Aspettando Godot alla Casa delle Culture. La descrizione poetica del vuoto

Articolo di: 
Giuseppe Talarico
Claudio Capecelatro

Nel cuore di Trastevere a Roma, presso la Casa delle Culture, è in programmazione la rappresentazione teatrale del celebre testo di Samuel Beckett Aspettando Godot  (En attendant Godot) dal 21 febbraio all'11 marzo 2012 con la regia di Claudio Capecelatro.

Questo testo, un classico della drammaturgia del Novecento, che venne rappresentato la prima volta agli inizi degli anni cinquanta del secolo scorso, è considerato dalla critica uno caposaldo del teatro dell’assurdo. Infatti, secondo il giudizio critico di Carlo Fruttero, studioso di Beckett, in questo testo l'autore riuscì magistralmente a dare una compiuta espressione letteraria alla oggettivazione dell’assurdo, tema ricorrente nell’opera di questo scrittore e essenziale per capirne la complessa  e difficile poetica.

All’inizio  dello spettacolo compaiono, in un luogo desolato e spettrale, dove vi è soltanto un albero spoglio, due uomini, dall’aspetto trasandato e poco curato. Sono Vladimiro e Estragone, che iniziano a parlare, conversando sui temi più disparati. Dai dialoghi tra questi due personaggi emerge la loro condizione dolorosa di persone che, non avendo più diritti da rivendicare, sono ridotti dalla necessità a chiedere aiuto e a vivere come due poveri  postulanti. In particolare colpisce, nel corso delle loro conversazioni, il riferimento alla bibbia ed alla storia di uno dei due ladroni che, secondo uno dei vangeli canonici, venne salvato da Gesù Cristo.

A questo proposito, interrogato su questo tema da Estragone, Vladimiro si chiede in che senso sia stato salvato da Cristo il ladrone, visto che comunque è morto. Mentre la conversazione prosegue tra i due personaggi, viene evocato Godot, personaggio misterioso, che dovrebbe dare un aiuto ai due poveri derelitti, perché abbiano una vita libera e dignitosa.

Durante l’attesa di Godot, ripetutamente osservando l’albero ai piedi del quale si trovano, Estragone e Vladimiro manifestano in più occasioni il desiderio di impiccarsi, ricordando di avere vissuto la loro difficile e disperata esistenza insieme per molti anni, condividendo la fatica di vivere. L’attesa genera noia, nervosismo, esasperazione, e, alcune volte, i due personaggi proclamano la volontà di parlare, per distogliere il pensiero dalla loro condizione dolorosa.

La parola, in questo caso e per tutta la durata dello spettacolo, non è altro che la descrizione poetica del vuoto, con cui i due personaggi si misurano.  Inoltre, in questa parte del testo, è evidente l’allusione al tema dell'alienazione ed alla frattura che si è prodotta nel mondo moderno tra linguaggio e pensiero umano. Improvvisamente sulla scena compare un signore, il cui nome è Pozzo, che è accompagnato dal suo facchino Lucky, cui ha messo una corda intorno al collo e che tratta con disumanità, come se fosse un suo schiavo.

I due personaggi, sbagliandosi, inizialmente lo scambiano per Godot. In realtà Pozzo è il proprietario del luogo dove i due uomini attendono Godot, nei pressi del quale sorge il suo grande ed immenso castello. E’ un uomo ricco e insensibile che tratta con disprezzo il suo facchino,  a cui infligge frustate violente ed a cui lascia i resti delle sue ricche colazioni.

Conversando con Estragone e Vladimiro, si informa per capire cosa stiano facendo, e, in seguito, pronuncia un discorso da cui emerge il suo profilo di uomo arrogante, abituato a dominare il prossimo ed i suoi simili. Proprio durante questo dialogo, vi è la famosa e poetica descrizione del crepuscolo, grazie alla quale Pozzo con immagini perfette narra il modo con il quale le tenebre scendono sulla terra, oscurando ogni sera il cielo dal colore azzurro e limpido.

Subito dopo ordina al suo facchino, dopo averlo frustato con inusitata violenza, di pensare. Lucky articola un discorso incomprensibile e delirante, insistendo sul concetto di tempo e spazio, fino a suscitare una grande irritazione ed esasperazione nell’animo dei tre uomini che lo hanno ascoltato.

Il pensiero, quando riesce a rappresentare la reale condizione umana, provoca dolore e amarezza nell’uomo, facendolo precipitare nell’abisso della disperazione. Alla fine della prima giornata compare un giovane ragazzo che informa i due uomini che Godot non verrà e che l’appuntamento per l’incontro è rinviato al giorno successivo. Estragone chiede al giovane, dopo avere appreso la notizia,  se sia felice.

Il giovane risponde, pur riconoscendo di avere ricevuto da Godot quanto gli serve per vivere bene, di non saperlo.  Nella seconda giornata, in cui continua l’attesa che Godot possa comparire, i due personaggi, oltre a conversare sui più disparati temi pur di non pensare, meditano di mettere in atto il proposito del suicidio.

L’attesa esaspera l’animo dei due uomini, sicchè Vladimiro confessa, in preda alla disperazione e rivolgendosi a Dio, che la sua vita è stata miseramente trascinata in un deserto privo di senso, mentre Estragone, con una bella immagine poetica, dichiara che vaga smarrito nell’abisso del mondo con il modesto sostegno della sua povera ragione umana.

Ricompare di nuovo Pozzo con il suo facchino. Pozzo è divenuto nel frattempo cieco, e, indebolito dagli anni, cade al suolo invocando l’aiuto dei suoi amici. Pozzo non ricorda di avere già incontrato i due uomini, e confessa che non bisogna pensare al Tempo, poiché esiste solo il giorno in cui siamo nati e quello in cui moriremo.  

In questa parte dello spettacolo, come notava con intelligenza Fruttero, viene raffigurata la sospensione e pietrificazione del tempo. Godot, in realtà, non arriverà mai, sicchè l’attesa dei due uomini si rivelerà vana ed inutile. La critica, oltre a definire questo testo come una tragedia declassata a commedia, ha fornito diverse interpretazioni per capire l'identità e la natura misteriosa di Godot.

Per alcuni Godot allude alla figura di Dio, per altri, invece, è il simbolo di un'impossibile felicità per una'umanità costretta a vivere in un mondo desolato ed insensato. Uno spettacolo in cui colpisce la bravura con cui gli attori hanno portato in scena un testo così complesso e poeticamente complicato.

Pubblicato in: 
GN19 Anno IV 19 marzo 2012
Scheda
Titolo completo: 

Casa delle Culture di Roma a Trastevere

Apettando Godot
di Samuel Beckett

Con la regia di Claudio Capecelato
produz.SIPARIODRAMMAflucù
con Claudio Capecelatro, Marco Carlaccini, Giorgio Di Donato,Alessandro Gruttadauria, Roberto Zorzut
scene Andrea Croci
disegno luci Giuseppe Romanelli
21 febbraio - 11 marzo 2012