Opera. L'adamantina limpidezza d'Iphigénie

Articolo di: 
Livia Bidoli
Iphigénie en Aulide

Su un cielo blu-azzurrato si leva la musica di Christoph Willibald Gluck per una Iphigénie en Aulide diretta da Riccardo Muti ed in scena al Teatro dell’Opera di Roma. Concepita a cominciare dal 1772, nel 1774 ebbe subito un enorme successo alla sua prima a Parigi anche grazie alla prodigalità della regina Maria Antonietta.

La musica di Gluck è possente e lieve allo stesso tempo e questo è particolarmente evidente nell’introduzione all’opera che rivela quanto la sua leggerezza e la sua cristallinea limpidezza siano distanti dalle sue due fonti di ispirazione: Racine ed Euripide. Il primo grande poeta lirico del ‘600 è il grande maestro del teatro classico, conservatore delle tre unità aristoteliche (luogo – tempo – azione), che salva Iphigénie immolando la rivale Eryphile. La differenza con Euripide invece non è tanto in termini di trama quanto di afflato: il più pessimista ed antieroico tra i poeti greci echeggia in Gluck, proprio come Racine, soprattutto dal II atto in poi. Nella versione di Euripide Ifigenia decide di immolarsi ma viene sostituita da un cerva per clemenza di Diana. Siamo quasi in terreno wagneriano, come vuole il finale scelto da Muti, ovvero Iphigénie viene salvata dalla dea che la accoglie come sacerdotessa.

Il libretto di questa tragédie-opéra in tre atti è del marchese Marie-François-Louis Gaud Bailli du Roullet, detto Le Blanc, ed in questa versione si avvale della regia, delle scene e dei costumi creati da Yannis Kokkos, rivisti dopo la rappresentazione agli Arcimboldi del 2002, appositamente per l’Opera di Roma. Scarni ed essenziali, puntano sul topos del colore come abbiamo già visto nell’Aida di Wilson sempre all’Opera e come l’avanguardistico spettacolo di Greeneway-Boddeke The Blue Planet al Nazionale. Il blu è ancora dominante per un dramma incentrato su un arrivo, in Aulide, ed una partenza futura, per la guerra di Troia.

Diana è al centro delle scene sul margine destro del palco e gigantica si mostra in cima ad una galea. E’ destinata a moltiplicarsi in numeri simbolici come il tre - la triade è un tratto caratteristico del mondo ideale dell’antichità, e del cinque, che ha come sua raffigurazione simbolica la rosa ed è incentrato sulla somma del due e del tre, elementi antitetici. Inoltre il cinque è rappresentativo del superamento “della quadripartizione dell’essere umano in corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale e Io” (cfr. Aldilà del tempo. Percorsi simbolici dell’eterno femminile, a cura di Roberta Astori e Teresa Tonchia, Mimesis, Milano, 2003, pp. 75 e 83-84).

Le voci: da Achille, il giovane e ottimo Avi Klemberg, cui vengono richiesti acuti wagneriani per il III atto su cui resta un po’ indietro, ad Agamennon, la voce più soda di Alexey Tikhomirov, fino alle due belle e rotonde oltreché alte, voci di Clytemnestre, Ekaterina Gubanova e l’Iphigénie di Krassimira Stoyanova, siamo in ambito assolutamente adeguato alla partitura. Una nota di merito alla prova di Clytemnestre, appassionante nelle sue suppliche per la figlia, colme nel suo canto di esatte assonanze, rime ed allitterazioni.

La coreografia del balletto con Paride e la mela d’oro che fa scatenare la tragedia è perfettamente coreografato da Marco Berriel con i ballerini dell’Opera, traducendo in una Venezia settecentesca la diatriba sulla bellezza delle tre dee vestite d’oro come la mela, con maschere tipiche che affascinano narrando l’origine della guerra di Troia. Sullo sfondo, poco dopo, echeggiano simil-marsigliesi le marce prorompenti dei sanguinari greci che si appellano al re per sacrificare la figlia alla dea. Il paradosso di tutta la tragedia finalmente si mostra: una principessa che crede di festeggiare le nozze sta recandosi al proprio patibolo, sebbene mitico. Il sacrificio dei giovani per i vecchi e per la guerra viene evitato dal finale trionfante del 1847 scritto da Wagner, e sembra quasi una Valchiria la Diana che giunge dall’alto per trasformare la principessa di un reame in sacerdotessa sublime. Le sue parole sopravvengono prima dei tromboni finali: “E' il suo spirito sublime che ho scelto! Sacerdotessa della mia legge la insegnerà al barbaro”.

Qui si stempera la collera di Achille, eroe puro come il Parsifal, che amplia la prospettiva musicale rimandando alla melodia infinita che Gluck in quest’opera prelude, con le parvenze di una profonda unità tra canto e musica senza soluzione di continuità. E Riccardo Muti la celebra, evidenziando con la limpidezza della sua esecuzione, sia l’armonica levità dell’uno sia il potente dettato dell’altro.

Pubblicato in: 
GN10/ 23 marzo 6 aprile 2009
Scheda
Autore: 
Christoph Willibald Gluck
Titolo completo: 

Iphigénie en Aulide
Tragédie-Opéra in tre atti
di Marie-François-Louis Gand-Leblanc du Roullet
dalla tragedia Iphigénie di Jean Racine
e dal dramma Iphigénie en Aulide
pubblicato in francese da Francesco Algarotti
nel proprio Saggio sopra l’opera in musica
Musica di Christoph Willibald Gluck

Teatro dell'Opera di Roma
dal 17 al 29 marzo 2009
Spettacolo del 24 marzo

Prima rappresentazione
Parigi, Opéra (Académie Royale de Musique)19 aprile 1774

Personaggi e interpreti (primo cast)
Diane Beatriz Diaz
Agamemnon Alexey Tikhomirov
Clytemnestre Ekaterina Gubanova
Iphigénie Krassimira Stoyanova
Achille Avi Klemberg
Patrocle Mario Cassi
Calchas Maxim Kuzmin-Karavaev
Arcas Carlos Garcia-Ruiz

Orchestra e Coro del Teatro dell'Opera di Roma
maestro concertatore e direttore Riccardo Muti
maestro del coro Andrea Giorgi
regia, scene e costumi Yannis Kokkos
movimenti coreografici Marco Berriel
disegno luci Gianni Mantovanini

Voto: 
9