Bâtiment d’Ami. Una torretta di stelle

Articolo di: 
Livia Bidoli
Rita Mandolini

Dal 24 al 30 aprile un'intera palazzina, dalla terrazza condominiale, passando per la torretta del superattico, giù per le scale fino alle cantine romane in cui si sente ancora defluire quella liquidità tipica dell'essere a due passi dal Tevere – e dove si scompongono i sue effluenti invisibili -, si è abitata di una serie di sculture, plurime stanze rivestite di costellazioni e muri tappezzati di quadri appena illuminati da luci fioche e significativamente ondivaghe. Bâtiment d’Ami dalle stalle alle stelle e rapido ritorno, questo il titolo “umano troppo umano”, parafrasando Nietzsche, della mostra, curata da Alberto D’Amico, Massimo Arduini e Tino Franco nello Studio Campo Boario in zona Testaccio a Roma.

La prima opera che si incontra è dietro ad una porta chiusa, da cui si osserva, attraverso lo spioncino, un video di una Pride Parade a Berlino su musica di Fausto Romitelli: disturbante e inquieta, dispiega uno strano epilogo alla festa, condito efficacemente da suoni e rumori metallici che amplificano l'aspetto étrange dell'opera di Roberto Piloni.

La stanza in cui entriamo è separata da tutto il resto da due tende nere: si entra in un luogo dove la luce è minima, in terra vi è una lampada che, simile ad una candela, effonde una luce azzurrina stemperata dal bianco ghiaccio: illumina leggermente due pareti ai lati destro e sinistro e si notano due grossi dipinti neri. Viene subito in mente il numero cinque (l'uomo ed i suoi cinque sensi, ma anche l'evoluzione verticale, la stella a cinque punte dell'uomo vitruviano), correlato ad una lettura numerologica che si riconnette all'altra opera di Rita Mandolini, anche questa Untitled, presente sul muro d'entrata della torretta che dall'alto della terrazza assomiglia a cinque finestre nere: Hawthorne con la sua misterica Casa dei sette abbaini (The House of the Seven Gables) torna potentemente alla memoria insieme all'uso del nero, che ingloba tutti i colori dello spettro cromatico. Qui abbiamo due luci che le donano luce e cinque tele nere su cui si distinguono i contorni di donne velate, la prima rarefatta, una minuta, un'altra simile ad una Madonna quattrocentesca, le ultime due appena accennate dal buio.

Il libro in lettura di Anthony Vidler(1941), Il perturbante dell'architettura (The Architectural Uncanny. Essay in the Modern Unhomely, MIT, Cambridge, 1992; Einaudi, 2006), aiuta a stemperare il nero fitto di rami di tessuto che oscurano una finestra: l'opera di Elena Nonnis è una ragnatela che la separa dallo spazio che s'intravede appena aldilà di essa e, da come lo racconta l'artista, era proprio questo lo scopo dell'opera, un simbolico paravento di difesa. A pensarci bene fa venire in mente la gotica Casa Usher del racconto di Poe quanto The Village, il film di Shamalyan su un medievale villaggio americano ai tempi della caccia alle streghe, la cui foresta lo separa dal mondo allo stesso modo.

L'ultima occhiata però spetta alle stelle sul terrazzo da cui si osservano le tele che sembrano degli abbaini, ed è con queste che ci lasciamo inondare da una luce giallina, un po' smorzata, immaginando la prossima mostra, snodata tra le sale, le torrette, la panoramica sulla collinetta che accoglie Shelley sul prato del Cimitero Acattolico insieme a Gramsci e Von Bülow, ricordando ancora altre stelle.

Pubblicato in: 
GN26 Anno V 7 maggio 2013
Scheda
Titolo completo: 

Bâtiment d’Ami dalle stalle alle stelle e rapido ritorno
da un’idea di Alberto D’Amico, Massimo Arduini e Tino Franco
Studio Campo Boario (viale del Campo Boario, 4/A) - Roma
opening 24 Aprile 2013 dalle ore 18.00 alle 23.00
closing 30 Aprile 2013 dalle ore 18.00 alle 23.00

Gli artisti: Eleonora Angeloni, Daniela Arabella, Massimo Arduini, Simone Bertugno, Tiziano Campi, Leo Canali, Sauro Cardinali, Elena Caterina, Alberto D’Amico, Iginio de Luca,Tino Franco, Chiara Giorgetti, Rita Mandolini, Elena Nonnis, Alessandra Pedonesi, Roberto Piloni, Monica Renzi, Delphine Valli