io in un mito, il cui passo scorre aldilà del tempo in cui gli è stato concesso di nascere. Un Dio disperso tra la polvere, i cui granelli microscopici derivano da parti fratturate nel momento stesso dell’impetuoso slancio. Un gesto disperatamente nichilista come afferma di nuovo Bataille: ”Il nulla stesso è il suo giocattolo: non vi si inabissa che per lacerarlo e illuminarne la notte al quale non sarebbe mai pervenuto se questo nulla non si aprisse totalmente sotto i suoi piedi[3].

La fiamma della candela sul capo dell’ultimo quadro appena terminato non è che il simbolo di un fuoco desto,  nonostante questo annientamento,  in tutti gli sprazzi incrinati della pittura, in tutti gli acerbi spruzzi di matrice rubino, una circolazione vitale che ha il sangue come suo memento fulminante e fondante. Il teschio rosso di The Circle non fa che reiterare una ricerca di ubiquità nell’animo, quasi a lacerare quelle barriere che non permettono di trasferirsi in luoghi appena immaginati. La forza sovrumana dell’evocazione non fa che richiamare l’attenzione su un atto doppiamente leggibile, sia nel senso di annichilimento sia come correlativo oggettivo di un magma folgorante sul punto di esplodere.

Ed allora ci si accorge che il viaggio di Ulisse è ancora di là da venire, il Ciclope come le sirene lo attraggono in absentia, come se il vero viaggiatore non fosse lì, direttamente nel quadro, ma da qualche parte, ai lati, ad osservare qualcosa che accade unicamente perché il pittore vi si è tramutato, essenza stessa e raffigurazione, forse qui, forse altrove. Azionando ex novo i meccanismi che irrompono sul legno dipinto, incidendo pensieri in volo rapido, in traiettorie obnubilanti che, spargendo autentiche grida d’amianto, irrigano con gli elementi puri le cromie variabili di un viaggio. Nelle viscere di un mondo capovolto, ove le stesse emozioni si fanno corpi assoluti, un brillare verde-dorato di un mago o forse di un iniziato, raggomitolato con il braccio e la mano tesa (come tutti i corpi dipinti nei quadri) a mostrare un ciondolo con un cerchio ed un drago, un anello dei Nibelunghi in tutta certezza conquistato. A questo punto i guerrieri lamentano con le stesse parole di Frika dal II° atto di La Valchiria di Richard Wagner: “Con misterioso senso/ mi vuoi illudere:/ che di eroico dovrebbero/ gli eroi mai operare,/ che fosse proibito ai loro dèi,/ il cui favore soltanto opera in loro?[4].

[1] Franz Kafka, Lettere a Milena, traduzione di Ervino Pocar, Oscar Mondadori 1979.

[2] Georges Bataille, Il labirinto, traduzione di Sergio Finzi, SE, Milano, 2003, p. 24.

[3] Ibid, p. 25.

[4] Richard Wagner dal II atto di Die Walküre (stesura 1851-56, la prima teatrale il 26 giugno 1870) , traduzione di Guido Manacorda: “Mit tiefem Sinne/ willst du mich täuschen:/ was Hehres sollten/ Helden je wirken,/ das ihren Göttern wäre verwehrt,/ deren Gunst in ihnen nur wirkt?”.

Pubblicato in: 
GN1/ 3-17 novembre 2008
Scheda
Autore: 
Valerio De Filippis
Titolo completo: 

PRS TRC - PREISTORICO
Domus Talenti
via delle Quattro Fontane, 113 - Roma
Periodo: 17 - 30 settembre

Anno: 
2008
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