Bob Dylan. Return to me. Il profeta in vestito gessato

Articolo di: 
Milvio Delfini - Alberto Aniasi
Bob Dylan

È apparso senza preavviso. Vestito scuro gessato, cravatta sgargiante, cappello a falde larghe. Un Bob Dylan lontano anni luce dal folksinger dei jazz festival che cantava del sindacato, del suo tempo, dei cambiamenti, della sua gente. L’anticonformismo spontaneo e dilagante ormai tramutato in una sorta di saggezza tipica di chi ha vissuto a lungo e ha visto così tante cose da non farsi più turbare da nulla.

Non vi era più traccia alcuna del giovane agricoltore un po’ naif degli anni sessanta. Niente più rock’n roll, abbandonato negli angusti e fumosi locali di Minneapolis, solo le ultime composizioni del vecchio menestrello che assurse al rango di re. E bisogna dire che Woody Guthrie sarebbe fiero di vedere con quanta eleganza il suo erede porta la corona di profeta del folk. Ed era un Bob Dylan molto compreso nel suo ruolo quello che si è manifestato sul palco. Poi il blues quartet è sbucato alle sue spalle.

Lui ha evitato il centro del palco, troppo timido per non sottrarsi all’urto emotivo della folla. Si è invece barricato dietro una tastiera laterale, fuori dal centro d’attenzione; gambe larghe e piede che andava a tempo, le mani in piena vena creativa. E la sua voce ha squarciato l’impalpabile cortina d’attesa. Quella voce che, a volte spigolosa, altre volte profonda e struggente, si è sempre sollevata nei momenti di crisi sociale profonda, mai accecata dai riflettori ma sempre in prima linea. E il 17 Aprile il Palalottomatica si è trasformato in un’enorme macchina del tempo. C’era un’intera generazione che voleva essere ancora capita, interpretata, e guidata, con l’acume pungente di sempre. Un’altra, invece, voleva rievocare quelle stagioni sacre che non aveva mai vissuto, voleva veder succeder qualcosa di sensazionale, qualcosa da poter ricordare, e prender parte ad un evento storico che non aveva vissuto direttamente.

Da Woodstock a New Orleans, è stato tutto un unico viaggio sulla storica e battutissima Highway 61 (titolo di uno dei suoi leggendari dischi, quello che nel 1965 inaugurò la cosiddetta svolta elettrica), sulle epiche note di Like a Rolling Stone e All Along the Watchtower. Ballad of a Thin Man è mancata un po’ a tutti ma, paradossalmente, abbiamo sentito soprattutto la mancanza del contestatore di sempre, il cinico e razionale Mister Jones, capace con le sue parole taglienti e sanguigne di scatenare le folle di fedelissimi contro il “falso profeta”. O contro il “falso poeta”, a seconda delle circostanze. Ma ora che il re è saldo sul suo trono, forte dell’età e dell’esperienza, non vi è più nessuno ad opporsi alla sua egemonia musicale, non vi è più nessuno che riesca a spronarlo, a fomentare in lui quella rabbia di cui tanto voracemente si nutriva, e che trasformava di volta in volta in nuove creazioni sperimentali, assurde e bellissime.

Ora, a seguito della smentita secondo la quale non ritiene di essere un poeta, tutto il mondo crede che non lo sia; per spuntare le armi al nemico, ha dovuto abbandonare le proprie. Il fuorilegge si è ripulito, ed apprezza i benefici di una vita tranquilla da trascorrere ritoccando e modificando le proprie opere. Ed ora, nonostante ne sia passata di acqua sotto i ponti, Like a Rolling Stone lascia ancora un segno indelebile, una profonda cicatrice nell’animo di chi pensa ancora che sia il migliore, o di chi è segnato dalla consapevolezza di quanto fosse fuori posto Dylan in quell’ambiente asettico, privo dell’atmosfera dei grandi raduni musicali in cui si scrisse la storia del grande rock, saturata dall’elettrizzante desiderio di novità.

E Sugar Baby non avrebbe mai potuto eguagliare la forza del racconto dei nove anni di amore per Sara (a cui il menestrello di Duluth ha dedicato due delle sue più celebri songs, la straordinaria e lunghissima Sad Eyed Lady of the Lowlands, in Blonde on Blonde, del 1966, e l'eponima Sara, contenuta in Desire, del 1976). Sì, il poeta mai affermato è stato via a lungo (come dice l'attore Ben Whishaw nel film biopic I'm not there, dove veste i panni di un Arthur Rimbaud che rappresenta una delle controfigure immaginarie dello stesso Dylan), e non è ancora tornato. Eppure vi era un pubblico riunito che, come in una specie di seduta spiritica, sperava e si illudeva di far tornare il fantasma di un mito. Un pubblico che pendeva dalle sue labbra, aggrappandosi all’unica cosa immutata. Le parole. Già, le parole, avvolte nel calore del talkin’ blues. Talvolta prolisse ed efficaci, talvolta brevi, concise, quasi aspre.

Non sembrava importasse a qualcuno la pessima qualità dell’acustica, perché il ritmo lento e sfrenato delle melodie irretiva gli spettatori come una droga che agisce lentamente, svuotandoti di qualunque emozione che non venisse ispirata da quel nuovo jazz-blues arrangiato sulle impalcature acustiche di una superba chitarra elettrica.

Se il pubblico voleva veder succedere qualcosa di straordinario, quella sera non è rimasto insoddisfatto. La contaminazione dei generi ha raggiunto un livello molto vicino alla perfezione, e si è venuto a creare un nuovo genere armonico, in cui sax e chitarra elettrica convivono ed esplorano nuove sensazioni, nuovi registri, nuovi orizzonti. Spentesi le ultime note di Blowin’ in the Wind, alcuni fedelissimi sono rimasti là, nella calca del parterre, a ridosso del palco, sperando di sentir bussare alle porte del paradiso, non rendendosi neanche conto di esserne appena usciti. 

Pubblicato in: 
GN15/ 6-20 giugno 2009
Scheda
Autore: 
Bob Dylan
Titolo completo: 

Bob Dylan and his Band in Concert
Roma, Palalottomatica, 17 Aprile 2009

Track List

1. Cat's In The Well
2. Don't Think Twice, It's All Right
3. Things Have Changed
4. Boots Of Spanish Leather
5. The Levee's Gonna Break
6. Sugar Baby
7. Tweedle Dee & Tweedle Dum
8. Make You Feel My Love
9. It's Alright, Ma (I'm Only Bleeding)
10. Beyond The Horizon
11. Highway 61 Revisited
12. Love Sick
13. Thunder On The Mountain
14. Return To Me (by Danny DiMinno and Carmen Lombardo)

(encores)

15. Like A Rolling Stone
16. All Along The Watchtower
17. Spirit On The Water
18. Blowin' In The Wind

Anno: 
2009
Voto: 
8.5
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