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Tàr. Il metaverso della musica classica
Un nome particolare per il nuovo film di Todd Field, Tàr, che significa in antico norreno "tenace e resistente", ma anche "catrame" ed "incatramare" in inglese moderno. In effetti il finale del film ha un aspetto simbolico sicuramente legato al cognome di Lydia Tár, interpretata da Cate Blanchett, che nel film ha il ruolo di una celebre direttrice d'orchestra e compositrice nel mondo internazionale della musica classica, Naturalmente, è pura fiction, così come la sua ammirazione per Leonard Bernstein, eccelso "baton" del secolo scorso.
Partiamo dalla Sinfonia n.5 di Mahler, che Lydia Tàr dovrà condurre alla Philarmonie di Berlino, di cui è la direttrice da anni. La Quinta di Mahler è la fine di un'epoca e l'inizio di un'altra ed inizia con la Trauermarsch, ovvero con una marcia funebre: ecco, Lydia Tàr si sta avviando verso un cambiamento clamoroso, senza il supporto di sua moglie, primo violino della Philarmonie interpretata da Nina Hoss. Come mai? E' presto detto: le sue plurime relazioni al femminile con altre studentesse del suo campo di lavoro, ovvero la musica classica, ed il suo comportamento, non solo verso di loro ma anche verso il suo primo assistente, Sebastian, improntate ad una disamina cinica della vita e del suo posto rispetto a queste relazioni umane, le farà il vuoto, che si tradurrà con un crollo.
Quel che si respira dall'inizio alla fine del film è proprio questo aleggiare della sua freddezza: un grigio possente che esaspera chiunque, una lamiera di metallo che ha la pesantezza della ghisa. Nessun calore è emanato da questa donna: una specie di robot che nemmeno dopo un'aggressione (voluta strategicamente dall'ultima fiamma che l'ha condotta in un tranello?) si mostra sconcertata. Tira dritto anche dopo uno strano incidente col metronomo in cui si rivolge alla bambina nera adottata per capire se è stata lei, magari involontariamente.
La questione gender, di cui ormai è un dovere occuparsi, che lo si voglia o no, insieme alla questione immigrati, adozione loro o di bambini africani, si profila insieme ad un'altra, ben piu' inquietante, legata al postumano: un concerto diretto per un videogioco, con ragazzi che indossano una maschera per seguire in "immersione". Un metaverso della realtà, che adocchia gli adolescenti a due passi di distanza. Forse ci sono già dentro, mentre la realtà continua a scorrere "su" di loro. Un film su cui riflettere.