Centro Machiavelli. Cesare Valentini, musicalmente libero e difforme

Articolo di: 
Cesare Valentini
Centro Machiavelli Conferenza

Pubblichiamo volentieri l'intervento del 12 aprile scorso, a firma del compositore Cesare Valentini, al convegno organizzato dal Centro Machiavelli presso la Biblioteca della Camera dei Deputati cui lui ha partecipato insieme ad altri intellettuali, tra cui lo storico Eugenio Capozzi, Emanuele Mastrangelo e Francesco Borgonovo, Vicedirettore del quotidiano La Verità.

Cesare Valentini è un compositore contemporaneo; negli ultimi tre anni ha inciso con Roberto Fabbriciani per Tactus Flute XXI e dal vivo il Concerto di Zagabria, di nuovo con Fabbriciani ai flauti e al Maestro Cantus Ansambl Berislav Šipuš alla direzione. Dopo aver conseguito la laurea in composizone al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, ha intrapreso la strada dell'insegnamento ed è stato docente di Composizione e Storia della Musica nei conservatori di Vicenza, Ferrara, Castelfranco Veneto, Foggia e presso l'Accademia di Belle Arti di Firenze. È appprezzato tra gli altri da Rudolph Angermueller, per molti anni responsabile scientifico del Mozarteum di Salisburgo. Ha eseguito le sue musiche nell'ambito dell'Associazione Mozart di Rovereto, di cui è celebre il festival e la continuità con il Mozarteum prima citato. In particolare, evidenziamo le composizioni di seguito, che apprezziamo moltissimo: Rarefazioni di luce, realizzata con l'Orchestra da Camera Fiorentina, direttore Piero Romano; l'Omaggio a Nino Rota per La dolce vita; non ultimo l'Agnus Dei, realizzato dal vivo alla University of Arizona Fred Fox School of Music, Crowder Hall UNAM Tucson.

Ormai sono frequenti le ricostruzioni del clima culturale italiano nei decenni del secondo dopoguerra, in cui si sottolinea l'influenza esercitata, da parte di una determinata fazione politica, su tutte le politiche culturali degli ultimi 80 anni e come ciò abbia nociuto all'espressione e alla divulgazione delle idee, libere o di qualsivoglia tendenza, che non hanno mai accettato compromessi con il potere.

Vorrei in quest'articolo esprimere il punto di vista di chi, dal di dentro, come compositore, ha vissuto costantemente problematiche di questo tipo. In realtà la situazione è stata  forse anche peggiore di come possa sembrare all'esterno. Alla scelta politica, mai espressamente richiesta, ma che di fatto esisteva, corrispondeva necessariamente una scelta estetica. Si tratta di un fatto rilevante, perché mettere le mani sulla musica, ad esempio, richiedendo senza dubbio una certa dose di consenso da parte dei compositori,  ma al contempo favorendo la pluralità di diversi stili musicali, con le relative estetiche soggiacenti, avrebbe nociuto all'uniformità della cultura, ma avrebbe forse preservato, almeno in campo artistico, la molteplicità delle idee.

La necessità di aderire a una determinata estetica o per meglio dire a un modo di comporre, peraltro piuttosto invecchiato (in effetti, questa cosiddetta "modernità" è stata fissata almeno settant'anni fa), ha fatto sì che molte delle novità che si sono presentate in Italia negli ultimi decenni – un autentico patrimonio culturale – non abbiano trovato la giusta risonanza in quanto non gradite al sistema. Il problema principale, dal punto di vista artistico, sta proprio nel rifiuto da parte di un'accademia che volge lo sguardo al passato e che all'esterno si presenta come innovativa e d'avanguardia.

Ma si tratta di concetti disattesi, se ci atteniamo alla logica di alcune considerazioni. Quello stile apparentemente d'avanguardia (ma in realtà "antico") si rifà alla scuola di Darmstadt, cittadina tedesca dove nell'immediato dopoguerra sono state sviluppate quelle idee che hanno poi dato vita al cosiddetto puntillismo (ossia a quella tendenza compositiva che, rifacendosi alla concezione della serialità del compositore austriaco Anton Webern, struttura il contesto musicale come un insieme di eventi sonori isolati, pervenendo a una rarefazione estrema del tessuto musicale) e a varie forme di sperimentalismo.

