State of Mind. Introduzione alla minimal art

Articolo di: 
Alberto Balducci
Christiane Löhr - Kleine Parabel

Il minimalismo ha una storia piuttosto lunga per essere una corrente che ancora non si è inaridita nel panorama dell’arte contemporanea. Tutto nasce da Duchamp e i suoi readymades, incrociato con il suprematismo di Malevitč, passando poi per l’espressionismo astratto alla Rothko e per finire con Frank Stella prima che scoccasse il ‘60. Tutto questo percorso è tangibile nell’esposizione State of Mind a Lucca dal 10 aprile fino al 27 giugno 2010, dove otto minimalisti contemporanei ci offrono un degno sunto di questa corrente.

Gli artisti rappresentati provengono dalla collezione Panza, per gentile concessione al Lu.C.C.A. da parte di Giovanni Panza, che annovera più di 2500 opere di arte contemporanea raccolte fin dagli anni ’50.

Le bianche stanze del museo ospitano stavolta opere che apparentemente non riempiono gli spazi vuoti ma, integrandosi perfettamente nel luogo, divengono parte stessa dei volumi dell’edificio e si confondono con le mura, i vetri e la musica.

Le opere esposte infatti constano di scintillanti monocromi di grandi dimensioni, di fogli disegnati in maniera apparentemente casuale, di riproduzioni perfette d’oggetti indifferenti, di casse di legno rivestite di tela malridotta, di minuscole sculture di erba secca e crine di cavallo.

Non c’è una personalità esuberante che colpisce il visitatore con la rappresentazione chiara ed evidente di un soggetto, di un valore o di un concetto “tangibile”, ma soltanto una presenza amorfa nello spazio del museo.

Questa parvenza d’anonimato è la prima sensazione che ci offre quest’arte minimale. Essa è l’anticamera di tutte le successive sensazioni che potranno nascere fruendola, poiché per prima cosa si deve far tabula rasa di tutto. Poi “grandi cose” possono nascere nello spettatore.

Prendiamo per esempio i monocromi ad opera di Lies Kraal, Timothy Litzmann, Séan Sanahan o Roy Thurston, indifferentemente: trattasi di strati più o meno uniformi di colore, senza alcuna modulazione cromatica (Sanahan) o con elementi geometrici secondari (Kraal) o con tecniche e trattamenti superficiali particolari ma non invadenti (Litzmann, Thurston): questi blocchi di colori divengono quasi concetti primordiali, nella loro semplicità sensoriale.

Ricordiamo il monolito di 2001 Odissea nello spazio: esso, nero, assorbiva ogni luce nella sua abissale eternità talché solo vertigine si poteva provarvi di fronte; questi monoliti cromatici sono invece l’opposto, irradiano, vivi, come i colori puri delineati da Johannes Itten, si proiettano verso l’esterno e tentano di comunicare.

Ciascuno di questi artisti riesce quasi a rendere personale un mezzo espressivo praticamente ridotto all’osso. L’effetto non è tangibile se visti su un catalogo, vi si deve essere davanti, incontrarne la radiazione luminosa, da usare per proiettarvi come su tela il proprio film interiore.

Questo perché le opere si tramutano in installazioni, e chiedono a gran voce che sia il visitatore a creare la propria idea, da far sbocciare vivendo lo spazio da loro occupato. Queste non sono in nessun caso opere bidimensionali; si protendono verso l’esterno. Non ci si può fermare quindi alla terza dimensione (allo spazio cioè), ma bisogna andare oltre, e sconfinare nelle sensazioni e nel regno delle idee (nel mentale, diremmo, ma stiamo semplificando).

Per esemplificare quanto detto, basta vedere l’opera di Jonathan Seliger: egli riproduce oggetti quotidiani come cartoni del latte, scatole o giornali (tramite tela e pasta per modellare dipinte ad olio) completi di ogni minimo particolare. Invade la nostra quotidianità, porta l’attenzione dove generalmente non sosta a lungo.

Oppure, ancora più invadente, almeno immediatamente, Fugitive di Carroll: una serie di scatole fatte da tavole di legno unite con viti e rivestite di tela fissata con una pistola spara punti, dall’aspetto dimesso e insignificante, altri scarti della società consumistica.

Quest’opera richiede assolutamente l’interazione dello spettatore per uscire dal suo desolante vuoto anonimato, desidera essere vissuta quantomeno come volume tangibile, e possibilmente essere rivestita di idee, associazioni mentali o sensazioni che guariscano le ferite fasciate alla meglio con quella tela lacerata. Come sto facendo io come posso, in questo momento. Queste opere sono vive, con la vita che gli comunica lo spettatore, demiurgo tramite il proprio respiro (che nella chimica dell’aria del museo, si fonde con le opere stesse).

Le creazioni di Christiane Lohr invece si distinguono per il fatto che esse erano vive: sono composizioni di materiali naturali, come crini di cavallo fissati (solo un poco) con aghi, o erbe e fiori secchi agghindati in deliziose arcologie, senza collanti. Erano vive in natura, adesso sono vive di un altro tipo di vita, infusa dalla forza creativa dell’artista e sostenuta dal movimento degli spettatori (come ignorare i delicati movimenti dei crini di cavallo al proprio respiro?).

Andando ancora oltre, From roses to slate di Emil Lukas ci offre ancora un altro livello d’interazione mentale-emotiva: si tratta di 28 disegni su due facce dai soggetti indefinibili. Da gocce e macchie a riproduzioni di forme geometriche, a suggestioni quasi acquarellate. Anche qui, non è possibile non crearsi una poetica personale, ricombinare i pezzi del mosaico con la propria storia, come nel Castello dei destini incrociati di Calvino. Ciascun foglio una carta dei tarocchi, ma di un mazzo ancora vergine di significato.

È inutile cercar di giudicare queste opere “sulla carta”; non se ne uscirebbe fuori. La vera grande difficoltà del minimalismo è che bisogna arrivare a lui disarmati di tutto quell’arsenale di concettualità ed aspettative che ci portiamo sempre dietro, e accettare un dialogo a mente sgombra.

Si direbbe di porvisi davanti come bambini: ma non sono sicuro che un bambino apprezzerebbe con facilità spensierata queste opere, perché comunque esse hanno, come visto in apertura, un pedigree molto forte, figlio delle grandi conquiste artistiche e concettuali del secolo scorso.

Cionondimeno, la loro “minimalità” ci consiglia di provare a spogliarci di quegli stretti abiti mentali che portiamo ogni istante, e di provare a diventare degli adulti con un approccio da bambino: e questo da un certo punto di vista, sarebbe conservare i piaceri di ambedue questi stadi dell’esistenza.

Nota di merito anche per l’accompagnamento musicale scelto, Musica per aeroporti di Brian Eno, la cui sostanza di frasi melodiche non intrusive dal flusso infinito, scritte per divenire parte stessa dell’ambiente in cui sono riprodotte, ben si accorda con le idee di questa esposizione. 

Pubblicato in: 
GN12 Anno II 18 aprile 2010
Scheda
Titolo completo: 

State of mind
Minimal Art / Panza Collection

Presso Lu.C.C.A - Lucca Center of Contemporary Art

10 Aprile - 27 Giugno 2010

Artisti rappresentati:

  • Lawrence Carroll
  • Lies Kraal
  • Timothy Litzmann
  • Christiane Löhr
  • Emil Lukas
  • Jonathan Seliger
  • Séan Shanahan
  • Roy Thurston
Anno: 
2010
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