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Iphigénie en Aulide. L'innovazione illuminista e cosmopolita di Gluck
Al Teatro dell’Opera di Roma dopo cinquantacinque anni è ritornata, con la direzione di Riccardo Muti, Iphigénie en Aulide di Christoph Willibald Gluck, prima opera composta per il debutto a Parigi e andata in scena il 19 aprile 1774 all’Académie Royale.
Il musicista aveva una lunga carriera alle spalle dopo vent’anni in cui aveva composto opere in stile italiano che l’avevano portato in giro per l’Europa e a Vienna poi, con la collaborazione del librettista Ranieri de’ Calzabigi, con cui aveva creato e portato in scena con grande successo Orfeo ed Euridice. Ben conscio del suo valore d'artista e con una visione illuminista della musica aveva rivoluzionato il mondo dell’opera italiana ponendo fine agli arbitrii dettati dai capricci dei cantanti, ripristinando la coerenza drammaturgica e l’aderenza della musica al testo.
A Parigi Gluck, sempre coerente con le sue idee, diede voce sul Mercure de France nel febbraio del 1774 i suoi intenti: ”produrre una musica adatta a tutte le nazioni, eliminando la ridicola distinzione tra le musiche nazionali”, una sfida per lo sciovinismo francese.
Il libretto, tratto dall'omonima tragedia di Racine, di Francois Du Roullet se ne discosta con una semplificazione dell'intreccio e l'eliminazione di due personaggi, Ulisse ed Erifile, aggiungendo però Calcante (Calchas) e adattando i versi alessandrini alle nuove esigenze musicali.
Il dramma di Racine è molto diverso da quello euripideo, implicita condanna alla guerra del Peloponneso, in cui è l'"hybris” di Agamennone a provocare gli accadimenti, con l'inganno di un presunto matrimonio, per far arrivare moglie e figlia in Aulide, e i cui tardivi ripensamenti saranno sopraffatti dal precipitare degli eventi, scatenati da Ulisse.
La tragedia di Euripide, pubblicata postuma con il finale, di dubbia attribuzione, mostra l'intervento di Artemide che salva Ifigenia, ponendo al suo posto una cerva. La vicenda è il prologo al desiderio di vendetta di Clitennestra, argomento dell'Orestea di Eschilo, come ben intuito da Ariane Mnouchkine che l'ha premessa nel 1994 alla messa in scena del capolavoro eschileo.
Molto poco rimane in Racine che sposta la sua attenzione su sull'intrigo amoroso e i conflitti interiori e tra i personaggi, con un finale lieto in cui Achille e Ifigenia già promessi si potranno sposare mentre l'antagonista femminile, vera vittima richiesta dalla dea, si uccide.
Gluck modifica profondamente la tragédie lyrique, rendendola meno statica, attraverso l'uso di recitativi con l'aggiunta di musica, affini a quelli all'italiana e spezzando le arie con i recitativi per esplicitare i conflitti interiori. La musica composta per il dramma lo rende unitariamente coerente, e delinea magistralmente i vari personaggi. Le parti corali sono di grande intensità drammatica e anche il balletto di festeggiamento per le nozze di Achille ed Iphigénie presenta una pregevole fattura.
La rappresentazione di Iphigénie en Aulide si è avvalsa dell'ottima interpretazione di Riccardo Muti che ha permesso di apprezzare questa splendida opera in tutte le sue sfaccettature. Non si può non sottolineare la sensibilità nell'esecuzione del balletto, fin dall'esperienza fiorentina con il Guglielmo Tell e I Vespri siciliani, cosa rara in Italia, dove la danza per ignoranza è spesso considerata una forma d'arte minore.
La regia, le scene e i costumi di Yannis Kokkos si sono rivelate funzionali all'azione e visivamente seducenti. La scenografia in cui l'indaco è dominante, ma poi sfuma verso i toni più chiari evoca prepotentemente la presenza incombente del mare e il desiderio della partenza, sottolineato anche dalla presenza delle polene e nello stesso tempo consente ai personaggi di stagliarsi con forza. Marco Berriel con i suoi movimenti scenici ha evocato elegantemente il "balletto pantomima" dell'epoca, rivisitando le vicende legate al "Giudizio di Paride", prologo della tragedia.
Krassimira Stoyanova è stata un'eccellente Iphigénie sia vocalmente sia drammaticamente, nelle sue vesti prima di amante tradita e poi felice sposa, fino all'accettazione consapevole e piena di dignità del suo terribile destino. Ekaterina Gubanova he reso efficacemente Clytemnestre superando le impervie difficoltà della parte, in particolare nel terzo atto dove esprime tutta la sua disperazione di madre.
Alexey Tikhomirov ha dato un'interpretazione abbastanza convincente del dramma di Agamemnon, diviso tra affetto e dovere, che cerca di impedire a moglie e figlia di arrivare in Aulide per le nozze già stabilite, inventando un presunto tradimento di Achille, e poi dibattendosi nei contrasti interiori con Calchas e Achille. La parte di Achille è vocalmente impervia per il registro acuto e Piero Pretti ci è parso più adatto sia vocalmente che scenicamente di Avi Klemberg. L'Orchestra e il Coro dell'Opera hanno fornito un'eccellente prova della loro professionalità e così pure i ballerini impegnati nella danza.
Unico neo è non aver potuto ascoltare integralmente il capolavoro di Gluck per scelta di Muti. La proposta del trionfante finale di Wagner, che rifece l'orchestrazione di tutta la partitura dell'Iphigénie cambiando il finale di Gluck è del tutto incomprensibile. Quanto alla pretesa fedeltà di Wagner ad Euripide, nella conclusione della tragedia, l'intervento di Artemide/Diana è solo narrato e non viene creduto da Clitennestra, determinando il suo desiderio di vendetta. La colpa del sangue di Atreo verrà cancellata quindi solo con il giudizio dell'Areopago, come narrato dalle “Eumenidi” di Eschilo, senza aggiungere poi che l'"Iphigénie" di Gluck è tratta - come dichiarato - da Racine e non da Euripide.