Come può una scuola che ha le sue origini in un tempo così lontano essere un punto di riferimento per la modernità del presente, ossia del secondo decennio del XXI secolo? Il fenomeno dovrebbe essere spiegato non attraverso la musica ma tramite considerazioni sociali e politiche. Si parla oggi di neoavanguardia, ma chi in un recente passato ha cercato di opporsi a questo sistema lo ha fatto con l'altra faccia della medaglia, parlando di neoclassicismo o neoromanticismo. In realtà, tutto ciò che viene etichettato con il prefisso “neo” nasconde in sé l'idea che avanti, più di tanto, non siamo andati. La musica si è sempre rinnovata, senza proclami e senza imposizioni, poiché sono cambiate le idee, la società, gli stili, i modi di pensare e soprattutto sono nate sempre personalità di primo piano che hanno caratterizzato, come disse Ludwig van Beethoven, una nuova idea di bellezza.

Apparentemente sembra che la musica, insieme alle altre arti, sia rimasta ferma a settanta anni fa. Ma che cosa sarebbe accaduto se Monteverdi avesse scritto come Palestrina? Se Beethoven avesse scritto come Bach? E se Stravinskij avesse meramente riprodotto la poetica di Schumann? Si tratta ovviamente di un paradosso perché le novità, in realtà, ci sono state anche negli ultimi decenni, ma spesso non hanno avuto accesso presso quelle istituzioni per le quali esiste solo un'idea: quella dello sperimentalismo fine a sé stesso e degli effetti speciali. La nostra sembra essere l'epoca dei modi di emissione del suono alternativi, degli effetti speciali, delle tecniche di esecuzione. Ma queste non hanno cambiato la musica e sono indistintamente usate da tutti.

La musica cambia quando cambia il suono, cambia ciò che si ascolta e ci sono idee nuove e creative. Così avvenne con lo stile galante nel XVIII secolo: la scuola di Mannheim, con Haydn e Mozart, presentò qualcosa di nuovo. Debussy non fu solo un grande compositore ma cambiò anche la musica e la sua percezione. Così accadde anche con Schönberg e con la seconda scuola di Vienna. In Italia istituzioni come la Biennale di Venezia, ben finanziate dallo Stato, dovrebbero presentare le novità del panorama contemporaneo. Dove sono queste novità? In Italia, in realtà, possiamo riscontrare un grande fermento di idee e ci sono molti giovani che possiedono una nuova coscienza perché non desiderano più rivolgersi a ciò che considerano nettamente superato. Studiano con interesse le tecniche del passato come quelle odierne in modo tale da mettere a frutto le loro personali idee. E in questo si distinguono da coloro che nel passato, con la dannosa idea della “tabula rasa”, pensarono di poter rinnovare la musica. Ma che cosa può fare lo Stato per promuovere e aiutare la musica? Pretendere che le istituzioni preposte alla nuova musica presentino tutto ciò che  esiste oggi in Italia, senza escludere alcuna estetica, purché ci sia una selezione sulla qualità e la professionalità. Le sovvenzioni vengono elargite proprio per questo ma ciò avviene molto raramente. Coesistono mondi paralleli: la musica che si scrive oggi in Italia e la musica che viene presentata ufficialmente dalle istituzioni, che ne rappresenta solo una parte. Per questo motivo possiamo considerare che ciò che si autodefinisce avanguardia come una mera accademia, e per giunta molto retriva.

A volte si presentano brani che vengono definiti innovativi. Se lo fossero veramente, non sarebbero accettati e sarebbero aspramente criticati. È sempre successo così: basterebbe leggere le cronache, come quella bellissima del compositore inglese Charles Burney, “Viaggio in Italia”, un testo del 1771 (titolo originale: The Present State of Music in France and Italy), nel quale l'autore difende il nuovo stile classico (Haydn, Mozart) dalle critiche dell'accademia ancora legata alla musica barocca. Ma è successo anche con l'Ars Nova, con la nascita del barocco e la monodia accompagnata, con la seconda scuola di Vienna (Schönberg, Berg e Webern): potrei addurre molti altri esempi.

