Gesualdo Bufalino. L'umanità postuma dell'untore

Articolo di: 
Dario Pisano
Diceria dell'untore

Esce, ripubblicato dalla casa editrice Sellerio, il romanzo di esordio di Gesualdo Bufalino, intitolato Diceria dell’untore, ovvero uno dei frutti più straordinari della narrativa italiana degli ultimi trent’anni. Il romanzo, pubblicato la prima volta nel 1981, rappresenta l’affacciarsi nel paesaggio letterario italiano di un sessantenne professore di liceo, schivo e appartato fino a quel momento, che sollecitò l’interesse dell’amico Leonardo Sciascia.

Sciascia, folgorato da una prosa in cui Bufalino presentava un libro di fotografie sulle arti e i mestieri perduti dei suoi paesi, insistette fortemente per convincere questi a valorizzare quanto aveva fino a quel momento scritto e lasciato nell’ombra; viene dunque alla luce, dopo una gestazione lunghissima, un romanzo che incontra uno strepitoso successo di pubblico e di critica, sigillato dalla vittoria del Campiello in quello stesso anno.

La storia, ambientata in un sanatorio, ovvero in uno fra i luoghi più frequentati dalla letteratura mitteleuropea del ‘900 (come La montagna sacra di Thomas Mann), racconta una tenera e improbabile storia d’amore fra il protagonista maschile, l’io-narrante, giunto da molto lontano con un lobo di polmone sconciato dalla fame e dal freddo (sono parole dell’autore), e Marta, ragazza dagli occhi come ciottoli d’ebano nel fiero ovale ammansito da una fiera chioma di luce. Attorno a questi sciama, come una fiera d’ombre, tutta un’umanità ormai postuma a sé stessa, come, per evocare alcuni personaggi, il gran Magro, Sebastiano, il cappelano militare Padre Vittorio etc. Un'umanità ridottasi ad amministrare "un esile carico di aliti ed anni" (sono ancora parole dell’autore).

Tema dominante è la Sicilia, immemore, nastro atemporale riavvolgentesi su sé stesso, còlta in splendide epifanie nelle ore canicolari, lembo di terra violentato da un sole inclemente e intempestivo, così definito dall’autore, con una felicissima metafora di timbro barocco (non indegna del conterraneo poeta Lucio Piccolo), orrido mestruo del cielo. Bufalino si ritrova dunque sulla linea di Tomasi di Lampedusa, Brancati, Quasimodo, Vittorini, e giù giù fino all’archetipo Verga, nella tensione poetica verso una siculità trascendentale.

Il romanzo è, anche in virtù della lenta maturazione, il distillato di una cultura vastissima, plurilinguistica e articolata, tutta intonata sui più raffinati accordi europei. È un libro attraversato da linfe proustiane (autore carissimo al nostro scrittore), con succhi borgesiani e pessoiani (basti pensare al quaderno di aforismi di Padre Vittorio), che spiegano la splendida tessitura stilistica dell’opera, la cura lessicale, rivelata dalla raffinata calibratura dei materiali verbali.

Notevole è anche la dimensione intertestuale, trattandosi di una prosa narrativa insertata continuamente di frammenti poetici provenienti da autori diversi, (spiccano i prelievi montaliani, a partire dalla poltiglia di sillabe balbe rimasticate in eterno da mascelle senili, all’inizio del romanzo), funzionali a rialzare in alcuni momenti la temperatura lirica della narrazione, e simili a minerali estratti dall’autore dal bacino minerario della propria cultura. Si potrebbe quasi pensare a un Gadda siciliano, specialmente in quei luoghi testuali in cui l’orchestrazione stilistica tende a un trobar ric.

Si tratta, per formulare una diagnosi conclusiva, di uno straordinario romanzo di scuola siciliana,  nel senso che arricchisce e consolida la tradizione prestigiosa della narrativa insulare tra la fine dell’ottocento e il novecento; l’esordio tardivo di uno scrittore che negli anni successivi avrebbe continuato, incoraggiato dall’inatteso e meritato riscontro, a pubblicare romanzi e racconti di alto livello.

Pubblicato in: 
GN23/ 5 ottobre - 2 novembre 2009
Scheda
Autore: 
Gesualdo Bufalino
Titolo completo: 

Diceria dell'untore
Sellerio
pp. 213 € 8

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