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Musica da camera da Parigi a Roma. Una serata francese al Teatro Keiros
Domenica 8 novembre 2009 nel piccolo e raccolto Teatro Keiros di Roma si sono esibite due concertiste del quartetto Le Monde Ensemble, con un repertorio tutto francese: la violinista Elisa Papandrea, diplomatasi al Conservatorio di Santa Cecilia (e della cui Orchestra fa parte) perfezionatasi a New York e a Londra, e la pianista Akanè Makita, di origine giapponese, vincitrice nel 2003 della Claudio Arrau International Piano Competition.
Il primo brano, la Sonata per violino e pianoforte in La maggiore Op. 13 di Gabriel Fauré, viene eseguito dalle due interpreti con sublime pathos: il primo movimento, Allegro molto, vede Akanè Makita sedersi al pianoforte e intonare la melodia con trasporto e brio. Il violino della Papandrea entra subito dopo, quasi inavvertito, all’inizio, per inserirsi gradualmente in un dialogo serrato con il pianoforte: colpisce della bionda esecutrice la maestria assoluta e la compostezza nel padroneggiare lo strumento.
In alcuni momenti del movimento successivo, l’Andante, l’apparente rigidità e una certa algida tecnica sembrano quasi immobilizzare la musica in una dimensione atemporale. Ma nel successivo movimento, Allegro vivo, le due interpreti ritrovano una dimensione più consona alla sonata di Fauré, in cui il cromatismo viene esaltato dagli intervalli di terza, che le conferiscono una singolare dimensione onirica accompagnata da un penetrante senso di mistero, qualità esaltate nell’Allegro quasi presto che conclude la sonata.
La successiva composizione, la Sonata per violino e pianoforte in Sol maggiore di Claude Debussy, viene interpretata unendo mirabilmente la sensibilità della pianista, più vicina all’impressionismo del grande musicista francese, con quella della violinista, più romanticamente connotata. Del resto, nella pièce di Debussy, scritta poco prima di morire, nel 1917, si odono quasi echi oltremondani e incantati, mutuati probabilmente dalla tradizione tzigana, a cui si era avvicinato dopo un viaggio a Budapest.
Soprattutto il secondo movimento, Intermède. Fantasque et léger, esalta le capacità di usare il vibrato della Papandrea. Il finale, Très animé, culmina in un virtuoso rondò, che lo stesso Debussy descrisse con le seguenti parole: “Non vi fidate di nessun brano che appaia librarsi in volo dal cielo! Potrebbe essere stato covato nelle profondità tenebrose della mente di un uomo malato. Ad esempio il finale della mia sonata: il semplice giocare su un pensiero che si attorciglia su sé stesso come un serpente che morde la sua coda”.
Il concerto si conclude con l’Introduzione e Rondò capriccioso op. 28 di Camille Saint-Saëns, maestro di Fauré. Il pezzo, originariamente per violino e orchestra, e ispirato all'Andante e Rondò Capriccioso per piano di Felix Mendelssohn Bartholdy (il cui rondò si apre esattamente con le stesse tre note), viene interpretato dalle due performer con grande virtuosismo soprattutto negli arpeggi pianistici e nelle scale armoniche del violino, che culminano nella quasi frenetica coda in La maggiore.
Viene concesso un bis, il Chau Paris di Astor Piazzolla, che, come sottolinea la violinista, con il riferimento a Parigi conclude mirabilmente la serata tutta francese che ha riempito la saletta da concerto.