Attualmente stiamo vivendo la fine di un periodo che ha rallentato il naturale progresso della musica. Non possiamo più continuare con un'accademia che guarda indietro e rifiuta ogni novità, ma continua a prendere soldi dallo Stato presentandosi come innovativa e soprattutto capace di presentare la contemporaneità. Devo anche aggiungere che raramente un'accademia è stata così chiusa. Si è creato un distacco con il pubblico (mi riferisco al pubblico degli appassionati, non a chicchessia), si è fissata un'idea estetica che risale a molto tempo fa: di fatto, non è neanche uno stile ma il disattendere ogni stile e creatività. Ciò ha dato la possibilità a chiunque, anche con pochi mezzi, di "fare" il compositore. Basta disattendere tutto ciò che è avvenuto prima, ovviamente senza innovare: è l'idea della “tabula rasa”.

Le idee che tendono a rinnegare il passato oramai sono diventate comuni non solo nelle arti d'avanguardia ma anche nella società. Non si tende a conservare ciò che era buono e a superare gli errori ma si cancella tutto ciò che è stato. Lo vediamo quando si abbattono statue o si distrugge la lingua italiana. Sono idee che vengono da lontano, dal XIX secolo. Poiché è interesse dello Stato tutelare il nostro patrimonio culturale e con esso la musica, i politici oggi dovrebbero interessarsi maggiormente a ciò che accade nel mondo culturale, anche se sono privi di una competenza specifica, e dovrebbero pretendere che chi riceve finanziamenti pubblici si adoperi per favorire l'interesse dei cittadini e non di congreghe, di una sola estetica, per non parlare degli interessi personali, affidandosi a professionisti con idee anche diverse ma che garantiscano un livello alto e non di parte.

Essendo io "cesariano" di nome e di fatto, non amo le liste di proscrizione anche se dovessero portare alle Idi di marzo. Io farei in modo che tutte le idee possano essere rappresentate: ovviamente anche la neoavanguardia, poiché anche in quell'ambito vi sono alcuni autori degni di nota. Ciò che di peggio si può fare è sostituire un'egemonia con un'altra. L'arte è libertà di espressione e deve essere libera.

I termini tecnici della musica sono in italiano proprio grazie alla storia che abbiamo avuto. Charles Burney venne a vedere che cosa teorizzavano in Italia e scoprì quanto noi fossimo avanti: già nella prima metà del XVIII secolo costruivamo edifici e chiese neoclassiche e, con compositori come Pergolesi, avevamo fatto evolvere lo stile barocco, anticipando le idee che saranno poi del classicismo. A un politico non possiamo chiedere di scrivere la musica ma abbiamo il dovere di ricordare chi eravamo e chi siamo. Suo è il compito di far si che il nostro paese torni ad essere un faro nella più grande ricchezza che abbiamo: l'arte. Ce lo insegna e ce lo chiede la nostra storia.

Pubblicato in: 
GN27 Anno XV 2 giugno 2023
Scheda
Titolo completo: 

Intervento di Cesare Valentini

Centro Machiavelli
12 aprile 2023
Sala del Refettorio di Palazzo San Macuto (Camera dei Deputati)
in Via del Seminario 76 a Roma

Discorso di apertura del Ministro della Cultura
On. Gennaro Sangiuliano

Interventi di
Sen. Roberto Marti (Senato, Presidente della Commissione Cultura)
On. Federico Mollicone (Camera, Presidente della Commissione Cultura)
Prof. Eugenio Capozzi
(Centro Studi Machiavelli, Presidente del Consiglio Scientifico)
Modera: Daniele Scalea
(Centro Studi Machiavelli, Presidente)

EGEMONIA E PLURALISMO NELLA CULTURA
On. Alessandro Amorese
(deputato)
Edoardo Sylos Labini
(«CulturaIdentità», Presidente)
Emanuele Mastrangelo (Centro Studi Machiavelli, Ricercatore)
Modera: Corrado Ocone (LUISS)

RIPORTARE LA CULTURA FRA I GIOVANI
Lorenzo Bernasconi (Centro Studi Machiavelli, Ricercatore)
Francesco Borgonovo («La Verità», Vice-Direttore)
Francesco Giubilei (autore ed editore)
Modera: Silvia Roberto (Centro Studi Machiavelli)

DISCORSO DI CHIUSURA
Beatrice Venezi (direttore d’orchestra)